sabato, Gennaio 25, 2025
Il Poliedro Religioni, Diritti, Laicità

Diritto di associazione dei militari e liberta’ religiosa: commento alla sentenza n.17818 del 15.10.2024 della prima sezione stralcio del tar lazio

A cura di Nicola Burbo

  1. Introduzione

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima Stralcio, con la sentenza 17818/2024, pubblicata il 15.10.2024, ha respinto il ricorso promosso da un appartenente alle Forze Armate, con il quale chiedeva l’annullamento dei provvedimenti adottati dal Ministero della Difesa e dai Capi di Stato Maggiore della Marina e della Difesa sfavorevoli alla costituzione di un’associazione tra militari, unitamente a civili, non avente scopo di lucro, ma la finalità di  promuovere e di favorire la diffusione della Bibbia e la testimonianza personale, in collaborazione con i Cappellani, i Ministri di Culto e membri di Chiese locali, che condividessero i principi di Fede, etici e spirituali dell’ente.

Nella medesima pronuncia, i Magistrati hanno, tuttavia, riconosciuto che gli intenti della costituenda associazione potessero essere perseguiti con modalità diverse rispetto a quelli di un ente riconosciuto.

Nei paragrafi che seguono, si effettuerà una disamina sulla vicenda, sulle motivazioni dedotte dal ricorrente, sull’interpretazione fornita dai Giudici, sulla violazione degli articoli 2 e 3 Costituzione e sulla possibilità di esercitare la libertà di religione attraverso una associazione c.d. di fatto.

Nella conclusione si delineerà, in virtù di quanto sostenuto, una possibile strada da percorrere, in seno alla valutazione, discrezionale, sull’assenso alla costituzione di associazioni, aventi finalità religiose, da parte di militari.

  1. La vicenda.

Un appartenente alle Forze Armate proponeva ricorso, contro il Ministero della Difesa e gli Stati Maggiori della Marina e della Difesa, questi ultimi due non costituiti in giudizio, per l’annullamento: della nota del Ministero della Difesa del 10.03.2024 con annesso Decreto Ministeriale del 4.02.2020 con cui è stato deliberato che l’istanza di assenso alla costituzione dell’Associazione tra militari, unitamente a civili, non venisse accolta; del parere sfavorevole del 9.02.2018 espresso dal Capo di Stato Maggiore della Marina; del parere sfavorevole reso dal Capo di Stato Maggiore della Difesa; della comunicazione del Capo di Stato Maggiore della Marina del 28.02.2019, recante i motivi ostativi all’accoglimento della domanda ai sensi dell’art.10 bis della l.241/1990; di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, connesso, collegato e consequenziale se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente.

La vicenda trae origine dall’istanza, presentata il 12.06.2017, con la quale si chiedeva l’assenso del Ministero della Difesa alla costituzione di un’associazione, non avente scopo di lucro, ma con l’intento di: promuovere e favorire, nel rispetto delle normative vigenti, nella comunità militare, tra le Forze di Polizia e dell’Ordine, la diffusione della Bibbia e la testimonianza personale, in collaborazione con i Cappellani, i Ministri di Culto e i Membri di chiese locali, che condividessero i principi di Fede, etici e spirituali dell’ente; promuovere e sostenere iniziative finalizzate alla promozione sociale e alla crescita spirituale di ogni persona, l’integrazione della sua dimensione umana e spirituale, della solidarietà e fratellanza, dell’equità e giustizia sociale, nella prospettiva cristiana e sostenere l’etica cristiana e militare, alla luce degli insegnamenti Biblici; fornire assistenza spirituale ai propri membri e a coloro che ne avessero fatto richiesta.

Il 14.06.2017, il Comando Marittimo Sud ha espresso parere favorevole al prosieguo dell’iter per l’acquisizione dell’assenso del Ministero della Difesa per la costituzione dell’associazione. Analogamente, si determinava il Comando Logistico della Marina Militare.

Contrariamente, si pronunciava, invece, il Capo di Stato Maggiore della Marina il 9.02.2018, esprimendo il proprio dissenso, in quanto l’istanza conteneva una sommaria indicazione delle finalità perseguite dalla costituenda associazione e, inoltre, sosteneva che lo scopo prioritario fosse quello di diffondere un peculiare credo religioso, di cui non era possibile individuare i contorni, tramite propri rappresentanti autorizzati ad agire all’interno delle installazioni miliari a seguito dell’intervenuto riconoscimento. Per di più, la richiesta appariva porsi come un grimaldello per scardinare la legislazione di rilievo costituzionale vigente in materia di rapporti tra Stato e confessioni religiose.

In seguito, il Ministero della Difesa, recependo i pareri espressi dai Capi di Stato Maggiore della Marina e della Difesa, sulla base dell’art.1475 del Codice dell’Ordinamento Militare, con decreto del 4.02.2020, respingeva l’istanza di autorizzazione alla costituzione dell’associazione.

  1. I motivi dedotti dal ricorrente nel proprio atto introduttivo.

A parere della difesa di parte ricorrente, ogni organizzazione religiosa di tipo collettivo avrebbe il diritto di esistere di fatto e il mancato riconoscimento non potrebbe impedirne l’esistenza e l’esercizio di diritti riconosciuti dall’ordinamento a tutte le forme religiose. La mancata qualificazione di confessione religiosa non potrebbe ledere la libertà religiosa ovvero il diritto di culto, in virtù della nota sentenza della Corte Costituzionale n.203 del 12.04.1989[1].

In quanto formazioni sociali, le confessioni religiose di fatto si riconoscono in base alla sussistenza dell’elemento materiale della plurisoggettività e dell’organizzazione. Inoltre, si distinguono dagli altri gruppi per l’elemento teleologico, ossia lo scopo religioso, e non per la istituzionalizzazione, che comprimerebbe la libertà di culto così come sancita ex art.19[2] della Costituzione.

La necessaria istituzionalizzazione della confessione religiosa violerebbe, ergo, gli articoli 2, 3, 9, 18, 19, 20 e 21 della legge fondamentale dello Stato.

Il Codice dell’ordinamento militare (d.lgs. 15.03.2010, n.66) prevedrebbe che lo Stato predisponga misure effettive volte a tutelare e promuovere lo sviluppo della personalità dei militari. In particolare, l’art.1465 c.o.m. stabilisce che ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini con la possibilità di prevedere dei limiti (ma non preclusioni) per garantire l’assolvimento di compiti propri dell’istituzione.

L’associazione avrebbe lo scopo di svolgere attività prevalentemente religiosa, socio-ricreativa, assistenziale e culturale, al fine di promuovere e rinsaldare i vincoli sociali e religiosi, nonché i principi etici tra i propri soci. Essa, inoltre, avrebbe una utilità sociale a carattere religioso, essendo apartitica, apolitica, senza scopo sindacale, affinché sia favorita la collaborazione tra i Cappellani, i ministri di culto e la diffusione della Bibbia.

Nonostante l’assenza di elementi ostativi alla costituzione dell’associazione, il Ministero avrebbe individuato un contrasto tra il perseguimento degli scopi istituzionali delle Forze Armate e la natura dell’ente, ritenendo il mancato riconoscimento formale della confessione religiosa impeditivo alla costituzione della stessa, violando il dettato costituzionale.

In base all’art.1471 c.o.m., “i militari possono esercitare il culto di qualsiasi religione e ricevere l’assistenza dei loro ministri”. Esso riconoscerebbe la libertà di culto e il diritto, sia singolarmente che collettivamente, di partecipare a iniziative proposte e dirette dal personale addetto alla assistenza spirituale alle Forze Armate.

La costituenda associazione, dunque, sarebbe in linea con il quadro giuridico di riferimento anche sovranazionale.

Attraverso il riconoscimento dell’ente non si sarebbero voluti acquisire i medesimi effetti di un’intesa (tra Stati e confessione religiosa) non ancora venuta alla luce e che, comunque, non potrebbe essere conclusa con la medesima.

Alla motivazione dedotta dal Ministero della Difesa, in ordine alla sommaria indicazione delle finalità perseguite dal sodalizio, avente un’accezione particolarmente generica e onnicomprensiva che non avrebbe consentito la qualificazione delle effettive attività praticate, il ricorrente evidenziava come, invece, il dettaglio delle attività fossero state inserite all’interno dell’art.3 dell’atto costitutivo. Quanto alla impossibilità di individuare i contorni del credo professato, la difesa rappresentava che gli stessi fossero stati ben delineati all’art.4.4, dalla lettera a alla lettera n, dello stesso atto costitutivo.

Infine, parte ricorrente riteneva che il diniego impugnato avrebbe violato i canoni amministrativi di imparzialità, proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza, poiché il Ministero non avrebbe svolto una valutazione, approfondita ed imparziale, di tutti i fatti e le circostanze attinenti alla costituenda associazione, né avrebbe tenuto in considerazione i pareri favorevoli resi dal Comando Marittimo Sud e dal Comando Logistico della Marina. L’assenza di un’adeguata istruttoria si è riverberata sulla motivazione del provvedimento finale, risultando la stessa incongrua ed insufficiente.

  1. L’interpretazione dei Giudici.

In via preliminare, l’ordinamento delle Forze Armate è soggetto ad una disciplina speciale, che lo distingue rispetto alle regole che normano gli altri settori della collettività, sebbene debba informarsi allo spirito democratico della Repubblica, ai sensi dell’art.52 della Costituzione.

La norma di riferimento, nel caso di specie, è costituita dall’art.1475 del d.lgs. n.66/2010 (Codice dell’Ordinamento Militare), secondo cui: “1. La costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della Difesa. 2. In deroga al comma 1, i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale per singola Forza armata o Forza di polizia a ordinamento militari o interforze, secondo le disposizioni previste dal capo III del titolo IX del presente libro, e dal relativo regolamento di attuazione adottato con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n 400. 3. I militari non possono aderire ad associazioni considerate segrete a norma di legge e a quelle incompatibili con i doveri derivanti dal giuramento prestato. 4. I militari non possono esercitare il diritto di sciopero”.

Proprio in relazione a questa disposizione, la Corte Costituzionale ha avuto modo di sottolineare che l’art.52, terzo comma, della Costituzione, nel citare l’ordinamento delle Forze Armate, non ha inteso indicare una sua (inammissibile) estraneità dell’ordinamento generale dello Stato, ma riassumere in tale formula l’assoluta specialità della funzione.

Più volte il Giudice delle leggi ha messo in luce le esigenze funzionali e la peculiarità dell’ordinamento militare (sentenze nn. 113/1997 e 17/1991, ordinanza n.39/1996), ribadendo che la normativa non è avulsa dal sistema generale delle garanzie costituzionali.

Nella sentenza n.278/1987, in particolare, la Corte Costituzionale ha osservato che la Costituzione Repubblicana supera radicalmente la logica istituzionalistica dell’ordinamento militare, giacché quest’ultimo deve essere ricondotto nell’ambito del generale ordinamento statale rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini. La garanzia dei diritti fondamentali di cui sono titolari i singoli cittadini militari non recede, quindi, di fronte alle esigenze della struttura militare; sì che meritano tutela anche le istanze collettive degli appartenenti alle Forze Armate, al fine di assicurare la conformità dell’ordinamento militare allo spirito democratico, tuttavia rilevando che aver constatato che la struttura militare non è un ordinamento estraneo, ma costituisce un’articolazione dello Stato che in esso vive e ai cui valori costituzionali si informa, non consente di ritenere illegittimo il divieto posto dal legislatore per la costituzione delle forme associative di tipo sindacale in ambito militare.

La posizione del militare è connotata in modo del tutto peculiare rispetto a tutti gli altri cittadini ed è tale da dover subire una limitazione dei propri diritti.

La specialità della fattispecie e della relativa disciplina è comprovata dal fatto che lo stesso legislatore ha stabilito, all’art.1475, comma 1, c.o.m., il preventivo assenso del Ministero della Difesa per la costituzione di associazione o circoli fra militari.

 Ne consegue che il provvedimento impugnato, nella parte in cui respinge la domanda di autorizzazione a costituire l’associazione, si fonda legittimamente sul menzionato art.1475 che ha natura di norma primaria.

Sul diniego espresso in ragione della sommaria indicazione delle finalità perseguite, dell’impossibilità di individuarne i contorni del credo religioso, del tentativo di eludere la legislazione costituzionale in materia di rapporti tra Stato e confessioni religiose, i Magistrati amministrativi ritengono che il medesimo debba ritenersi sufficientemente motivato, tenuto conto della evidente discrezionalità che l’art.1475 c.o.m. riservi ai vertici dell’amministrazione militare. Il provvedimento non solo indica i riferimenti normativi sui quali si fonda l’esercizio del potere di diniego, ma anche le ragioni di fatto che hanno impedito il riconoscimento della predetta associazione.

Il competente Ministro è tenuto ad accertare, con valutazione espressione di lata discrezionalità, in quanto volta a tutelare e contemperare contestualmente la libertà di religione del militare e l’interesse pubblico al pronto ed efficace funzionamento della Forza Armata o della Forza di Polizia ad ordinamento militare: l’effettivo carattere democratico, neutrale ed aperto dell’assetto strutturale e delle modalità operative della costituenda associazione; la compatibilità del relativo apparato organizzativo e delle relative modalità di funzionamento con le particolarità ordinamentali dell’organizzazione militare; l’assoluta trasparenza del sistema di finanziamento del medesimo organismo associativo .

Pur essendo indubbio che ai militari spettano, in ogni caso, i diritti garantiti dalla Costituzione, è vero, altresì, che tali diritti possano trovare limitazione, in connessione alla necessità di garantire l’efficace assolvimento dei compiti spettanti alle Forze Armate. Il servizio militate non può essere considerato la prestazione di una mera attività, giacché esso determina, in capo al soggetto che lo presta, uno status assolutamente particolare che comporta l’assoggettamento dell’individuo ad un regime del tutto peculiare, implicante, come tale, non solo l’obbligo di prestare determinate funzioni o attività, ma anche l’insorgere di una situazione che, sotto certi profili, incide su alcune libertà fondamentali (così, Consiglio di Stato, IV sezione, 28.07.2005, n.4012).

Osserva, inoltre, il Tribunale Amministrativo che non giova al ricorrente nemmeno il generico richiamo all’art.11 CEDU, in quanto l’ultimo periodo del secondo comma prevede, espressamente, che “il presente articolo non osta a che restrizioni legittime siano imposte all’esercizio di tali diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato”.

La stessa CEDU, infatti, prefigura una disciplina più restrittiva, quanto all’esercizio del diritto alla libertà di associazione per il personale delle Forze Armate. Secondo le indicazioni fornite dalla stessa giurisprudenza CEDU, affinché le restrizioni siano ammissibili ai sensi dell’art.11, comma 2, esse devono soddisfare tre requisiti. Il primo è quello della legalità, che ricorre, con ogni evidenza, nel caso di specie. Occorre, poi, valutare se la restrizione persegua uno degli scopi legittimi previsti dal medesimo comma 2. In tal senso, dato che le limitazioni devono essere interpretate restrittivamente, non si può non convenire sul fatto che, con riferimento al personale delle Forze Armate, l’imposta restrizione persegua uno scopo legittimo. Il terzo elemento è la proporzionalità, ossia se la restrizione appaia congrua ed adeguata. Parametro che, nella specie, risulta garantito dalla predisposizione normativa di un articolato sistema della c.d. rappresentanza militare.

Concludono i Magistrati affermando che, nella vicenda in esame, non si controverta del legittimo esercizio della libertà di religione (che non risulta in alcun modo leso o pregiudicato), ma che esso possa (meglio) esplicarsi mediante la costituzione di una specifica associazione in ambito militare, che, secondo la prospettazione del ricorrente, avrebbe una funzione agevolatrice. Né, dagli atti di causa, è possibile evincere che gli scopi del costituendo ente possano essere impediti o ostacolati dal diniego impugnato, potendo, comunque, essere perseguiti con modalità diverse rispetto a quelli di una associazione riconosciuta ai sensi del citato art.1475 c.om.

  1. Violazione degli articoli 2 e 3 Costituzione.

Nel caso analizzato si rinviene una violazione dei principi solidaristico e di uguaglianza, tanto formale quanto sostanziale, in riferimento alla già esistente Associazione per l’Assistenza Spirituale alle Forze Armate (P.A.S.F.A.).

Tale affermazione trova la sua ragion d’essere nel ragionamento logico-giuridico seguito dai Giudici amministrativi e, precisamente, nell’assunto secondo il quale la costituzione di una associazione avente finalità religiose potrebbe inficiare l’efficace assolvimento dei compiti spettanti alle Forze Armate.

Siffatta interpretazione impone, ergo, di volgere lo sguardo ad una realtà già consolidata, il P.A.S.F.A., ossia un’organizzazione di laici volontari, apolitica e senza fini di lucro, riconosciuta quale organismo di volontariato cattolico e opera in diretta collaborazione con l’Ordinariato Militare per l’Italia. La missione del P.A.S.F.A. è arrecare beneficio e prestare assistenza spirituale, morale, materiale e culturale alla Grande Famiglia Militare (Esercito, Marina Militare, Aeronautica Militare, Carabinieri e Guardia di Finanza)[3].

L’Associazione PASFA nasce a Roma nel maggio 1915, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il Generale Luigi Ferrero di Cavallerleone, Comandante la Sanità Militare, organizza i Cappellani presso gli ospedali militari e si rende conto della necessità di offrir loro una collaborazione. Questo progetto è sostenuto da sua moglie Giovanna, dalla moglie del Generale Cadorna e da altre signore. La Regina Elena viene coinvolta nell’iniziativa, ne diventa promotrice e delega le dame di Corte, provenienti da varie località d’Italia, ad organizzare nelle loro città d’origine i “Comitati per l’Assistenza Religiosa all’Esercito”. Il Comitato Nazionale, come pure la sede della Curia del Vescovo Castrense, trova ospitalità presso il Collegio Capranica di Roma, dove si tiene la prima riunione, l’11 febbraio 1916, convocata dalla Presidente, Principessa Isabella Borghese.

Con la fine della guerra sembra finito lo scopo dei Comitati, ma quando con la legge del 1926 è istituzionalizzato l’Ordinariato Militare d’Italia, viene costituito ufficialmente il “Comitato delle Patronesse per l’Assistenza Spirituale alle Forze Armate”, con lo scopo principale di coadiuvare l’opera dei Cappellani Militari.

Alla fine della Seconda guerra mondiale, nell’agosto 1945, è nominata Presidente Nazionale Amalia, vedova del Colonnello Giuseppe di Montezemolo, Medaglia d’oro, trucidato alle Fosse Ardeatine. La nuova Presidente si dedica pazientemente all’opera di ricostruzione del Patronato, assicurando una ripresa piena e completa del Comitato di Roma e portandosi di persona, ripetutamente, nelle varie città, per incoraggiare le Sezioni a riprendere la loro attività.

Nel Congresso del 1977, fondamentale per l’approvazione del primo statuto e del primo regolamento, è sottolineata la necessità di un maggiore coinvolgimento. Viene codificata una precisa e definitiva collocazione del PASFA all’interno dell’Ordinariato Militare, attraverso l’articolo 3 dello Statuto che stabilisce, in rapporto alle linee direttive generali ed alla nomina del Presidente Nazionale, una diretta dipendenza dall’Arcivescovo Ordinario Militare. Un inserimento nel contesto ecclesiale italiano sarebbe stato perfezionato nel 1984 dal riconoscimento ufficiale da parte della Conferenza Episcopale Italiana, riconoscimento che inserisce il PASFA automaticamente nella CNAL, Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali, a fianco delle più importanti associazioni cattoliche.

I Congressi del 1983 e 1985 modificano in parte lo Statuto: nel 1983 viene tolta la tradizionale limitazione di iscrizione alle sole donne e nel 1985 il nuovo articolo 1 decreta la fine dell’idea di “Patronato” in favore di quella più impegnativa e complessa, ma decisamente più attuale e significativa, di “Associazione di volontariato”. Si tratta di una scelta definitiva di stile: quello della disponibilità, del coinvolgimento personale e della gratuità, aspetti peculiari del volontariato, insieme con quello dell’autentica carità cristiana e della testimonianza rivolta ai Militari di ogni ordine e grado, senza distinzioni di Arma, di appartenenza o di fede religiosa. Negli anni ottanta l’Ordinario Militare, Monsignor Bonicelli, svolse una determinante azione di incoraggiamento ad intraprendere la via del rinnovamento. La Presidenza Nazionale, guidata dal 1985 al 1999 da Ada Nardini, avviò un concreto programma di formazione dei Soci ed un’analisi più attenta dell’ambiente militare, in vista di un’azione più incisiva dell’Associazione, da realizzare anche attraverso una concreta collaborazione, oltre che con i Cappellani, con i Comandi e con i Militari. Intanto il dialogo avviato con altre associazioni cattoliche italiane offre l’opportunità di far conoscere e comprendere l’autentica realtà delle Forze Armate.

Nel 1986 la Santa Sede, con la Costituzione Apostolica “Spirituali Militum Curae”, definisce gli Ordinariati Militari di ogni nazione vere e proprie Diocesi e sancisce l’appartenenza del PASFA all’Ordinariato stesso.

Nel 2002, l’Arcivescovo Ordinario Militare Monsignor Giuseppe Mani, il Consiglio Direttivo Nazionale e le Sezioni si rendono conto della necessità di adeguare lo Statuto dell’Associazione alle leggi vigenti in materia di volontariato. Viene quindi elaborato un nuovo Statuto (28 febbraio 2003) e viene inoltrata alla Prefettura di Roma la richiesta per l’ottenimento della personalità giuridica, che viene concessa il 6 giugno 2005. Con il nuovo Statuto, il Presidente Nazionale non è più nominato dall’Arcivescovo, ma dal Consiglio Direttivo Nazionale, a sua volta eletto dall’Assemblea Generale dei Soci Ordinari[4].

È chiaro che i fini perseguiti dal P.A.S.F.A. siano simili, se non uguali, alla costituenda associazione.

Infatti, seppur il P.A.S.F.A. sia nato in un periodo abbastanza remoto (1915) e abbia ottenuto la personalità giuridica nel 2005, quindi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 66/2010, non sembra non “garantire l’efficace assolvimento dei compiti spettanti alle Forze Armate”[5]. Pertanto, visto anche il precedente, ci si sarebbe potuti, senz’altro, determinare favorevolmente al riconoscimento dell’ente.

  1. Esercizio della libertà di religione attraverso una associazione c.d. di fatto.

Nella sentenza in commento, i Giudici concludono riconoscendo la possibilità di perseguire gli scopi dell’ente con modalità diverse rispetto a quelle di un’associazione riconosciuta.

Infatti, il richiamo, implicito, è agli articoli 18, comma 1[6], e 19[7] della Costituzione e agli articoli 36 ss. c.c.

L’associazione è un’organizzazione stabile, formata da una pluralità di persone (o di enti) che, avvalendosi di un patrimonio, persegue uno scopo comune, non lucrativo e meritevole alla luce dei principi fondamentali. L’associazione si costituisce con le manifestazioni di volontà dei partecipanti di voler dar vita ad un ente, consacrate in un atto costitutivo, al quale è allegato lo statuto, ossia un insieme di regole, risultato dell’accordo degli associati, che individuano lo scopo, l’ordinamento interno e l’amministrazione[8].

Non si può, poi, non tenere in considerazione l’opinione secondo la quale il fenomeno associativo è unitario se ci si trova in presenza di un’organizzazione che ha chiesto e ottenuto il riconoscimento, se la richiesta è stata inoltrata, ma il riconoscimento non è ancora intervenuto, se non si intende ottenere la personalità giuridica. Una conferma si evince dal codice del terzo settore che prevede l’unitarietà di disciplina per associazioni, riconosciute e non, in ragione della esigenza prioritaria di una lettura funzionale del fenomeno secondo la meritevolezza dell’attività svolta[9].

  1. Conclusioni

Alla luce di quanto innanzi sostenuto, una interpretazione combinata degli articoli 2, 3, 18, 19, 52, comma 3, della Costituzione, degli articoli 1465, 1471 e 1475 c.o.m. e degli articoli 36 ss. c.c. e 4 del codice del terzo settore, nonché l’esperienza diretta del P.A.S.F.A.  impone  di concludere in senso favorevole al riconoscimento di un’associazione, non avente scopo di lucro, ma con l’intento di: promuovere e favorire, nel rispetto delle normative vigenti, nella comunità militare, tra le Forze di Polizia e dell’Ordine, la diffusione della Bibbia e la testimonianza personale, in collaborazione con i Cappellani, i Ministri di Culto e i Membri di chiese locali, che condividevano i principi di Fede, etici e spirituali dell’ente; promuovere e sostenere iniziative finalizzate alla promozione sociale e alla crescita spirituale di ogni persona, l’integrazione della sua dimensione umana e spirituale, della solidarietà e fratellanza, dell’equità e giustizia sociale, nella prospettiva cristiana e sostenere l’etica cristiana e militare, alla luce degli insegnamenti Biblici; fornire assistenza spirituale ai propri membri e a coloro che ne avessero fatto richiesta.

Invero, seppur sia identificato il diritto di perseguire gli scopi dell’ente con modalità diverse rispetto a quelle di un organismo riconosciuto, è pur vero che, vista l’equiparazione tra associazioni riconosciute e non, non potrebbe non condividersi la possibilità di istituzionalizzare l’ente stesso.

Se, attraverso un’associazione non riconosciuta, non è inficiato l’assolvimento dei compiti spettanti alle Forze Armate, non si comprende il motivo per il quale, invece, il riconoscimento dell’organismo possa, in qualche modo, alterare l’assetto militare.

Ergo, ci si auspica che, nell’espressione della discrezionalità amministrativa, gli Addetti ai Lavori, effettuando un’analisi alla stregua dei tre elementi ricostruiti dalla giurisprudenza sovranazionale (legalità, scopi legittimi e proporzionalità), tengano in considerazione anche il presupposto per il quale, mutatis mutandis, l’istituzionalizzazione o meno di un’associazione non potrà mai prevalere sul principio di libertà religiosa, sancito ex art.19 Costituzione.

[1] Il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale

[2] Ai sensi dell’art.19 Cost.: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.”.

[3] https://www.esercito.difesa.it/organizzazione/associazioni/Associazioni-dInteresse-Pubblico/Pagine/Associazione-per-l-Assistenza-Spirituale-alle-Forze-Armate.aspx

[4] https://www.ordinariatomilitare.it/2019/07/08/cenni-storici/

[5] Consiglio di Stato, IV sezione, 28.07.2005, n.4012.

[6] I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.

[7] Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

[8] P. PERLINGIERI, Manuale di Diritto Civile, 9° edizione interamente riveduta e integrata con indicazioni giurisprudenziali, Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2018, p.164, ISBN 978-88-495-5353-2.

[9] Ivi, p.165.

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