giovedì, Marzo 28, 2024
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Diritto e intelligenza artificiale dei robot: verso una rivoluzione giuridica?

I robot fanno ormai parte della nostra vita quotidiana senza che il diritto vi abbia prestato particolare attenzione. Dalle automobili all’assistente intelligente, l’evoluzione di queste tecnologie, dotate di una capacità di azione autonoma, non può tuttavia lasciare indifferente.  Con un aspetto che lo umanizza, il robot diventa un assistente per i malati, gli anziani o i bambini, come il robot Nao, commercializzato nel 2006[1]. Combatte al fianco dei soldati, come nel caso del robot killer SGR-A1 utilizzato dalla Corea del Sud per prevenire le intrusioni sul suo territorio. Ricopre il ruolo di animatore commerciale, come il robot Pepper che Nestlé ha utilizzato per animare dei punti d’ informazione e vendita in Giappone. Può essere eletto membro di un consiglio di amministrazione e disporre del diritto di voto, come avvenuto in una società di Hong Kong nel maggio 2014 o addirittura ottenere la cittadinanza onoraria come  Sophia[2].

Le caratteristiche di questi androidi sono eterogenee. Si reputa quindi essenziale soffermarsi, preliminarmente, sul concetto di robot. Creazione dello spirito umano, il robot è un bene commerciale in quanto può essere brevettato, fabbricato per essere venduto e detenuto. Tuttavia alla luce delle nuove innovazioni tecnologiche, capaci di rendere i cervelli artificiali equivalenti ai cervelli umani, tale descrizione non sembra più essere pertinente.

In considerazione del crescente grado di autonomia acquisito dai robot, che consente loro di reagire all’ambiente esterno ma anche di interagire in modo indipendente con terze parti, secondo alcuni, sembra auspicabile l’attribuzione della personalità giuridica autonoma. Tra i maggiori esponenti di tale corrente di pensiero, detta intelligenza artificiale forte, ricordiamo Turing, autore dell’opera Computing Machinery and Intelligence. Secondo il “test di Turing” un calcolatore è paragonabile alla mente umana se, stabilita un’appropriata serie di domande per saggiare le capacità  mentali, una persona esperta non è  in grado di distinguere tra le risposte date dal calcolatore e quelle di un essere umano[3]. Sotto questo profilo, il cervello elettronico, al pari del cervello umano, sarebbe meritevole di una tutela per soggettività. Più recentemente Mady Delavaux, deputata lussemburghese al Parlamento Europeo, ha  presentato una proposta per l’adozione di un sistema normativo comune nel settore della robotica che mira al riconoscimento della personalità giuridica dei robot, della loro responsabilità civile verso terzi e dell’obbligo di versamenti previdenziali per il lavoro svolto[4].

Secondo la concezione minimalista, invece, tra i cui sostenitori ricordiamo Searle, un calcolatore che abbia superato il “test di Turing” è  soltanto un ottimo strumento per controllare i nostri ragionamenti,  per stabilire in modo rapido se sono giusti o sbagliati, ma non è un essere pensante. Le macchine sono solo capaci di eseguire regole formali e non in grado di comprendere il significato degli atti che compiono: possono simulare il pensiero umano ma non replicarlo. Pertanto i robot, anche quelli molto intelligenti, non possono travalicare il limite necessario al riconoscimento della qualifica di soggetti[5].

In una fase in cui l’essere umano non è più l’alfa e l’omega della legge, dove la funzionalità della personalità giuridica disincarnata è la forza delle persone morali, non possiamo più ignorare la domanda. Può essere auspicabile un’evoluzione delle regole di diritto per tenere conto dell’esistenza di questi oggetti dotati d’intelligenza artificiale e in grado di interagire con gli esseri umani? Può dunque loro essere riconosciuto un livello di soggettività ?

L’attribuzione di una personalità giuridica modellata su quella della persona morale

Secondo alcuni autori il “robot persona” deve avere il suo posto nella società del XXI secolo, come lo ha avuto nella società del XIX secolo la persona  morale[6]. Il diritto infatti può concedere, attraverso delle finzioni,  la personalità giuridica a qualsiasi ente astratto o concreto, come associazioni e società. E’ con questo spirito che la Nuova Zelanda ha recentemente dotato un fiume della personalità giuridica in modo tale che i suoi diritti possano essere difesi davanti ad un tribunale. Con questo in mente, sembra inconcepibile che i robot possano avere meno diritti rispetto alle persone morali o addirittura a certi fiumi. Attraverso l’attribuzione della personalità legale questi potrebbero diventare titolari di un’identità. Si propone di fornire loro un numero identificativo paragonabile ai numeri di previdenza sociale usati per uomini e donne. Inoltre, secondo alcuni autori, è auspicabile il riconoscimento di un loro patrimonio proprio: in tal modo i robot potrebbero risarcire direttamente le terze parti in caso di danno.

Tuttavia l’interesse stesso di questa categorizzazione è discutibile. A differenza della società persona morale, che rappresenta un gruppo e un oggetto specifico, lo scopo della personalità giuridica riconosciuta al robot è solo quello di regolare meglio le conseguenze legali delle sue azioni[7]. Ma non è certo che la tutela legale sia migliorata in presenza di un robot dotato di personalità giuridica, ad esempio per quanto riguarda la compensazione della vittima dei danni cagionati dagli automi. In ogni caso, la riparazione sarebbe realmente garantita solo dalla copertura del rischio robotico da parte dell’assicurazione, che può essere sottoscritta dal proprietario del robot senza la necessità di renderlo una persona giuridica. Aggiungiamo che il loro riconoscimento come soggetti di diritto potrebbe avere l’effetto di deresponsabilizzare costruttori e utilizzatori, i quali non si limiterebbero più a sviluppare e utilizzare robot non pericolosi, se la loro responsabilità personale venisse esclusa a priori.

I vantaggi di questo status non sono sufficientemente provati per giustificare una trasformazione dei nostri concetti legali. La creazione di una nuova finzione legale sembra dunque essere inopportuna e altri modi possono essere esplorati per creare un quadro legale applicabile ai robot intelligenti.

Altre possibili soluzioni

Secondo alcuni è possibile, pur mantenendo la sua qualifica di oggetto, considerare la creazione di un regime legale speciale adattabile a questa “cosa intelligente”, come quello applicato agli animali. Anche se le due situazioni sono naturalmente incomparabili, la comprensione legale dell’animale può servire da modello per quella del robot.

La responsabilità per danni cagionati da animali è disciplinata dall’art 2052 cod. civ., che così recita: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito” .

La perdita di controllo del proprietario o dell’utilizzatore sul robot sarebbe quindi risolta per analogia con la situazione dell’animale che sfugge al suo proprietario o utente. L’intervento dell’automa per la commissione del danno sarebbe sufficiente per far ricadere la responsabilità sul suo proprietario. Inoltre, l’utilizzo di un tale modello lo proteggerebbe dalle azioni dannose commesse dagli esseri umani, attraverso il riconoscimento di alcuni diritti. Allo stesso modo in cui il codice penale sanziona gli attacchi alla vita o all’integrità dell’animale, sarebbe possibile punire gli attacchi degli uomini nei confronti dei robot.

Pertanto, l’adozione di una regolamentazione legale dei robot basata su quella esistente per gli animali può essere rilevante.

Altre proposte consistono invece a stabilire delle carte dei diritti dei robot e dei progetti sono in corso in diversi paesi come la Corea del Sud e gli Stati Uniti. Questi sono principalmente finalizzati a concedere dei diritti ai robot e ad inquadrare l’ambito delle loro applicazioni[8]. Ciò includerebbe la promozione di usi etici e l’invocazione di una certa deontologia in termini di funzionalità dei robot, soprattutto per impedire il loro utilizzo deviato, come quello che si realizza nel contesto dei robot killer. Come Isaac Asimov sottolinea nelle sue famose leggi della robotica, un robot non deve mettere in pericolo un umano. I “lucchetti” fisici e i dispositivi di sicurezza sulla macchina possono già limitarne gli usi anomali. Ma per evitare un possibile uso eccessivo o distorto, alcuni si interrogano sullo sviluppo di una carta etica programmabile nelle macchine, una sorta di “agente morale artificiale” che richiama l’imperativo categorico kantiano. In tale contesto Ron Arkin, professore alla School of Computing al Georgia Institute of Technology, suggerisce di programmare nelle macchine un insieme di regole che costituiscano una forma di coscienza artificiale. La prospettiva sarebbe quella di garantire ai robot la possibilità di scegliere tra diverse modalità di azione e fare questa scelta in considerazione delle più semplici leggi “morali”.

Conclusione

La riflessione realizzata poc’anzi è essenziale per stabilire il rispettivo posto dell’uomo e dei robot intelligenti nella società attuale e futura. Per il momento, non sembra opportuno conferire uno status ai robot, e anche in futuro è meglio tenerli nella categoria degli “oggetti”. L’uomo deve assumersi le conseguenze delle sue scelte, anche se non controlla la totalità del processo decisionale e dei risultati generati. Quando l’uso dei robot intelligenti sarà massiccio nella vita quotidiana delle persone e imprese i cambiamenti nel trattamento giuridico dei robot intelligenti dovrebbero portare a costruire un sistema basato sulla loro qualificazione di “beni speciali”.

Se ad oggi l’adattabilità del nostro sistema giuridico può  evitare una “rivoluzione legale”, opportune valutazioni e riflessioni sulla sua evoluzione sono inevitabili alla luce del prevedibile progresso tecnologico.

 


[1]

[2]L. Berto  La responsabilità civile dei robot: dalla Risoluzione del Parlamento Europeo all’articolo 2043 c.c., dicembre 2017, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/responsabilita-civile-dei-robot-risoluzione-parlamento-europeo-art-2043-cc-6626

[3]A. M. Turing, Computing Machinery and Intelligence,in ‘Mind’, 59, 236, 1950; A. M. Turing, Calcolatori e intelligenza, in D. R. Hofstadter, D. C. Dennett (a cura di) L’io della mente, Adelphi, 1985, 61-100.

[4]Proposta di risoluzione del Parlamento europeo recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2103 (INL) http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A8-2017-0005+0+DOC+XML+V0//IT#title2

[5]J. R. Searle, Minds, Brains and Programs, in The Behavioral and Brains Sciences, 3, Cambridge Unuversity Press, 1980. J. R. Searle, Menti cervelli e programmiin D. R. Hofstadter, D. C. Dennett, cit, 341-375.

[6]euRobotics The European Robotics Coordination Action, Suggestion for a green paper on legal issues in robotics, disponibile qui: https://www.unipv-lawtech.eu/files/euRobotics-legal-issues-in-robotics-DRAFT_6j6ryjyp.pdf

[7]Simone Cedrola, Robot e responsabilità penale: prospettive attuali e future, maggio 2017, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/robot-responsabilita-penale-prospettive-attuali-future-2764

[8]A. Bensoussan, Droit des robots : science-fiction ou anticipation ?, D. 2015. 1640 ; Plaidoyer pour un droit des robots: de la « personne morale » à la « personne robot », La Lettre des juristes d’affaires, 23 oct. 2013, n° 1134.

Arianna Valeriani

Laureata in Giurisprudenza presso l'Université Paris I Panthéon-Sorbonne, con specializzazione in diritto pubblico, con il massimo dei voti. Dopo aver integrato la sua formazione, come Visiting Student, presso l'Università di Cambridge e l'Università della California Los Angeles (UCLA), continua i suoi studi presso l'Université Paris I Panthéon-Sorbonne, conseguendo un Master di primo livello in Diritto Internazionale. Particolarmente interessata all'applicazione del diritto nell'era digitale, si candida ed è ammessa  all'edizione 2018-2019 del LL.M in Law of Internet Technology, presso l'Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano. La sua formazione le permette di avere una conoscenza livello madrelingua della lingua francese e inglese, oltre ad una buona padronanza della lingua spagnola.

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