Disabilità e web design: una nuova sfida per la Compliance?
In America, il rischio di non-compliance alle disposizioni in tema di accessibilità dei siti web a persone con disabilità è dietro l’angolo, come testimoniato dalle numerose controversie legali degli ultimi anni. Tuttavia, nonostante l’esistenza di una legislazione a tratti simile in Italia, ad oggi questo tema risulta ancora poco conosciuto nel nostro Paese.
1. Americans with Disabilities Act e web accessibility
L’Americans with Disabilities Act (“ADA”) è una legge americana del 1990 che vieta la discriminazione nei confronti degli individui con disabilità in tutti i settori della vita pubblica, inclusi il lavoro, le scuole, il trasporto e tutti i luoghi pubblici e privati aperti alla generalità del pubblico[1]. Nel 2010 l’ambito di operatività di tale normativa è stata esteso anche ai siti internet, mediante l’adozione degli ADA Standards for Accessible Design[2] che, introducendo il concetto di web accessibility, prevedono ora che il contenuto dei siti internet debba essere consultabile anche dalle persone con disabilità[3].
In un simile contesto, le agenzie di web design americane sono subito corse ai ripari per assicurarsi che i siti web realizzati per i propri clienti non avessero solo un aspetto professionale e in linea con i relativi brands, ma fossero anche compliant alle disposizioni previste nell’ADA. In caso di non-conformità, infatti, i clienti sarebbero esposti al rischio di controversie legali.
Ciò è accaduto, ad esempio, con la class action promossa da una donna con problemi visivi contro la società di produzione di Beyoncé, la quale non era in grado di accedere a funzioni chiave del sito della cantante a causa della difformità, tra l’altro, con le Web Content Accessibility Guidelines 2.0 (“WCAG 2.0”). In particolare, questa lamentava la mancanza di alt-tex o tag sulle immagini per fornire, tramite screen reader, delle descrizioni su quanto rappresentato, l’impossibilità di accedere alla keyboard tab e ai menu a tendina per consentire il click-through della pagina.
Altrettanto celebre è il caso “Robles v. Domino’s Pizza”, in cui un uomo cieco sosteneva di non poter ordinare il cibo né tramite app mobile né tramite sito web, malgrado l’utilizzo di un software per la lettura schermo (per approfondire, si riporta il video del processo: https://www.youtube.com/watch?v=jc6LG8PTvGA).
Questi ed altri giudizi testimoniano come negli USA la mancanza di funzionalità che rendano fruibile un sito web anche alle persone con disabilità faccia sì che la conformità all’ADA costituisca un aspetto vitale del web design.
2. Il ruolo della compliance
Al fine di creare siti internet conformi agli ADA Standards ed ai requisiti WCAG 2.0, si è reso necessario adottare una serie di misure, tra cui quella di fornire un testo alternativo per le immagini web ed i contenuti non testuali: in questo modo, gli utenti con disabilità visive possono servirsi dello screen reader per “ascoltare” ciò che è rappresentato sullo schermo, ricevendo, dunque, descrizioni accurate.
Un altro aspetto critico del design conforme alla web accessibility è la navigazione da testiera. E infatti, come i non vedenti si affidano allo screen reader per ridurre il gap dovuto alla propria disabilità, così gli utenti con difficoltà motorie e menomazioni possono affidarsi ad una tastiera per navigare sui siti web. Pertanto, l’ordine di tabulazione del web design dovrebbe seguire il flusso visivo della pagina: dall’alto verso il basso, da sinistra verso destra e dall’intestazione verso la navigazione principale, ecc. In questo modo, tutte le componenti interattive sono ordinate, prevedibili ed accessibili, garantendo agli utenti la possibilità di utilizzare un’unica tastiera[4].
Tuttavia, uno dei fattori che rema contro la conformità agli ADA Standards è il costo, dal momento che la progettazione dei siti ha un prezzo elevato: difatti, a seconda della grandezza e complessità del sito web, il suo proprietario potrebbe dover pagare oltre 5.000 $ per renderlo conforme tramite metodi manuali, con l’aggravante che, in caso di aggiornamento, potrebbero essere riscontrate delle lacune, che generano situazioni di non-conformità.
3. E in Italia?
Il nostro Paese ha risentito molto della sensibilizzazione, su scala europea, in tema di web accessibility. Nel febbraio 2014, infatti, il Parlamento europeo ha approvato un progetto di legge che ha sancito l’accessibilità totale dei siti web gestiti da settori pubblici e, nell’ottobre 2016, ha emanato una direttiva in tal senso[5] sia per i siti web che per le applicazioni mobile[6], ad eccezione dei siti e delle applicazioni delle emittenti di servizi pubblico.
In Italia, la web accessibility – rientrante tra i diritti costituzionalmente garantiti di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione – è regolamentata dalla Legge Stanca del 2004[7], che riconosce il diritto di ogni cittadino ad accedere ed utilizzare tutte le informazioni ed i servizi presenti online, tutelando, in particolare, le persone disabili attraverso “tecnologie assistive”[8].
Tuttavia, differentemente da quanto accade negli USA, l’obbligo di applicazione della legge è ristretto ai soli siti della pubblica amministrazione ed ai servizi di pubblica utilità, nonché ai soggetti che beneficiano di contributi pubblici per lo sviluppo di servizi informatici. E infatti, soggetti destinatari di tale legge sono:
- Le pubbliche amministrazioni;
- Gli enti pubblici economici;
- Le aziende private concessionarie di servizi pubblici;
- Gli enti di assistenza e di riabilitazione pubblici;
- Le società di trasporto e di telecomunicazione a prevalente partecipazione di capitale pubblico;
- Le aziende municipalizzate regionali[9];
- Le aziende appaltatrici di servizi informatici.
La legge, inizialmente basata sulle WCAG 1.0, nel 2013 è stata aggiornata alle WCAG 2.0 e, nell’agosto 2018, si è conformata alla Direttiva europea in materia di accessibilità web e mobile. Tuttavia, come indicato nello stesso capitolo relativo ai requisiti per l’accessibilità delle Linee guida per i siti web della PA del Ministro per la pubblica amministrazione, “a distanza di alcuni anni, i siti della pubblica amministrazione italiana presentano ancora un livello eterogeneo di adeguamento alla normativa sull’accessibilità degli stessi siti web che risultano, nel complesso, ancora poco accessibili. A fronte di situazioni di eccellenza, molti siti web pubblici non permettono a tutti i cittadini un pieno accesso ai servizi erogati sul web e non risultano totalmente accessibili (…) Già nel 2001 il Ministro per la funzione pubblica pro tempore aveva emanato una circolare esplicativa (…) il ritardo da parte delle amministrazioni risulta ancora meno comprensibile e giustificabile”.
Al fine di coadiuvare le amministrazioni nell’implementazione della web accessibility, l’AgID (i) assiste le pubbliche amministrazioni nell’implementazione della normativa; (ii) mette a disposizione delle pubbliche amministrazioni modelli per l’autovalutazione; (iii) gestisce le segnalazioni di inaccessibilità; (iv) gestisce l’elenco dei valutatori di accessibilità; (v) concede il logo di accessibilità a chi lo richiede; (vi) definisce e pubblica le “Specifiche tecniche sulle prestazioni di lavoro” per i lavoratori disabili; (vii) controlla i siti web delle amministrazioni con lo scopo di far rispettare i requisiti tecnici di accessibilità; (viii) risponde a domande poste dagli enti riguardo l’accessibilità dei siti; (ix) aggiorna la pubblica amministrazione sui temi di accessibilità; (x) partecipa alle riunioni dell’Osservatorio Nazionale sulle Disabilità (“OND”).
Gli interessati che rilevino inadempienze in ordine all’accessibilità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni e da privati concessionari di servizi pubblici possono presentare una formale segnalazione all’Agenzia per l’Italia Digitale (“AgID”), anche in via telematica, al fine di ottenere l’adeguamento dei servizi entro il termine di 90 giorni[10]. Le sanzioni applicabili in questi casi sono la nullità del contratto ed un regime di responsabilità di tipo dirigenziale e disciplinare.
[1] “What is the Americans with Disabilities Act (ADA)?”, ADA National Network, https://adata.org/learn-about-ada.
[2] “ADA Standards for Accessible Design”, ADA National Network, https://www.ada.gov/2010ADAstandards_index.htm.
[3] A ben vedere, la normativa ADA impatta, oltre che sugli americani con disabilità, anche su famiglie, tutori ed amici di questi ultimi, e sulle agenzie governative locali e statali, sulle aziende di public benefit e sui datori di lavoro privati che abbiano 15 o più lavoratori
[4] “Web design service providers at risk of lawsuits due to ADA compliance”, The Yucatan Times, https://www.theyucatantimes.com/2020/02/web-design-service-providers-at-risk-of-lawsuits-due-to-ada-compliance/, 17 febbraio 2020.
[5] Direttiva (UE) 2016/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016, relativa all’accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici.
[6] Per i siti web il termine per il recepimento da parte degli Stati membri era fissato per il 23 settembre 2018, mentre per le applicazioni mobile il termine è più lungo (23 giugno 2021).
[7] Legge 9 gennaio 2004, n. 4 (“Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”).
[8] Per “tecnologie assistive” si intendono gli strumenti e le soluzioni tecniche, hardware o software, che permettono alla persona disabile, superando o riducendo le condizioni di svantaggio, di accedere alle informazioni e ai servizi erogati dai sistemi informatici.
[9] Art. 3, legge 9 gennaio 2004, n. 4.
[10] L’art. 9, comma 8 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, prevede che l’AgID è chiamata a ricevere le segnalazioni. Qualora le ritenga fondate: (i) richiede al soggetto erogatore l’adeguamento dei servizi alle disposizioni in tema di accessibilità; (ii) assegna al soggetto un termine, non superiore a 90 giorni, per adempiere.
Andrea Amiranda è un Avvocato d’impresa specializzato in Risk & Compliance, con esperienza maturata in società strategiche ai sensi della normativa Golden Power.
Dal 2020 è Responsabile dell’area Compliance di Ius in itinere.
Contatti: andrea.amiranda@iusinitinere.it