giovedì, Marzo 28, 2024
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Discrezionalità amministrativa e sindacabilità giurisdizionale

  1. Dalla norma alla discrezionalità amministrativa

Tradizionalmente, si usa distinguere le norme dell’ordinamento che disciplinano la materia amministrativa tra cdd. “norme di relazione” e cdd. “norme di azione[1]. Difatti: mentre le prime opererebbero secondo lo schema norma-fatto-effetto; le seconde agirebbero seguendo, invece, il modello norma-potere-effetto.

In una simile prospettiva, emerge come il gradiente giuridico atto a differenziare tali categorie di norme giuridiche sia quello del momento in cui avviene il bilanciamento tra i vari interessi coinvolti e disciplinati in astratto dalla normativa medesima. Così, se per le norme di relazione tale bilanciamento risulta già integralmente valutato e disciplinato dalla norma e nella norma, esattamente all’opposto per le norme di azione il momento di ponderazione degli interessi coinvolti risulta rimesso al soggetto cui viene riconosciuto dalla norma stessa il potere di disporre l’effetto.

Muovendo da simili premesse, emerge come il legislatore, optando per la tecnica normativa e dispositiva della norma di azione, finisca con il devolvere un certo quantum del proprio potere in favore di quei soggetti giuridici ch’egli ritenga meritevoli di una simile attribuzione. Ciò è esattamente quanto avviene rispetto alla Pubblica Amministrazione (PA) ed ai poteri ad essa riconosciuti dall’ordinamento, in ragione degli specifici uffici cui la stessa è preposta[2].
In particolare, il quantum di potere riconosciuto alla PA (rectius al soggetto amministrativo) corrisponderà alla porzione di potere proprio del legislatore ritagliata dalla norma (di azione) che sancisce ed affida il potere medesimo a quello specifico soggetto giuridico.

Pertanto, il potere riconosciuto alla cd. “amministrazione in senso soggettivo” al fine di svolgere la cd. “amministrazione in senso oggettivo”[3] risulterà delimitato e vincolato al rispetto dalla normativa che lo riconosce e lo attribuisce ad un determinato soggetto giuridico. Infatti, il rispetto di tale ultimo assioma risulta imposto dal principio di legalità[4] (nonché dal principio di separazione dei poteri) posto che, qualora fuoriuscisse dai binari normativi, il soggetto amministrativo finirebbe con l’esercitare in via autonoma e diretta un potere posto al di fuori delle proprie attribuzioni.

Da tale assunto deriva il cd. “principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi”, essendo questi ultimi la diretta espressione dell’esercizio di quel potere menzionato in precedenza.

Com’è noto, all’interno dell’attività amministrativa, è possibile distinguere tra atti amministrativi (in senso stretto) e provvedimenti amministrativi, essendo solamente gli stessi provvedimenti amministrativi esercizio del potere riconosciuto dalla norma di azione di riferimento. Nello specifico, il provvedimento amministrativo si caratterizza per un margine di operatività rimesso al volere della PA e che si sostanzia nel margine di discrezionalità ad essa riconosciuto in tema di an e/o quando e/o quid e/o quomodo[5].

Conseguentemente, è da tale margine di apprezzamento rimesso all’autonomia del soggetto amministratore (cd. “discrezionalità amministrativa[6]) e dall’esercizio dello stesso che dipenderà il momento di ponderazione degli interessi coinvolti dagli effetti dell’esercizio del potere amministrativo (completandosi, per tale via, la catena indicata dallo schema proprio delle norme di azione).

  1. Discrezionalità amministrativa e sindacato giurisdizionale

Inquadrato e localizzato il concetto di discrezionalità amministrativa da un punto di vista ordinamentale, è possibile spostare l’obiettivo sulla discrezionalità amministrativa medesima, procedendo ad un’analisi della medesima tipologia che ha condotto alla sua definizione.

Infatti, se la discrezionalità amministrativa rappresenta l’esercizio di quel potere amministrativo che rappresenta a sua volta la diretta emanazione del potere legislativo (limitata e disciplinata da quest’ultimo), consegue che un primo quesito che bisogna necessariamente porsi è se ed in quale misura la stessa possa esser sindacata in sede giurisdizionale.

2.1 Difformità rispetto al paradigma normativo

Indubbiamente, censurabili da parte del giudice risulteranno tutte le eventuali doglianze relative al discostamento dell’esercizio concreto del potere amministrativo rispetto alla norma di azione che lo riconosce e disciplina (e, pertanto, doglianze riconducibili alle tradizionali categorie di violazione di legge, eccesso di potere e competenza[7]): infatti, in simili ipotesi, si tratterà di esercizio di un potere solo “apparentemente” riconosciuto (quantomeno con riferimento ad uno dei presupposti del provvedimento viziato) da una norma di azione.

2.2 Vizi di merito

Diversamente, appare più complessa la questione relativa alla sindacabilità giurisdizionale dei cd. “vizi di merito”[8] del provvedimento amministrativo per ciò che riguarda l’“area” della discrezionalità amministrativa.

A questo punto occorre porre una premessa: l’attività amministrativa che discende dall’esercizio di un potere riconosciuto da una norma di azione consiste tanto in attività cd. “vincolate” (ovverosia interamente disciplinate dal dettato normativo), quanto in attività discrezionali (nel senso di cui sopra).

Ebbene, all’interno di questa seconda area dell’attività amministrativa, trova spazio il cd. “merito amministrativo[9], ovverosia quello spazio di manovra riconosciuto dalla norma di azione ad un soggetto amministratore al fine di poter liberamente scegliere tra quel ventaglio di opzioni concretamente attuabili di cui disponga il soggetto medesimo nell’esercizio di quel potere ad egli riconosciuto in forza della normativa stessa. Sotto questo punto di vista, il merito amministrativo rappresenta l’area sicuramente posta al di fuori della sindacabilità giurisdizionale e ciò in quanto laddove non si ammettesse una simile sottrazione di giurisdizione si finirebbe con il riconoscere un’inammissibile (sotto il profilo della divisione dei poteri) ingerenza del potere giurisdizionale rispetto al potere amministrativo, nonché una violazione del principio di legalità[10].

Più esattamente, unico sindacato ammissibile da parte del giudice circa la scelta della PA è quello relativo all’appartenenza dell’alternativa attuativa adottata a quel ventaglio di opzioni concretamente disponibili alla stessa al fine di esercitare il potere amministrativo. In altre parole, si tratta di un sindacato cd. “esterno” rispetto all’agire amministrativo, il quale si baserà sul criterio di logicità-congruità[11] cui è tenuta ad uniformarsi la PA al momento del bilanciamento degli interessi coinvolti dal proprio agire.

In una simile prospettiva, è possibile aprire una finestra sulla tematica della sindacabilità della cd. “discrezionalità tecnica[12]. Infatti, le scelte attuative del potere riconosciuto alla PA possono avere quale presupposto tanto la valutazione di cdd. “fatti semplici”, quanto la valutazione di cdd. “fatti complessi”. La distinzione è tutt’altro che di poco conto circa il profilo della sindacabilità di tali opzioni. Difatti: mentre i fatti semplici sono quei fatti i quali possono esser valutati solo in due direzioni, vale a dire quella positiva o quella negativa (declinabili nei termini di sussistenza o insussistenza del fatto in senso lato[13]); i fatti complessi richiedono un’ulteriore valutazione, la quale consiste in un giudizio di tipo tecnico, ovverosia una stima del fatto (in senso lato) espressa in termini tecnico-giuridici.

Da tale dualità di tipologie di valutazione discende la distinzione della discrezionalità amministrativa rispettivamente in “discrezionalità pura” (relativa al giudizio di fatti semplici) e “discrezionalità tecnica” (relativa all’estimazione di fatti complessi)[14].

 In un simile contesto, risulta differente anche l’atteggiarsi della sindacabilità del provvedimento amministrativo da parte del giudice a seconda che essa sia il risultato dell’esercizio di una discrezionalità pura o di una discrezionalità tecnica. Più esattamente: mentre con riferimento alla discrezionalità pura risulta pacificamente ammissibile un giudizio da parte del giudice in grado di sostituirsi alla valutazione del fatto semplice proposta da parte del soggetto amministratore e ciò in virtù della considerazione che, previa un’adeguata istruttoria, il giudice possa disporre dei mezzi sufficienti al fine di valutare in maniera adeguata la “direzione” (positiva o negativa) del fatto semplice[15]; al contrario, in occasione del giudizio in materia di fatti complessi la possibilità di operare un sindacato di legittimità sul merito da parte del giudice risulta alquanto problematica e tutt’altro che pacifica tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza.

Anzitutto, è opportuno segnalare che sindacati di questo tipo da parte del giudice sono comunemente definiti come “sindacati interni[16] (anche se taluni autori preferiscono parlare di “sindacati intrinseci”[17]), in quanto fanno riferimento al contenuto della scelta operativa adottata dalla PA (e non ai suoi presupposti, come nel caso del sindacato esterno o estrinseco). In questo scenario, le opzioni tra le quali risulta oscillare tanto la dottrina quanto la giurisprudenza (anche comunitaria[18]), sono quelle di riconoscere al giudice in tema di discrezionalità tecnica un sindacato intrinseco di tipo forte o di tipo debole (ed è questa, ad oggi, l’opzione dominante[19]).

In effetti, riconoscere una sindacabilità giurisdizionale intrinseca di tipo forte, significa riconoscere al giudice la possibilità di sostituirsi integralmente alla volontà della PA (s’intenda: previa istruttoria dotata di sufficiente ed idonea capacità di tipo tecnico-scientifico in grado di coadiuvare effettivamente ed efficacemente il giudizio) e ciò con l’evidente rischio di uno sconfinamento all’interno dell’attribuzione propria del potere amministrativo (e prima ancora del potere legislativo). Pertanto, se una simile conclusione può risultare ammissibile in tema di discrezionalità pura in quanto sicuramente produttiva di una mera “correzione” della soluzione adottata dalla PA (in ragione della semplicità del fatto-presupposto del provvedimento amministrativo), altrettanto non può affermarsi con riferimento ad un giudizio basato su fatti complessi, i quali, per ontologica ed intrinseca definizione, risultano caratterizzati da un coefficiente minimo di discrezionalità che non può esser posto al di fuori del merito amministrativo riconosciuto dalla norma (di azione) attributiva di quel potere amministrativo di cui il provvedimento medesimo  risulti esercizio.

Diversamente, come d’altronde sostiene la giurisprudenza maggioritaria[20], potrà riconoscersi in sede giurisdizionale una sindacabilità intrinseca di tipo debole del provvedimento amministrativo basato sull’esercizio della discrezionalità tecnica. Vale a dire, un sindacato che abbia ad oggetto la mera attendibilità delle operazioni tecniche svolte dalla PA circa la loro correttezza rispetto al criterio tecnico ed al procedimento applicativo[21]. Infatti, solo un sindacato di simile fattura consentirà di assicurare il rispetto delle attribuzioni costituzionali ed il principio di legalità.

 

Ciononostante, sebbene quanto osservato rappresenti oramai un dato certamente acquisito in dottrina e tendenzialmente riconosciuto in giurisprudenza, occorre segnalare che a tutt’oggi importante pronunce parlano di ammissibilità di un giudizio di tipo esterno da parte del G.A. nelle ipotesi in cui oggetto del giudizio sia proprio l’esercizio della discrezionalità tecnica da parte della P.A.. Infatti, talune recentissime pronunce giurisprudenziali parlano ancora di «pacifico orientamento giurisprudenziale per cui … atto di esercizio di discrezionalità tecnica, come tale assoggettabile ad un controllo solamente estrinseco da parte del Giudice amministrativo. Sicché, in ossequio al principio di separazione dei poteri, il sindacato giurisdizionale non può mai essere sostitutivo e deve limitarsi alle sole ipotesi di palese travisamento del dato fattuale, ovvero di macroscopiche irrazionalità o incongruenze»[22].

Da ultimo, occorre considerare che il legislatore, attraverso il riconoscimento prima (ex art. 16 l. 21/7/2000 nr.° 205) e la conferma poi (ex artt. 19 c.1 e 63 c.4 c.p.a. d. lgs. Nr.° 104 del 2010) del potere in capo al G.A. di disporre consulenza tecnica, pare aver inteso offrire uno strumento attraverso il quale poter accertare la validità intrinseca dei giudizi tecnici espressi dalla P.A.[23].

[1] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, 2017, pag. 338, Giuffrè, Milano.

[2] F. G. Scoca, Diritto Amministrativo, 2014, pag. 27, Giappichelli, Torino.

[3] R. Garofoli, G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, 2018, pag. 91, Nel diritto editore, Molfetta.

[4] E. Casetta, op. cit., pagg. 44 ss.

[5] Juris news, “Concetto di discrezionalità nel diritto amministrativo”, https://jurisnews.wordpress.com/2009/03/03/il-concetto-di-discrezionalita%E2%80%99-nel-diritto-amministrativo/.

[6] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit., pag. 830.

[7] E. Casetta, op. cit., pagg. 570 ss.

[8] F. G. Scoca, op. cit., pag. 335 ss.

[9] E. Casetta, op. cit., pag. 389.

[10] In quanto, come osservato in precedenza, l’esercizio del potere amministrativo (quale esercizio della specifica attribuzione di cui alla norma di azione) realizza la piena corrispondenza ad una precisa scelta del legislatore.

[11] F. G. Scoca, op. cit., pag. 207.

[12] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit., pagg. 838 ss.

[13] “Fatto” in senso lato inteso quale atto, fatto in senso stretto oppure status giuridico.

[14] Taluni autori parlano anche di cd. “discrezionalità mista” con riferimento a quelle fattispecie connotate sia da una quota parte di esercizio di discrezionalità pura, sia da una quota parte di esercizio di discrezionalità tecnica. R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit., pag. 839.

[15] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit., pag. 841.

[16] E. Casetta, op. cit., pagg. 483 ss.

[17] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit., pagg. 844 ss.

[18] Anche a seconda dello specifico Stato (e della sua propria normativa in fatto di sindacabilità dei provvedimenti amministrativi) di volta in volta preso in considerazione. R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit., pagg. 845 ss.

[19] Cons. St., Sez IV, sentenza nr.° 601, 9 aprile 1999.

[20] Ex plurimis: Cons. St., Sez V, sentenza nr.° 3807, 23 giugno 2011.

[21] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit., pag. 842.

[22] T.A.R. Milano, sez. IV, sentenza nr.° 2769, 10 dicembre 2018.

[23] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit., pag. 843.

Antongiulio Maglione

Antongiulio Maglione nasce a Napoli l'8/1/1993. Consegue la maturità classica presso il liceo "Umberto I" di Napoli nel 2011. Successivamente al conseguimento del diploma, tentato sia dagli studi giuridici sia da quelli ingegneristici, s'iscrive alla facoltà d'ingegneria della "Federico II" di Napoli, per poi risolversi definitivamente nella direzione forense. Pertanto, nell'ottobre 2012 inizia gli studi giuridici presso la facoltà di giurisprudenza della "Federico II" di Napoli, dove si laureerà con il massimo dei voti nel dicembre 2017. Durante il percorso di studi sviluppa un particolare interesse per le questioni giuridiche ed a conferma di ciò, d'intesa con il Professore di diritto penale Bruno Assumma, alla seduta di laurea espone la sua tesi intitolata "Reato impossibile ed oggetto della tutela penale". Dopo aver conseguito la laurea, la forte attrattiva per questa tipologia di studi e la passione per la giustizia lo portano a proseguire i propri studi al fine di poter partecipare al concorso per una carriera nella magistratura ordinaria. A tal fine, ha sostenuto altresì un tirocinio di 18 mesi presso il Tribunale di Sorveglianza di Napoli. In concomitanza con tali studi, animato dalla passione per l''apprendimento e per l'approfondimento, all'alba del 2019 inizia a collaborare con "Ius in itinere" attraverso la produzione di elaborati trasversali alle tre macro-aree giuridiche fondamentali. Sostiene da sempre il rispetto della vita animale e durante il tempo libero ama praticare sport, ascoltare musica ed assistere a spettacoli teatrali e cinematografici.

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