Distacco del personale: disciplina e obblighi per i datori di lavoro
Nda: Il presente articolo rappresenta il primo di una serie di elaborati volti ad esaminare normativa e implicazioni sociali del fenomeno legato al distacco temporaneo di lavoratori, alla luce della recenti modifiche introdotte in materia dalla direttiva europea approvata il 29 maggio scorso a Strasburgo.
L’integrazione dei vari paesi all’interno dell’Unione europea e la crescita rapida di un mercato comune alla stessa hanno determinato il sorgere di una nuova forma di mobilità del lavoratore, dalla dimensione transnazionale. Tale istituto impone al giuslavorista una serie di valutazioni estremamente complesse, che tendono a bilanciare l’interesse a rendere competitivo il lavoro nel contesto del mercato europeo senza togliere l’accento dalle necessarie tutele da apprestare ai lavoratori distaccati, reprimendo le disastrose conseguenze legate ai fenomeni di dumping sociale e salariale.
Si fa riferimento all’istituto del “distacco temporaneo” del lavoratore, disciplinato per la prima volta dalla direttiva 96/71/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo.
La definizione è contenuta nell’articolo 2 della direttiva e stabilisce che: “ai fini della presente direttiva, per lavoratore distaccato si intende il lavoratore che, per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio lavora abitualmente.”
Tal direttiva è stata proprio di recente modificata ad opera di un emendamento approvato il 29 maggio scorso e, pertanto, non ancora recepito nel nostro ordinamento.
L’intervento è stato, però, ritenuto necessario dal legislatore europeo al fine di arginare il pericoloso fenomeno di “dumping sociale”. Di fatto questo fenomeno determina una situazione di concorrenza sleale all’interno dell’impresa distaccataria, creando una disparità di trattamento retributivo tra lavoratori distaccati e lavoratori “locali”.
La scelta di porre un dipendente a disposizione di altro datore, presso altra impresa, rientra nell’ambito di quelli che sono i poteri del datore di lavoro e, di fatto, determina il sorgere di un rapporto trilaterale tra datore distaccante (colui che dispone il trasferimento del lavoratore presso altra impresa), datore distaccatario (colui che usufruisce della prestazione lavorativa del dipendente presso la propria impresa) e dipendente distaccato.
Alla base di tale scelta si pone, infatti, un’esigenza di natura produttiva legata alla gestione dell’impresa.
Nel nostro ordinamento il distacco di personale è stato recepito e contemplato nell’articolo 30 del decreto legislativo n° 276 del 2003 che elenca quali sono le condizioni che devono necessariamente sussistere affinché il distacco sia regolare.
Essi sono:
– l’interesse del datore di lavoro distaccante;
– la temporaneità;
– la titolarità del rapporto di lavoro in capo al datore distaccante;
– lo svolgimento di una prestazione lavorativa determinata;
Per quanto concerne il primo requisito, è necessario che sussista l’interesse del distaccante a che il lavoratore presti la propria opera presso il datore distaccatario.
Il Ministero del lavoro con la circolare n° 28/2005 ha precisato che l’interesse del datore deve essere specifico, persistente, rilevante e concreto ed esso deve sussistere “per tutto il periodo in cui il distacco è disposto, e deve essere accertato caso per caso, in base alla natura dell’attività espletata e non semplicemente in relazione all’oggetto sociale dell’impresa.”
L’interesse deve essere inteso, quindi, in un’ottica di soddisfacimento di un’ esigenza produttiva dell’impresa, pertanto può avere sia natura patrimoniale che non patrimoniale.
Con riferimento al requisito della temporaneità, occorre dire che essa va intesa come “non definitività” della prestazione, per cui tale forma di mobilità deve persistere per un arco temporale limitato e dunque determinato o determinabile a priori.
Non esistono tempi massimi di durata in quanto la stessa dipenderà dalla persistenza dell’interesse in capo al datore distaccante.
Il terzo requisito comporta che il datore distaccante resta obbligato in materia di retribuzione e contribuzione, anche se il potere direttivo e di controllo trasmigra in capo al datore distaccatario.
In capo al distaccante permangono, dunque, una serie di obblighi volti ad assicurare una tutela completa al lavoratore distaccato.
Il datore, infatti, deve provvedere al versamento dei contributi nonché all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali presso l’INAIL.
Infine, l’ultimo requisito ossia lo svolgimento di una prestazione lavorativa determinata, comporta che il lavoratore distaccato deve essere adibito ad attività specifiche che siano cioè funzionali al soddisfacimento dell’interesse proprio del distaccante.
A ben vedere in tale fattispecie il potere direttivo si scinde.
In capo al datore di lavoro distaccante permane il potere di modificare il contratto di lavoro, il distacco o anche di prevedere la revoca del distacco stesso; al datore distaccatario sono affidati invece poteri di controllo e organizzativi concernenti la previsione delle concrete modalità di svolgimento della prestazione.
Quella descritta è la disciplina vigente attualmente e sino a quando l’Italia non si conformerà all’emendamento applicato alla direttiva 96/71/CE, di cui è doveroso analizzare il contenuto. Tale emendamento è stato previsto allo specifico fine di garantire ai dipendenti distaccati la parità delle condizioni di lavoro rispetto ai lavoratori “locali” in un’ottica, quindi, perequativa.
Per farlo il legislatore europeo ha inciso in particolare sull’articolo 3 della Direttiva, concernente le condizioni di lavoro dei dipendenti distaccati. L’emendamento prevede che ogni Stato membro dovrà applicare le “stesse regole” che si applicano ai lavoratori locali. Per attuare tale previsione è stata operata la sostituzione della locuzione “tariffe salariali minime” con quella di “retribuzione”, che risulta maggiormente ampia e comprensiva di tutti gli elementi contemplati dalle disposizioni legislative e dai contratti collettivi.
E’ inoltre previsto l’ampliamento delle materie nelle quali si prevede l’operatività della legge dello Stato membro, e quindi la parità tra i lavoratori “interni” ed “esterni” allo Stato ospitante, tra le quali rientrano quelle che disciplinano le delicate questioni dell’alloggio, dell’indennità, del rimborso di eventuali spese di viaggio o trasferte lavorative.
Un altro rilevante aspetto inciso dall’emendamento è quello che riguarda la durata del distacco. L’emendamento prevede, infatti, una diminuzione della durata massima dello stesso da 24 mesi a 12 mesi, trascorsi i quali al lavoratore distaccatario dovranno essere applicate le medesime condizioni di lavoro e di occupazione previste dallo Stato membro ospitante, anche in tema di contributi.
Attualmente siamo quindi in attesa che l’Italia si conformi alla direttiva, così come modificata dall’emendamento, e sino ad allora il distacco dei lavoratori continuerà ad essere disciplinato ai sensi di quanto previsto dal decreto legislativo n° 276 del 2003.
Il distacco dei lavoratori in cifre su base europea ed il testo del recente emendamento approvato: http://www.consilium.europa.eu/it/policies/labour-mobility/posting-workers/
Fonti
- Direttiva 96/71/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1996 relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi.
- Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
- Circolare n° 28 del 24 giugno 2005, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Nata a Napoli, il 26/07/1991.
Nel marzo del 2016 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’ Università Federico II di Napoli.
Ha intrapreso il percorso di preparazione al concorso in magistratura, frequentando un corso di formazione privato presso un magistrato. Inoltre, sta perfezionando la formazione presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni legali di Napoli ed è praticante avvocato.