giovedì, Marzo 28, 2024
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Il divieto di sostituzione fedecommissaria

La sostituzione testamentaria è uno strumento attraverso cui si garantisce al testatore un’espansione del suo potere di disporre: questi, dopo aver istituito erede o legatario un determinato soggetto, prevede che ad esso debba subentrare un altro qualora si verifichi un determinato evento. Il soggetto sostituito è così destinatario di una delazione condizionale: egli è titolare di un’aspettativa di delazione. Il nostro ordinamento prevede due forme di sostituzione testamentaria: ordinaria, ex art. 688 c.c., e qui si consente al testatore di chiamare alla successione altra persona in luogo di quella che non vuole o non può accettare, permettendogli, così, di evitare l’operatività delle regole fissate dalla legge per la successione legittima; fedecommissaria, attraverso cui il testatore impone all’erede o al legatario l’obbligo di conservare i beni ricevuti per restituirli, alla sua morte, ad un’altra persona (c.d. sostituito) designata dal testatore medesimo.

Ictu oculi emerge una differenza sostanziale tra le due ipotesi di sostituzione, infatti, se per la prima vi sono due istituzioni ma solo una è destinata a produrre effetti, nella seconda, viceversa, si rinvengono due istituzioni, entrambe destinate a divenire efficaci, seppur in un momento successivo. A ciò si aggiunga che come sottolineato da attenta dottrina, nell’ipotesi di sostituzione fedecommissaria vi sono due titolari della medesima eredità in cui il sostituito appare erede diretto del de cuius, in quanto succede automaticamente alla morte del primo chiamato nello stesso patrimonio.

Ciò posto, pare opportuno riportare, seppur sinteticamente, l’evoluzione normativa dell’istituto, a riguardo, il nostro legislatore aveva vietato la sostituzione de qua nel codice del 1865, poi, ha reintrodotto la figura nel codice del 1945 ma solo nella species del fedecommesso familiare e di beneficenza ed, infine, con la prima riforma del diritto di famiglia, avvenuta per il tramite della l. 151/1957, ha riconosciuto cittadinanza giuridica alla sola figura del fedecommesso assistenziale, all’art. 692 c.c.

Tuttavia, occorre segnalare, che il legislatore della riforma ha omesso di riprodurre nel corpus della norma appena citata la formulazione, contenuta nella precedente disposizione, con cui si sanciva la nullità di ogni disposizione con la quale il testatore proibisse all’erede di disporre, per atto tra vivi o mortis causa, dei beni ereditari. Di talché , ci si è chiesti quale ruolo dovesse essere attribuito alla mancata riproduzione di tale disposizione che, viceversa, si trovava ospitata all’interno del precedente ultimo comma dell’art. 692 c.c. Si badi, che non si tratta di quesito meramente teorico, difatti, a seconda della soluzione offerta è possibile tracciare precisi limiti alla libertà dispositiva dei beni ereditari ad opera del de cuius.

A riguardo, parte della dottrina ha ipotizzato che essendo venuto meno il divieto di cui al precedente ultimo comma dell’art. 692 c.c., il testatore potrebbe, a differenza del passato, dar luogo a divieti negoziali di alienazione a carico dell’erede; diversamente, altri osservano come in realtà nessun valore debba essere accordato a tale mancata riproduzione, in quanto, comunque, soccorrerebbe in via analogica la previsione di cui all’art. 1379 c.c. In questo senso risultano orientate dottrina autorevole e giurisprudenza dominante, le quali ravvisano nella mancata riproduzione della disposizione limitativa nel novellato art. 692 c.c., una mera svista del legislatore.

Per cui, deve ritenersi ancora oggi vigente il divieto a carico del testatore di introdurre con il proprio atto di ultima volontà qualsivoglia vincolo alla libertà di alienazione a carico dell’erede, fatta eccezione per la figura del fedecommesso assistenziale. Ciò, peraltro, risulta confermato dal nuovo V comma della disposizione in esame, laddove, seppur in via generale, si prevede la nullità di ogni altro caso di sostituzione diverso dal fedecommesso assistenziale.

Per ciò che concerne l’analisi strutturale dell’istituto de quo, si ritiene che la sostituzione fedecommissaria realizzi un caso di doppia vocazione in ordine successivo con obbligo di conservare e restituire. In realtà, l’obbligo di conservare non è stato previsto dalla legge come strumento obbligatorio, ma come strumento reale, limitando, cioè, i poteri di disposizione dell’istituito e creando una oggettiva indisponibilità dei beni destinati al sostituito, con conseguente invalidità di un’eventuale alienazione a terzi dei beni da parte dell’istituito. Inoltre, per ciò che concerne l’obbligo di restituire, lo stesso non è autentico obbligo, perché l’eredità alla morte dell’istituito si devolve automaticamente al sostituito, di talché , incomberà sugli eredi dell’istituito solo ed esclusivamente un obbligazione di consegna materiale dei beni in favore del sostituito.

A ciò si aggiunga che dopo l’intervento riformatore, obbligo specifico grava sull’istituito, ossia la cura del soggetto incapace-sostituito. In questo quadro, pare opportuno segnalare che il sostituito succede al primo chiamato a titolo di successione mortis causa, sebbene di secondo grado. Infatti, mentre le vocazioni sono immediate, sia per l’istituito che per il sostituito, la delazione all’edredità risulta immediata e diretta solo per l’istituito, indiretta e condizionata per il sostituito.

Evidentemente, si parla di delazione indiretta e successiva perché, preliminarmente, è necessario che si perfezioni quella in favore dell’istituito e che sopraggiunga la sua morte, in più, è doppiamente condizionata in quanto risulta subordinata non solo alla sopravvivenza del sostituito all’istituito, ma anche alla prestazione di cura e assistenza dell’incapace da parte dell’istituito. Infatti, ipotesi di mancata devoluzione dell’eredità al sostituito sono in primis la premorienza di costui rispetto all’istituito e, in secundis, per ragioni di coerenza strutturale con la ratio sottesa alla figura in esame, la violazione degli obblighi di cura e assistenza gravanti sull’istituito. Per amor di completezza, ora pare opportuno tracciare le linee di confine tra sostituzione fedecommissaria vietata, salvo il limite di quella assistenziale, e figure affini che per ciò solo possono incorrere o meno nel divieto di cui all’ultimo comma dell’art. 692 c.c., si tratta del fedecommesso de residuo e della clausola si sine liberis decesserit.

Dunque, per quanto attiene al fedecommesso de residuo esso consiste nella disposizione con cui il testatore non impone l’obbligo di conservare, ma solo l’obbligo di restituire al sostituito ciò che resta dei beni ereditari al momento della sua morte; ciò comporta che l’istituito è libero di disporre dei beni ereditati dal de cuius per atto tra vivi, sia titolo gratuito che a titolo oneroso, ma non può disporne mortis causa, in quanto i beni rimanenti passano automaticamente al sostituito designato dal testatore. Evidentemente, la figura del fedecommesso de residuo rappresenta un minus della sostituzione fedecommissaria, ragion per cui ricade nel divieto positivizzato dall’ultimo comma dell’art. 692 c.c., a meno che non rivesta gli estremi del fedecommesso assistenziale.

Diversamente, per ciò che concerne la clausola si sine liberis decesserit, si fa riferimento alla condizione attraverso cui il testatore stabilisce che se l’istituito morirà senza figli, l’eredità si devolverà ad un altro soggetto, designato dal testatore medesimo. Si realizza, così, una doppia istituzione in cui la prima risulta sottoposta alla condizione risolutiva che l’istituito muoia senza figli, mentre la seconda è sospensivamente condizionata allo stesso evento.

A riguardo, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23278 del 2013, ha sancito la validità in linea di principio di detta clausola. I giudici di Piazza Cavour, hanno sottolineato che in questo caso non vi è una doppia istituzione, ma, melius re perpensa, un’istituzione unica. Il verificarsi della condizione – che è allo stesso tempo risolutiva e sospensiva – operando con effetto retroattivo, determina il sorgere di una sola vocazione in favore del secondo chiamato, il quale va, così, considerato come unico erede fin dal momento dell’apertura della successione.

Non può sfuggire, però, che la clausola de qua, se astrattamente valida, tuttavia, può essere utilizzata per eludere il divieto di cui all’ultimo comma dell’art. 692 c.c. – laddove il fedecommesso assistenziale risulta l’eccezione al generale divieto di sostituzione fedecommissaria – si pensi al caso in cui il testatore conosce dell’impossibilità di procreare del primo chiamato, ed in questo caso, la clausola sarà nulla per frode alla legge.

Elena Ficociello

Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l'istituto "P. Giannone" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l'opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all'incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema "La responsabilità civile dei magistrati". Nell'estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time "Corso Robert Shuman" sulla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre. Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi. È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse. Contatti: elena.ficociello@iusinitinere.it

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