mercoledì, Marzo 27, 2024
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E-commerce senza frontiere: il Regolamento UE sul geoblocking

Il 6 maggio 2015 la Commissione aveva avviato un’indagine sul settore dell’e-commerce di beni di consumo e contenuti digitali nell’Unione Europea (“UE”), come parte della strategia per il Mercato Unico Digitale.

Uno dei pilastri, infatti, attraverso cui la Commissione ha inteso creare un Mercato Unico Digitale è stato incentrato sul miglioramento dell’accesso ai beni e servizi per i consumatori e le imprese tramite il commercio elettronico in tutta l’UE.

Questo alla luce della crescita incessante dell’e-commerce negli ultimi anni. Attualmente, infatti, l’UE è uno dei più grandi mercati al mondo per commercio elettronico. La percentuale di persone tra i 16 e 74 anni che ordina beni o servizi tramite internet aumenta di anno in anno ed è passata dal 30% ne 2007 al 69% nel 2018.

L’indagine settoriale sul commercio elettronico, poi pubblicata il 10 maggio 2017, ha consentito alla Commissione di ottenere una visione d’insieme delle tendenze di mercato e di raccogliere informazioni sugli ostacoli alla concorrenza connessi alla crescita dell’e-commerce.

Una delle pratiche che la Commissione ha ritenuto più “pericolose” era quella del “geoblocking”, termine con cui si indicano i casi nei quali i professionisti, che offrono beni/servizi in un Paese UE, bloccano o limitano l’accesso alle proprie “interfacce online” (i.e. siti internet e applicazioni online) nei confronti di clienti di altri Stati membri. Tra i vari risultati, il Report dell’indagine del 2017 aveva, infatti, riportato quanto segue:

 “I risultati dell’indagine settoriale sul commercio elettronico indicano che la maggior parte dei produttori distribuisce i propri prodotti in almeno 21 Stati membri, mentre solo una piccola quota (4%) li fornisce in un solo Stato membro. Mentre i prodotti sono generalmente venduti in tutta l’UE, il 36% dei dettaglianti intervistati ha dichiarato di non vendere oltre confine in almeno una delle categorie di prodotti in cui opera. Il 38% dei dettaglianti raccoglie informazioni sul luogo di stabilimento del cliente al fine di applicare misure di geoblocco. Il geoblocco assume per lo più la forma di un rifiuto di consegna in altri Stati membri, seguito dal rifiuto di accettare sistemi di pagamenti esteri”.

Era apparso, così, evidente che l’applicazione di pratiche del genere andasse a determinare un’ingiustificata discriminazione per i cittadini europei e rappresentasse un enorme ostacolo alla circolazione di beni e servizi nel territorio dell’UE. Gravissime erano le ripercussioni sul fondamentale principio di libertà previsto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, che si esplica in primis attraverso la libera circolazione di capitali e la libera prestazione di servizi nel territorio e tra i cittadini europei.

In particolare, si deve ricordare quanto viene riportato all’articolo 20 della Direttiva 2006/123/EC (la c.d. Direttiva Bolkestein) relativo ai “Servizi nel mercato interno”. Tale articolo sancisce il principio di non discriminazione, stabilendo che “Gli Stati membri provvedono affinché al destinatario non vengano imposti requisiti discriminatori fondati sulla sua nazionalità o sul suo luogo di residenza. Gli Stati membri provvedono affinché le condizioni generali di accesso a un servizio che il prestatore mette a disposizione del grande pubblico non contengano condizioni discriminatorie basate sulla nazionalità o sul luogo di residenza del destinatario, ferma restando la possibilità di prevedere condizioni d’accesso differenti allorché queste sono direttamente giustificate da criteri oggettivi”

Alla luce di queste considerazioni, il 28 febbraio 2018 il Parlamento Europeo e il Consiglio Europeo hanno adottato il Regolamento (UE) 2018/302 recante misure volte a impedire i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti nell’ambito del mercato interno. Esso è entrato in vigore il 28 febbraio 2018 ma ha trovato piena e diretta applicazione solo dallo scorso 3 dicembre.

Si tratta di un Regolamento importantissimo per la strategia del Mercato unico digitale, che affronta la questione della discriminazione ingiustificata dei clienti nel commercio online. Con esso, le istituzioni europee hanno inteso vietare le forme ingiustificate di geoblocking. Oltre che al geoblocking, il Regolamento si applica anche alle “altre forme di discriminazione” che avvengono nelle transazioni sia online che offline (art. 1 par. 1 del Regolamento).

Con l’applicazione del suddetto Regolamento, i limiti imposti dal geoblocking sono parzialmente caduti.

Più precisamente, il Regolamento si applica alle transazioni transfrontaliere aventi ad oggetto l’offerta di beni mobili materiali e/o servizi da parte di un professionista stabilito all’interno dell’UE o di un Paese terzo[1]  in favore di un cliente cittadino UE o residente o stabilito all’interno dell’UE. Rientrano nella nozione di cliente sia i consumatori (ossia persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività professionale) sia le imprese che acquisto o ricevono beni/servizi al fine esclusivo dell’uso finale[2].

Sono escluse dal campo di applicazione del Regolamento:

  • le situazioni “puramente interne ad uno Stato membro, nelle quali tutti gli elementi rilevanti della transazione, in particolare la nazionalità, il luogo di residenza o il luogo di stabilimento del cliente o del professionista, il luogo di esecuzione, i mezzi di pagamento impiegati nella transazione o nell’offerta, nonché l’utilizzo di un’interfaccia online, siano limitati a un solo Stato membro[3];
  • le opere protette dal diritto d’autore ed i servizi audiovisivi “compresi quelli il cui principale obiettivo consiste nel fornire accesso alla trasmissione di eventi sportivi, e che sono forniti sulla base di licenze territoriali esclusive. Tale esclusione dovrà essere oggetto di revisione da parte delle Istituzioni UE due anni dopo l’entrata in vigore del Regolamento (dunque a partire dal 2020) e successivamente ogni cinque anni[4];
  • i “servizi finanziari” (attività bancaria, credito, assicurazione ecc.) previsti dall’art. 2, par. 2 della Direttiva servizi 2006/123/EC.

Ai sensi dell’art. 3, il professionista non può bloccare o limitare l’accesso del cliente alla propria interfaccia online per motivi legati alla nazionalità, luogo di residenza o stabilimento del cliente stesso. Il professionista non può neppure reindirizzare il cliente ad una versione diversa della propria interfaccia online senza suo esplicito consenso. In caso di reindirizzamento con l’esplicito consenso del cliente, “la versione dell’interfaccia online del professionista cui il cliente desiderava accedere inizialmente deve restare facilmente accessibile al cliente in questione”.

I citati divieti non si applicano qualora il blocco (o pratiche simili) sia necessario per garantire il rispetto di un “requisito giuridico” previsto dal diritto dell’Unione o dalle leggi degli Stati membri. In simili ipotesi, tuttavia, il professionista è comunque tenuto a fornire al cliente una chiara e specifica informativa in merito ai motivi della pratica discriminatoria.

Ai sensi dell’art. 4, il professionista non può applicare condizioni generali discriminatorie, per motivi legati alla nazionalità, al luogo di residenza o al luogo di stabilimento di un cliente, nelle seguenti situazioni:

  • Quando si acquistano beni fisici, come per esempio prodotti di elettronica e abbigliamento che possono essere ritirati in un luogo concordato oppure spediti in un qualsiasi Stato membro dell’Unione europea; in questo caso gli e-shop devono garantire le stesse condizioni di consegna offerte agli acquirenti locali.
  • Per l’acquisto di servizi elettronici non coperti da copyright – è il caso di servizi di cloud, firewall o hosting di siti web;
  • Per la prenotazione e l’acquisto di soggiorni in hotel, noleggio auto, parcheggi o biglietti per eventi musicali o sportivi – si tratta dei cosiddetti servizi forniti nei locali commerciali o in un luogo fisico in cui opera il commerciante.

Tale divieto non si applica quando una disposizione specifica prevista dal diritto dell’Unione o dalle leggi degli Stati membri conformi al diritto dell’UE impedisce al professionista di vendere beni o di fornire servizi a determinati clienti o a clienti in determinati territori.

Quanto ai mezzi di pagamento, ai sensi dell’art. 5, un professionista non può applicare condizioni discriminatorie per motivi connessi alla nazionalità, al luogo di residenza o al luogo di stabilimento di un cliente, all’ubicazione del conto di pagamento, al luogo di stabilimento del prestatore dei servizi di pagamento o al luogo di emissione dello strumento di pagamento all’interno dell’Unione, “se:

  1. a) l’operazione di pagamento è effettuata tramite una transazione elettronica mediante bonifico, addebito diretto o uno strumento di pagamento basato su carta avente lo stesso marchio di pagamento e appartenente alla stessa categoria;
  2. b) i requisiti di autenticazione sono soddisfatti a norma della direttiva (UE) 2015/2366; e
  3. c) le operazioni di pagamento sono effettuate in una valuta accettata dal professionista”.

L’intervento delle istituzioni europee appare sicuramente importante. Ora bisogna solo attendere e vedere se, attraverso queste nuove regole, le restrizioni al commercio elettronico precedentemente operanti riusciranno ad avvenire effettivamente o meno a  vantaggio dei consumatori e delle imprese.

 

[1] Considerando 17: “Le conseguenze per i clienti e per il mercato interno del trattamento discriminatorio con riferimento alle transazioni relative alla vendita di beni o alla fornitura di servizi nell’Unione sono le stesse, indipendentemente dal fatto che il professionista sia stabilito in uno Stato membro o in un paese terzo. Di conseguenza, e al fine di garantire che i professionisti concorrenti siano soggetti agli stessi obblighi al riguardo, il presente regolamento dovrebbe applicarsi in ugual misura a tutti i professionisti che svolgono attività nell’Unione, compresi i mercati online”.

[2] Articolo 2, paragrafo 13: “«cliente» è un consumatore che ha la cittadinanza o la propria residenza in uno Stato membro o un’impresa che ha il proprio luogo di stabilimento in uno Stato membro e che riceve un servizio o acquista un bene, o intende farlo, all’interno dell’Unione al fine esclusivo dell’uso finale”, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/articolo-2-regolamento-sul-geoblocking-ue-2018-302

[3] Considerando 7 (e articolo 1, paragrafo 2): “Il presente regolamento non dovrebbe applicarsi a situazioni puramente interne a uno Stato membro, nelle quali tutti gli elementi rilevanti della transazione, in particolare la nazionalità, il luogo di residenza o il luogo di stabilimento del cliente o del professionista, il luogo di esecuzione, i mezzi di pagamento impiegati nella transazione o nell’offerta, nonché l’utilizzo di un’interfaccia online, siano limitati a un solo Stato membro”, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/articolo-1-regolamento-sul-geoblocking-ue-2018-302

[4] Articolo 9: “Entro il 23 marzo 2020 e successivamente ogni cinque anni, la Commissione riferisce sulla valutazione del presente regolamento al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo. Nel fare questo, la Commissione prende in considerazione l’impatto complessivo del regolamento sul mercato interno e sul commercio elettronico transfrontaliero, compreso, in particolare, l’onere amministrativo e finanziario supplementare che potrebbe gravare sui professionisti a causa dell’esistenza di regimi diversi di regolamentazione applicabili in materia di diritto contrattuale dei consumatori. Tale relazione, ove necessario, è accompagnata da una proposta di modifica del presente regolamento, alla luce degli sviluppi giuridici, tecnici ed economici”, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/articolo-9-regolamento-sul-geoblocking-ue-2018-302

Mila Filomena Crispino

Dottoressa in Giurisprudenza presso LUISS Guido Carli di Roma. Profilo di specializzazione: "European Union Law and Regulation". Tesi in European Business Law, dal titolo: "Damages for infringement of EU Competition law rules".

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