giovedì, Marzo 28, 2024
Di Robusta Costituzione

E non finisce mica lo Stato: riscoprire l’importanza del diritto alla città

E non finisce mica lo Stato: riscoprire l’importanza del diritto alla città

a cura di Taysier Roberto Mahajnah

Introduzione:

 In ogni ambito di ricerca e di studio, vi sono dei momenti storici in cui alcuni fenomeni ed eventi diventano i catalizzatori di una particolare attenzione dei c.d. addetti ai lavori. Ad esempio, gli studi costituzionalistici, fin dalle loro origini, si sono concentrati – a livello generale – sulla limitazione e la legittimazione del potere sovrano, sul rapporto tra i vari i poteri statali (e sovrastatali) e sui diritti che il singolo e la collettività potessero pretendere dinanzi allo Stato. Tuttavia, in tempi recenti, la dottrina costituzionalistica ha preso atto dell’incombenza del fenomeno populista e ha giustamente concentrato la sua attenzione sui mutamenti di quei rapporti precedentemente nominati. In tal modo si è venuto a creare un vocabolario vasto ed importante – democratic backsliding, constitutional regression, consititutional coup, constitutional populism etc. – che è stato introdotto da numerosi libri ed articoli scientifici.

Nonostante le varie diramazioni intraprese, è innegabile che le letture costituzionalistiche dei fenomeni giuridici si siano fermati ad un approccio Stato-centrico, caratterizzate da un ragionamento condotto in termini vestfaliani.[1] Tuttavia, se lo Stato è rimasto tutt’oggi il protagonista indiscusso delle narrazioni costituzionali, sul palcoscenico sociale l’apparato statale appare sempre di più il luogo meno adatto in cui fronteggiare le sfide che il futuro pone (cambiamento climatico, distribuzione della ricchezza, partecipazione democratica), per via di quella di complessa relazione tra governabilità e rappresentatività.

Invece, desiderose di accogliere tali sfide sembrano i centri urbani che, negli ultimi secoli, sono diventati i reali protagonisti del ventunesimo secolo, al punto che questo è stato definito “il secolo delle città”.

In particolare, secondo i dati della Banca mondiale, la popolazione globale concentrata nei centri urbani è passata dal 3% della popolazione totale nel 1800 al 55% della popolazione totale nel 2019, con una prospettiva che si attesterà intorno al 70% nel 2050. [2]

Dinanzi a tali evoluzioni sociali, lo studioso di diritto costituzionale non può rimanere indifferente e, per tali ragioni, l’obbiettivo di questo articolo sarà esaminare la trasformazione della città in una prospettiva giuridica. In particolare, il primo paragrafo partirà dalla matrice teorica, rappresentata dal c.d. right to the city del filosofo francese Henry Lefebvre. Successivamente, l’articolo descriverà il right to the city nella sua variazione pratica attuale, alternando contesti del Global North e del Global South. L’ultimo paragrafo, infine, sarà dedicato alla ricostruzione della frattura urbana/rurale e come l’attenzione verso i centri urbani non implichi la creazione di una zona franca nelle c.d. aree rurali.

1.  La formulazione del right to the city e le sue successive interpretazioni

L’idea di un right to the city fu inizialmente sviluppata dal filosofo francese Henry Lefebvre nel 1967 con il libro Le Droit à la ville. [3] In particolare, tale diritto rientrava in un tentativo più ampio di immettere la teoria marxista nella dimensione urbana capitalista, con la conseguenza che lo spazio urbano sarebbe diventato il contesto per la creazione di una rivoluzione sociale e politica.

L’obbiettivo principale di Lefebvre era quella di reinventare le città solamente sulla base dei bisogni e delle necessità dei propri cittadini.[4] Infatti, secondo il filosofo francese, the right to the city rappresentava una nuova configurazione delle questioni urbane secondo le esigenze delle classi popolari.[5] Come già si può intuire, era insito nel diritto alla città una forte denotazione sociale, nella quale la trasformazione del centro urbano poteva dipendere solamente dall’esercizio di un potere collettivo, con l’obbiettivo di rimodellare i processi di urbanizzazione.

Per quanto specificamente atteneva alla collocazione del c.d. “diritto alla città”, Lefebvre specificava come questo potesse essere assimilato al novero dei diritti della celebre Dichiarazione dei diritti dell’uomo. [6]

Dalla teoria di Lefebvre postulata nel 1967, vi sono state riletture da parte di diversi autori. Tra quelle più interessanti e che hanno arricchito (contenutisticamente o metodologicamente) il diritto alla città si devono citare quella dell’antropologo britannico David Harvey [7] e, successivamente, quella del giurista francese Bernard Auby. [8]

In particolare, Harvey, giudicava il diritto alla città come la possibilità di costruire meccanismi democratici alternativi, con l’obbiettivo di reinventare una città conforme alle nostre esigenze, per cercare di evadere dalle decisioni delle élite politiche ed economiche. [9] Attraverso una lente giuridica, invece, Bernard Auby ha cercato di rielaborare il diritto alla città, preferendo una concezione aperta nella quale potessero coesistere diverse declinazioni. A suo avviso, infatti, il diritto alla casa, il diritto alla mobilità urbana, il diritto ai servizi pubblici locali essenziali, il diritto alla sicurezza trovavano la loro realizzazione nel diritto alla città. [10] Per tali ragioni, la rielaborazione del droit à le ville di Auby, spogliata dalle vesti marxiste, si sostanziava nella richiesta alla città di offrire al cittadino determinate prestazioni, con sempre presente uno sfondo inclusivo teso a limitare la segregazione urbana.

2.  La trasformazione del right to the city nella sua dimensione pratica

Prima di affrontare l’operazionalizzazione del right to city nella sua dimensione pratica e normativa, bisogna comprendere la posizione che le città occupano nel cosmos costituzionale.

Infatti, a livello comparato, non si trovano numerose previsioni costituzionali interessate ai centri urbani come comunità politicamente autonome. Nel riconoscere le città, le costituzioni trattano queste come creature dello Stato, alle quali vengono assegnate compiti limitatamente amministrativi, sulla scia di quel modello vestfaliano precedentemente nominato.

I pochi esempi che attualmente si distinguono possono essere ritrovati solamente oltre i contorni europei. Infatti, alcuni sistemi costituzionali (in particolare quello giapponese, brasiliano, indiano, cinese), accettando come l’agglomerazione urbana abbia provocato la creazione delle c.d. megalopoli (città che superano i 10 milioni di abitanti), articolano una sempre più ampia visione di decentramento, riconoscendo ai centri urbani uno status costituzionale. [11]

È evidente, dunque, come quel droit a la ville, annunciato nel 1967, stia ancora aspettando una metamorfosi completa, alternando stadi d’essere differenti in base al paese interessato.

Tuttavia, anche in altri contesti (tra cui quello europeo), fuoriescono nuovi prismi del right to the city che, seppur non ambiscono a specchiarsi nelle esperienze precedentemente enunciate, comunque rielaborano una formulazione dei diritti umani in chiave città-centrica.

 

2.1.  Dal Right to the city alle Human Rights cities

 

Il concetto di Human rights city nasce dalla NGO internazionale People’s Movement for Human Rights and Education (più tardi rinominato People’s Decade for Human Rights and Education) alla World Conference on Human Rights a Vienna nel 1993.[12] Successivamente, nel 1997, Rosario (Argentina) diventò la prima human rights city, mentre nel 2008 Washington D.C. fu la prima nel contesto americano.[13]

Durante gli anni, la crescita e la moltiplicazione di tali città portò alla creazione del World Human Rights Cities Forum, tenuto annualmente a Gwangju, Corea del Sud. [14] In particolare, nel 2011 il Forum adottò la Gwangju Declaration on Human Rights City, definendo tali città come un communità locale in cui i diritti umani giocano un ruolo fondamentale nell’agenda urbana. [15] Nel 2021, invece, l’European Union Agency for Fundamental Rights ha sviluppato una guida dettagliata fornendo un preciso framework [16] attraverso il quale una città può aspirare a diventare una human rights city. Tra i requisiti proposti si evidenziano l’impegno di rispettare i diritti umani nel contesto urbano e la creazione di strutture e procedure che garantiscano tali diritti. [17]

Invece, specificamente al right to the city, questo è stato inserito sia nella Global-Charter Agenda for Human Rights in the City [18] sia nell’European Charter for the Safeguarding of Human Rights in the City. [19] Entrambi i documenti riconoscono come il right to the city sia il diritto a partecipare alla configurazione dello spazio urbano, attraverso una cittadinanza attiva. Inoltre, anche l’ONU si è recentemente interessato al diritto alla città, grazie alla conferenza avvenuta sugli insediamenti umani e lo sviluppo urbano sostenibile Habitat III, svoltasi a Quito (Ecuador). [20]

Similmente a quanto postulato da Auby, la configurazione del right to the city da parte dell’ONU non è assimilato ad un principio astratto bensì ad una serie di impegni che i centri urbani dovrebbero costantemente portare avanti tra cui il diritto ad un alloggio adeguato, la parità d’accesso a tutti i servizi pubblici essenziale, il diritto alla partecipazione ad all’impegno civico, a spazi pubblici sicuri, inclusivi accessibili e verdi, ed infine, ad una gestione del territorio della città che sia principalmente sostenibile.[21]

Sempre nell’ambito della sostenibilità, è intravedibile un tentativo delle città di impegnarsi maggiormente rispetto alle soglie previste dai propri paesi d’appartenenza. In questo contesto, un ruolo chiave è stato quello del precedente sindaco della città di New York, Michael Bloomberg, il quale creò la Charter of the Covenant of Mayors for Climate and Energy, [22] che unisce 7500 città da 199 paesi differenti, con il fine di combattere la crisi climatica. [23]

L’obbiettivo principale di questo patto sarà quello di superare e migliorare gli impegni nazionali siglati nell’accordo di Parigi. Infatti, le città coinvolte si sono impegnate a ridurre le emissioni di carbonio del 40% entro il 2030. [24]

Similmente a quanto accaduto nel perimetro ambientale, anche sull’avanzamento dei diritti umani diverse città hanno contribuito ad un miglioramento delle condizioni dei propri cittadini all’interno dello spazio urbano.

È questo il caso della città di San Francisco, dove attraverso diverse ordinanze e risoluzioni, è stato attuata sempre più effettivamente la Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women (CEDAW). [25] Nel dettaglio, la città di San Francisco (alla quale sono seguite altre città americane) ha utilizzato la CEDAW come indice per la valutazione dei programmi e delle politiche cittadine, compresi i bilanci, l’erogazione dei servizi e le pratiche di impiego. Inoltre, questa ha anche sviluppato uno strumento di analisi di genere per guidare le autovalutazioni da parte delle aziende private. [26]

Dinanzi a tali esperienze, dunque, si può riaffermare come il right to the city sia ancora un diritto in fieri, in cui la teoria di Lefebvre (e le sue successive reinterpretazioni) certamente affluiscono ma che al contempo si distaccano in maniera significativa.

Da un punto di vista normativo, la dimensione più interessante dell’evoluzione del right to the city nella sua – seppur incompleta- attualizzazione, non è tanto la creazione di uno spazio urbano in cui i principi democratici vengono inseriti nel circuito istituzionale locale bensì la capacità di creare obblighi giuridici tra le città stessa. In altri termini, con i vari accordi e convenzioni analizzati precedentemente, gli spazi urbani si distaccano parzialmente dall’entità statale per essere riconosciuti come ulteriori attori nella scena internazionale.

 

2.2.  Uno Stato nello Stato: l’esempio di Città del Messico

 

Tuttavia, prima di procedere all’analisi normativa della controparte rurale, è necessario soffermarsi sull’esempio che più si avvicina al diritto alla città nel sistema costituzionale. È questo il caso della Città del Messico che, attraverso un processo di constitutional empowerment, si è trasformata da un distretto federale ad una sorta di Stato nello Stato.

Specificatamente, Mexico City nel 2018 contava 22 milioni di abitanti, un numero tale da essere inserita nelle 10 città più popolose al mondo. [27]

I primi tentativi di guadagnare uno status costituzionale ed un’autonomia più significativa, iniziarono già nel 1987, quando la gestione delle conseguenze di un terremoto, evidenziò l’inoperosità e l’inerzia del governo centrale. [28] Per tali ragioni, nel 1987 il governo federale rispose concedendo alla città una minima autonomia legislativa.

Nel 2000, con l’elezione di Andrès Manuel López Obrador (futuro presidente del Messico nel 2018), i tentativi di un’emancipazione più netta rispetto al governo federale diventarono più pressanti, tanto da attirare una cospicua attenzione anche oltre i confini messicani. [29]

Successivamente, Obrador lasciò il proprio incarico per cercare di ottenere la vittoria alle elezioni presidenziali che, infine, non avvenne. Nonostante la sconfitta avvenuta nel 2006, il presidente neo-eletto, (Felipe Calderón) abbracciò la visione di Obrador, e permise al nuovo sindaco di Mexico City (Marcelo Ebrard) di emanare una legge che decriminalizzava le pratiche abortive nella città. [30]

 

Tuttavia, il turning point nel processo d’emancipazione avvenne nel 2016, con la modifica dello status costituzionale della Città del Messico, che da distretto divenne un’entità federale (in altri termini un riconoscimento che la rendeva quasi al pari dello Stato messicano). Esempio di questa nuova posizione acquisita è l’art. 122 che dispone come la Città del Messico sia un’entità autonoma all’interno della federazione messicana, con poteri indipendenti riguardo a qualsiasi competenza che concerni la sua organizzazione, amministrazione e politica domestica. [31]

Il passo successivo fu quello di emanare un testo costituzionale per Citta del Messico. Per tale ragione, fu creata un’assemblea costituente di 100 membri, in cui spiccava una forte rappresentazione cittadina (60 membri), mentre la restante parte era rappresentata da membri del Congresso e del Senato messicano, con l’aggiunta di figure nominate dal sindaco. Infine, nel 2018 la nuova carta costituzionale, rinominata CDMX Carta Magna, è entrata definitivamente in vigore. [32]

 

Tratteggiata brevemente l’esperienza di Città del Messico, appare subito evidente come il procedimento di adozione sia stato formulato attraverso una partecipazione diretta e attiva dei cittadini. Questi, infatti, sono stati coinvolti sia attraverso consultazioni pubbliche sia attraverso la possibilità di redigere il nuovo testo costituzionale grazie all’assemblea costituente. Oltre al profilo procedurale, la CDMX Carta Magna si segnala anche per quello sostanziale, nel quale sono previste diverse diposizioni che mirano a tutelare i gruppi marginalizzati e vulnerabili dalla speculazione edilizia, dalla brutalità della polizia, e dalla gentrificazione.

Rispetto agli esempi accennati precedentemente (in particolar modo le c.d. Human Rights Cities), la nuova dimensione assunta da Città del Messico è forse quella che più si avvicina all’idea di Lefebvre, ossia la creazione di uno spazio urbano che non viene interamente modellato da agenti economici e politici esterni bensì da individui che, collettivamente, abitano quel determinato territorio.

 

3.  Il diritto alla città e il suo rapporto con le aree rurali

 

Nel riconoscere l’attuale e futura trasmigrazione verso i centri urbani, non può che conseguire come le c.d. aree rurali verranno sempre di più abbandonante. Tuttavia, tali contesti rimarranno comunque spazi abitati in cui si troveranno principalmente individui in condizioni svantaggiate e gruppi indigeni (questo caso è ovviamente molto più frequente in alcune zone del mondo, specialmente in America Latina). Una possibile futura e maggiore emancipazione delle città rispetto ai propri governi centrali non può però giustificare l’assenza della giustizia sociale negli spazi rurali.

Se vogliamo riscoprire le città ed i centri urbani come nuovi topos dello studio costituzionale, è necessario riscoprire quali possano essere i migliori disegni costituzionali per allievare la frattura urbana/rurale. Nonostante non sia possibile accertare il grado di effettività delle diverse disposizioni costituzionali che cercano di bilanciare gli interessi urbani e quelle rurali, queste restano comunque meritevoli di attenzione.

 

Nell’area del c.d. Global South, la Costituzione ecuadoregna stabilisce che le persone hanno il diritto di godere pienamente della città e dei suoi spazi pubblici sulla base del rispetto delle diverse culture e del bilanciamento tra settori urbani e rurali.[33] Inoltre, si prevede come la popolazione urbana e rurale del cantone debba essere proporzionalmente rappresentata nei governi locali.[34] Nella vicina Bolivia, invece, la Costituzione riconosce come lo Stato sia responsabile nel promuovere benefit sociali soprattutto nei confronti di gruppi svantaggiati presenti nelle aree rurali.[35] Come descritto già precedentemente, in alcuni paesi dell’America Latina lo spazio rurale è il luogo anche in cui sono presenti diversi gruppi indigeni. Di tale situazione ne prendere atto la Costituzione di Panama che dispone come debbano essere predisposte forme di comunicazione e trasporto per collegare le comunità indigeni con centri di stoccaggio, distribuzione e consumo. [36] Sposandosi nel panorama africano, la Costituzione del Gambia include il miglioramento della qualità della vita rurale e il riequilibro delle ineguaglianze economiche tra centri urbani e rurali; dello stesso segno sono la Costituzione ghanese e quella ugandese. [37]

Infine, ulteriori esempi in cui si cerca di ricomporre la frattura urbana/rurale sono dati da alcuni paesi Asiatici, tra cui la Costituzione tailandese e quella vietnamita. Se la prima prevede che lo Stato debba permettere agli agricoltori di svolgere in modo efficiente l’attività agricola, aiutando gli agricoltori indigente attraverso una riforma agraria, quella vietnamita è più centrata sulla promozione di contesti educativi anche nelle regioni più montagnose, spesso abitate da minoranze etniche. [38]

 

Nell’inserire in questo articolo la descrizione delle formule costituzionali tese a migliorare il rapporto urbano/rurale non si vuole sottolineare se queste siano state implementate (ed in che modo) ma come affianco al diritto alla città debba sempre coesistere un miglioramento delle realtà rurali che, seppur lontane dalle vivacità urbane, non possono essere ignorate dai diversi sistemi costituzionali. Inoltre, il paragrafo qui presente cerca di aprire un dibattito su un fenomeno

– quello della frattura urbana/rurale – ampiamente discusso nel campo politologico, sociologico e filosofico ma che tutt’ora non riesce ad emergere effettivamente nei dibattiti costituzionalistici.

 

4.  Conclusioni

 

L’ obbiettivo dell’articolo qui preposto, nonostante una certa inclinazione verso uno sviluppo degli studi sulle città e sugli spazi urbani/rurali, non è quello di svalutare l’importanza e la centralità dello Stato, sia nell’esperienza quotidiana sia nell’ambito del dibattito costituzionalistico. Anzi, l’articolo vuole promuovere un rinnovamento della concezione dell’apparato statale in cui si favorisce l’arricchimento di contributi su realtà politiche e sociali ormai innegabili.

Infatti, ripensare le città e gli spazi urbani come nuovi elementi dell’analisi giuridica significa riconsiderare se siano possibili ulteriori paradigmi di partecipazione democratica, in cui il cittadino può prendere attivamente parte a decisioni che riguardino i suoi interessi e diritti. Infatti, grazie alle dimensioni più ristrette dello spazio urbano, l’avvicinamento del cittadino ai centri decisionali implica anche una rimodulazione dell’accountability nel circuito istituzionale,

andando cosi a rafforzare il rapporto tra eletti e rappresentanti.

La portata innovativa del diritto alla città, infatti, è quello di cercare di sopperire al deficit democratico tanto discusso in questi tempi, attraverso un principio di prossimità, nel quale il cittadino è vicino ai luoghi del potere politico e decisionale. Inoltre, lo studio dell’emancipazione dei centri urbani e dell’adozione di costituzioni locali o particolari statuti sottintende una questione di notevole importanza, ossia se cambiando il luogo in cui i principi costituzionali si formano, si possa comunque parlare di costituzionalismo o di qualcos’altro. In altri termini, se affianco al costituzionalismo possa esistere un c.d. subconstitutionalism. [39]

Allo stesso tempo, è indubbio che il right to the city presenti ancora dei profili spigolosi, soprattutto su come tale diritto possa incidere negativamente non solamente nel rapporto tra Città e Stato ma anche tra Città e Città. Il right to the city, infatti, deve tendere ad un modello di città che sia eguale su tutto il territorio nazionale, cercando di ricucire le differenze tra i vari enti territoriali dello Stato e non acuirne le diseguaglianze economiche.

Se da un lato, dunque, per la realizzazione del right to the city sarà sempre obbligatorio una cornice statale, dall’altro, invece, sarò necessario un maggior contributo da parte degli studiosi di diritto costituzionale, al fine di elaborare idee e teorie che possa prevenire i rischi enunciati.

 

 

 

1 Si veda R. Marchetti, “Il secolo delle città. Perché i nuovi centri urbani sono i luoghi più adatti per accogliere le sfide del futuro”, 16 Aprile 2021, Luiss Open; disponibile qui: https://open.luiss.it/2021/04/16/il-secolo-delle-citta-perche-i- nuovi-centri-urbani-sono-i-luoghi-piu-adatti-per-accogliere-le-sfide-del-futuro/.

2 S. Lall, M. Lebrand, H. Park, D. Sturm, and A. Venables, “Pancakes to pyramids: City Form to Promote Sustainable Growth”,               2021,              Washington,              DC:              World              Bank              License;              disponible qui: https://documents1.worldbank.org/curated/en/554671622446381555/pdf/City-Form-to-Promote-Sustainable- Growth.pdf

3 Si veda. H. Lefebvre, Il diritto alla città, edizione 2014, (OmbreCorte: Verona).

4 F. Saitta “Il diritto alla città: l’attualità di una tesi antica”, in Ordines, Dicembre 2020, n.2., p. 60; disponibile qui: http://www.ordines.it/wp-content/uploads/2021/02/5-Saitta.pdf.

 

5 Ibidem.

6 Ivi, p. 59.

7 Si veda D. Harvey, Rebel Cities. From the Right to the city to the urban revolution (OmbreCorte: Verona), 2012.

8 Si veda J. Auby, Le droit de la ville. Du functionnement juridique des villes au droit à la ville (LexisNexis: Paris), 2013.

9 F. Saitta “Il diritto alla città: l’attualità di una tesi antica”, cit., p. 63.

10 Ibidem.

11 R. Hirschl, City, State: Constitutionalism and the Megacity (Oxford University Press: New York), 2020, p. 35.

12 T. Ezer, “Localizing Human Rights in Cities” in Review of Law and Social Justice, 2022, vol.31, n.68, p. 70; disponibile qui: https://gould.usc.edu/students/journals/rlsj/issues/assets/docs/volume31/winter2022/ezer.pdf.

13 Ibidem.

14 G. Tieghi “Human Rights Cities: lo Human Rights-Based Approach per la governance locale”, in DPCE, n. 3, 2019, p. 13; disponibile qui: https://www.dpceonline.it/index.php/dpceonline/article/view/784.

15 Ibidem.

16 Si veda: European Union Agency for Fundamental Rights, “Human Rights Cities in the EU: A Framework for reinforcing Right Locally” (2021); disponibile qui: https://fra.europa.eu/en/publication/2021/human-rights-cities- framework.

17 T. Ezer, “Localizing Human Rights in Cities”, cit., p. 72.

18 Si veda: United Cities & Local. Gov’ts Comm. on Soc. Inclusion, Participatory Democracy & Human Rights., “Global Charter-Agenda for Human Rights in the City “, Dicembre 2011. disponibile qui: https://www.uclg- cisdp.org/sites/default/files/UCLG_Global_Charter_Agenda_HR_City_0.pdf.

19 Si veda: United Cities and Local Governments, “European Charter for the Safeguarding of Human Rights in the City”, ottobre 2012, Barcellona; disponibile qui: https://uclg-cisdp.org/sites/default/files/documents/files/2021-06/CISDP Carta Europea Sencera_baixa_3.pdf

20 F. Saitta “Il diritto alla città: l’attualità di una tesi antica”, cit. p. 69.

21 Ibidem.

22 Charter for the Global Covenant of Mayors for Climate and Energy; disponibile qui https://www.globalcovenantofmayors.org/.

23 B. Oomen, M. Baumgärtel, “Frontier Cities: The Rise of Local Authorities as an Opportunity for International Human Rights Law”, in The European Journal of International Law, vol. 29, n. 2, 2018, p.610; disponibile qui: https://academic.oup.com/ejil/article/29/2/607/5057076.

24 Ibidem.

25 UN General Assembly, “Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women, 18 Dicembre 1979,                              United                      Nations,                              Treaty                   Series,                      vol. 1249;                              disponibile         qui: http://www.un.org/womenwatch/daw/cedaw/cedaw.htm.

26 S. Lozner, “Diffusion of Local Regulatory Innovations: The San Francisco CEDAW ordinance and the New York City Human Rights Initiative”, in Columbia Law Review, vol. 104, 2008, p. 768; disponibile qui: https://www.jstor.org/stable/4099330.

27 R. Hirschl, City, State: Constitutionalism and the Megacity, cit., p. 135.

28 Ibidem.

29 Ivi, p.136.

30 Ibidem.

31 M. Leon “Understanding Constitutional Amendments in Mexico Perpetuum Mobile Constitution” in Mexican Law Review, n.9, 2016, p. 10.

32 V. Ugalde, “Mexico City: The Long Road to a constitution”, in Pouvoirs, vol.171., n. 4, 2019, p. 54.

33 R. Hirschl, “Constitutional Design and the Urban/Rural Divide” in Law, Ethics of Human Rights, vol. 16, n.1, p.7; disponibile qui: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=4155690

34 Ibidem.

35 Ivi, p. 8.

36 Ivi, p.10

37 Ibidem.

38 Ivi, p.11.

39Si veda: N. Davidson, “Local Constitutions”, in Texas Law Review, vol. 99, 2021; disponibile qui: https://ir.lawnet.fordham.edu/faculty_scholarship/1203/

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