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Emergenza Covid-19: Il Consiglio di Stato sospende la nota dell’AIFA e consente l’utilizzo off-label dell’idrossiclorochina per il trattamento della SARS-CoV-2

Commento a Consiglio di Stato, Sezione III, ordinanza 11 dicembre 2020, n. 7097.

 

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. I fatti all’origine della pronuncia – 3. Il ricorso al Tar – 4. La decisione del Consiglio di Stato – 5. Considerazioni conclusive

 1. Introduzione

Nella lotta contro il COVID-19 è consentita la prescrizione off-label (al di fuori del normale utilizzo terapeutico autorizzato all’atto di immissione in commercio del farmaco) dell’idrossiclorichina, sotto precisa responsabilità e dietro stretto controllo del medico, ai pazienti affetti da SARS-CoV-2 non ospedalizzati con sintomi lievi e/o moderati ed in uno stadio iniziale della malattia.

È quanto ha stabilito in sede cautelare la III Sezione del Consiglio di Stato che, con la corposa ordinanza dell’11 dicembre 2020 n. 7097, ha accolto l’appello dei ricorrenti, sospendendo la nota dell’Agenzia Italiana del Farmaco (d’ora in avanti AIFA) del 22 luglio 2020, la quale vietava l’utilizzo off-label di idrossiclorochina per la cura del COVID-19, al di fuori degli studi clinici randomizzati controllati.

 

2. I fatti all’origine della pronuncia

La vicenda giudiziaria vede come ricorrenti e poi appellanti numerosi medici di base e specialisti i quali, nella prima fase della pandemia da SARS-CoV-2, si sono occupati dei pazienti affetti da tale patologia somministrando loro l’idrossiclorichina (d’ora in avanti anche solo HCQ). Si tratta di un medicinale che nasce come antimalarico, ma che da decenni viene utilizzato nel nostro Paese contro l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso. Studi in vitro mostrano che l’HCQ sarebbe attiva anche contro il COVID-19, nonostante la sua diretta efficacia antivirale in vivo sia oggetto di un acceso dibattito all’interno della comunità scientifica, in assenza, allo stato, di evidenze sperimentali incontrovertibili e a fronte delle raccomandazioni dell’European Medicines Agency (EMA) che ne suggerisce un utilizzo moderato, unicamente in pazienti sotto stretto monitoraggio, sottolineandone, in alcuni casi, la tossicità cardiaca ad elevati dosaggi.

Inizialmente l’AIFA, con la determina n. 258 del 2020, ha consentito l’utilizzo off-label dell’HCQ per il trattamento domiciliare di pazienti positivi al COVID con un quadro clinico lieve, rendendo prescrivibile il farmaco a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Poco dopo, tuttavia, in accordo con le raccomandazioni dell’EMA, con nota del 26 maggio 2020, l’Autorità ha modificato la scheda del farmaco pubblicata sul sito istituzionale ed ha disposto la sospensione dell’autorizzazione all’utilizzo off-label dell’HCQ per il trattamento del virus al di fuori delle sperimentazioni in studi clinici controllati, nonché la sua esclusione dalla rimborsabilità a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Alla base di tale determinazione l’AIFA ha posto l’incertezza circa l’efficacia del farmaco nel contrastare il virus ed ha evidenziato un rischio di tossicità cardiaca, rilevante ad alti dosaggi, risultanti dagli studi clinici randomizzati e controllati (RTC: randomized controlled trial).

 

3. Il ricorso al TAR

I medici, che sino a quel momento avevano prescritto l’idrossiclorochina ai loro pazienti, hanno impugnato la nota dell’AIFA dinanzi al TAR Lazio, sede di Roma, chiedendone, previa sospensione, l’annullamento. Le loro censure riguardavano in particolare: 1) il difetto di istruttoria, non avendo l’AIFA considerato gli studi clinici, pubblicati su riviste internazionali accreditate, attestanti l’efficacia della idrossiclorochina nella lotta contro il virus; 2) la lesione della loro autonomia decisionale, tutelata dalla Costituzione e dalla legge, ovvero della libertà di prescrivere tale farmaco, in scienza e coscienza e sotto la propria responsabilità, ai pazienti non ospedalizzati che prestino il proprio consenso alla sua somministrazione, in assenza di un’altra valida alternativa terapeutica per la cura domiciliare del COVID-19. Il TAR, con ordinanza cautelare del 14 settembre 2020 n. 5911, non impugnata dai ricorrenti, ha respinto l’istanza cautelare, non ravvisando, con riferimento al fumus boni iuris, il difetto di istruttoria nel provvedimento dell’AIFA, considerati i numerosi studi pubblicati attestanti l’inefficacia o la scarsa efficacia dell’HCQ unitamente alla sua tossicità cardiaca, ed escludendo, con riguardo al periculum in mora, la sussistenza di un grave pregiudizio per i ricorrenti derivante dall’utilizzo di un trattamento terapeutico al posto di un altro.

Con la successiva nota del 22 luglio 2020, l’AIFA ha confermato il divieto di prescrivere off-label dell’HCQ ai pazienti positivi al COVID-19, sulla scorta di nuove evidenze scientifiche che, a suo avviso, ne avrebbero sconsigliato l’utilizzo nella cura della patologia. Anche questa nuova misura è stata impugnata dai medici ricorrenti dinanzi al TAR con ricorso per motivi aggiunti, al fine di ottenerne, sempre previa sospensione in via cautelare, l’annullamento. Con l’ordinanza cautelare del 16 novembre 2020 n. 7069, il TAR ha respinto nuovamente la domanda cautelare, sostenendo che dopo il rigetto della precedente istanza non sarebbero emerse circostanze nuove tali da giustificare la revoca del precedente provvedimento collegiale ai sensi dell’art. 58 c.p.a.

I medici ricorrenti in primo grado questa volta hanno proposto appello cautelare contro la nuova ordinanza di rigetto dinanzi al Consiglio di Stato il quale, inaspettatamente, ha ribaltato quanto statuito dal TAR Lazio, sospendendo l’efficacia della determinazione dell’AIFA e consentendo la prescrizione off-label dell’HCQ per il trattamento del COVID-19.

 

4. La decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato risolve, in via preliminare, la questione di rito relativa alla natura della domanda cautelare, qualificando quest’ultima non come una istanza di revoca della precedente ordinanza di rigetto ex art. 58 c.p.a. (come era stata erroneamente trattata dal TAR), ma come una nuova ed autonoma domanda cautelare connessa all’impugnativa di un nuovo provvedimento dell’AIFA; precisa,  inoltre, che anche volendo accettare la qualificazione operata dal TAR, in una situazione di grave emergenza epidemiologica come quella attuale, in cui si susseguono studi, ricerche, analisi e sperimentazioni, non è possibile negare l’esistenza di elementi sopravvenuti, consistenti nei nuovi studi allegati dai ricorrenti a riprova della asserita efficacia del farmaco, che potevano e dovevano giustificare il riesame della questione e, sussistendone i presupposti, l’accoglimento della domanda.

Prima di esaminare nello specifico le censure mosse dai ricorrenti, i giudici amministrativi confutano l’argomento sostenuto dall’ AIFA secondo cui le decisioni da essa assunte, lungi dall’essere viziate sotto il profilo del difetto di istruttoria, troverebbero il loro fondamento nelle migliori evidenze scientifiche disponibili, ed essendo frutto di discrezionalità tecnica nella sua massima espressione non sarebbero sindacabili nel merito, tantomeno in sede cautelare.

Per i giudici di Palazzo Spada, infatti, “la c.d. riserva di scienza che compete ad AIFA non si sottrae al sindacato del giudice amministrativo, nemmeno in sede cautelare e meno che mai nell’attuale fase di emergenza epidemiologica, per l’indefettibile esigenza, connaturata all’esistenza stessa della giurisdizione amministrativa e consacrata dalla Costituzione, di tutelare le situazioni giuridiche soggettive, a cominciare da quelle che hanno un radicamento costituzionale come il fondamentale diritto alla salute, a fronte dell’esercizio del potere pubblico e, dunque, anche della discrezionalità c.d. tecnica da parte dell’autorità competente in materia sanitaria”.

In altre parole, pur riconoscendo l’insostituibile ruolo dell’AIFA nell’esercizio della farmacovigilanza e nella tutela della salute e l’indiscutibile fondamento scientifico delle determinazioni da essa assunte in materia sanitaria, i giudici puntualizzano che in concreto nessuna delle decisioni dell’autorità può sottrarsi al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo sul corretto esercizio della discrezionalità tecnica, in virtù di quanto sancito dagli artt. 24, c. 1, 103, c. 1 e 113, c. 2 della Costituzione.

Il Consiglio di Stato, richiamando la propria giurisprudenza consolidata in materia, ribadisce che il sindacato sull’esercizio della discrezionalità tecnica di una autorità indipendente non può limitarsi al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dalla stessa nell’adozione dell’atto, ma deve estendersi al c.d. controllo intrinseco, ovvero alla verifica diretta dell’attendibilità delle valutazioni tecniche operate dall’autorità, quanto a criterio tecnico utilizzato e procedimento applicativo; in altri termini, il giudice amministrativo, pur non potendo sostituire alle valutazioni opinabili dell’amministrazione una propria valutazione, parimenti opinabile, in ossequio al principio costituzionale di separazione dei poteri, deve poter verificare che le scelte dell’amministrazione siano assistite da una credibilità razionale, supportata da leggi scientifiche valide e correttamente applicate al caso di specie, al fine di evitare che la discrezionalità tecnica del decisore pubblico sfoci in un incontrollabile ed insindacabile arbitrio[1].

Fatta questa debita premessa in ordine ai confini del sindacato del giudice amministrativo sul corretto esercizio della discrezionalità tecnica, il Collegio passa a valutare se il divieto temporaneo posto dall’AIFA alla somministrazione off-label dell’idrossiclorochina in pazienti positivi al COVID non ospedalizzati e paucisintomatici sia logico e proporzionato, ovvero risponda effettivamente all’esigenza di assicurare una terapia appropriata e sicura a tutela dell’interesse alla salute pubblica, di cui l’AIFA è portatrice. Secondo il ragionamento dei giudici, infatti, il provvedimento dell’AIFA, indubbiamente lesivo dell’autonomia decisionale e della libertà prescrittiva del medico, potrebbe considerarsi legittimo soltanto in presenza di due condizioni, fondate su una solida base scientifica, ovvero l’inefficacia e la non sicurezza del farmaco per i pazienti in isolamento domiciliare e con sintomi lievi.

I giudici amministrativi premettono che è compito della scienza medica acclarare quali siano le condizioni di appropriatezza e di sicurezza della cura per la patologia del singolo paziente, secondo un approccio metodologico basato sui principi della c.d. evidence based medicine (EBM), ovvero della medicina fondata sulle evidenze sperimentali.

 

Tuttavia, essi rilevano che, quanto al profilo della appropriatezza, intesa come efficacia della cura, l’attuale situazione emergenziale non ha consentito di acquisire prove di efficacia clinica incontrovertibili in ordine all’utile impiego dell’HCQ nel trattamento del virus, considerate le condizioni di urgenza in cui sono stati eseguiti i trial clinici. La stessa AIFA, sottolineano i giudici, ha posto alla base della propria determinazione studi clinici condotti su pazienti già ospedalizzati, rispetto ai quali è indubbio che l’HCQ non svolga alcun effetto, disattendendo così il requisito di validità esterna della ricerca, finalizzata a dimostrare l’efficacia del farmaco sui pazienti paucisintomatici non ospedalizzati. Gli appellanti, al contrario, hanno allegato, a dimostrazione dell’efficacia della terapia con l’idrossiclorochina, diversi studi clinici controllati condotti su pazienti in isolamento domiciliare, numerosi studi osservazionali, nonché una preziosa esperienza clinica raccolta sul campo nei mesi antecedenti al divieto dell’AIFA.

Con riferimento, invece, al profilo della sicurezza della cura, i giudici evidenziano l’assenza di elementi tali da comprovare la pericolosità del farmaco, dal momento che l’AIFA ha riconosciuto che i dati dei trial clinici più recenti non sembrano confermare il maggiore rischio di tossicità cardiologiche, riscontrate nei primi studi. Inoltre, alcune recenti evidenze scientifiche dimostrano la sicurezza dell’impiego dell’HCQ, sia in terapie prolungate che in cicli brevi, se assunta in dosi non eccessivamente elevate.

 Alla luce di tali considerazioni, il Consiglio di Stato conclude che la perdurante incertezza circa l’ efficacia terapeutica dell’idrossiclorochina, ammessa dalla stessa AIFA a giustificazione dell’ulteriore valutazione in studi clinici randomizzati, “non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare l’irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale da parte dei medici curanti in base ad una conclusione – la totale definitiva inefficacia del farmaco sotto ogni aspetto, anche immunomodulatorio – che, allo stato delle conoscenze e della ricerche tuttora parziali e provvisorie, sembra radicale e prematura già a livello scientifico”.

Secondo i giudici, infatti, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, il rapporto benefici/rischi non è tale da precludere l’utilizzo off-label dell’idrossiclorochina nella cura domiciliare dell’infezione da SARS-CoV-2, fermo restando ogni ulteriore approfondimento istruttorio da parte del Tribunale nel corso del giudizio e dell’AIFA in sede procedimentale.

La decisione del Consiglio di Stato si basa sull’assunto per cui, in una situazione emergenziale che preclude l’acquisizione di dati certi ed univoci, di facile interpretazione clinica, non è possibile applicare in maniera incondizionata i principi propri dell’evidence based medicine, la quale ha come finalità ultima la cura più efficace del singolo paziente: ciò condurrebbe, infatti, al paradosso di negare una qualsiasi possibilità di sperimentare in concreto l’efficacia della cura proprio quando maggiore ed urgente ne è la necessità, data assenza di un’altra valida alternativa terapeutica domiciliare. Occorre, invece, misurarsi con il dato immediato della preziosa esperienza clinica raccolta sul campo da numerosi medici e proseguire con la sperimentazione, per verificare se l’HCQ sia in grado di esercitare, se non una diretta azione antivirale, quantomeno un beneficio o un meccanismo immunomodulatorio-antiinfiammatorio, che potrebbe consentire la cura domiciliare di moltissimi pazienti sotto stretto controllo medico e l’alleggerimento della pressione sui reparti di terapia intensiva e sub-intensiva negli ospedali.

 Il dovere di solidarietà sancito dagli artt. 2 e 32 della Costituzione, posto alla base dello Stato sociale di diritto, impone, infatti, alla scienza medica di curare anziché astenersi dal curare, laddove il singolo medico ritenga, in scienza e coscienza, la cura appropriata per il singolo paziente.

Per il Consiglio di Stato, dunque, “la scelta se utilizzare o meno il farmaco, in una situazione di dubbio e di contrasto nella comunità scientifica, sulla base di dati clinici non univoci, circa la sua efficacia nel solo stadio iniziale della malattia, deve essere dunque rimessa all’autonomia decisionale e alla responsabilità del singolo medico, con l’ovvio consenso informato del singolo paziente, e non ad una astratta affermazione di principio, in nome di un modello scientifico puro, declinato da AIFA, con un aprioristico e generalizzato, ancorché temporaneo, divieto di utilizzo”.

All’esito di una operazione di bilanciamento tra valori opposti (quelli di cui si fanno portatori i medici curanti e quello tutelato dall’AIFA), i giudici amministrativi rilevano che il provvedimento dell’autorità violi in maniera ingiustificata e sproporzionata, in assenza di valide ragioni scientifiche a sostegno della decisione amministrativa, il principio di libertà prescrittiva ed autonomia decisionale del medico curante, sancito dall’art. 3, c. 2, del d.l. n. 23 del 1998[2], nonché desumibile dagli artt. 9 e 33 della Costituzione, e limiti il fondamentale diritto alla salute tutelato dall’art. 32 della Costituzione, sia nella sua dimensione personalistica, negando al singolo paziente di usufruire di una possibile alternativa terapeutica, sia in quella solidaristica, intesa quale interesse della collettività.

Dal momento che la cura non è un’entità astratta o imposta dall’alto, ma deve essere costruita per la persona e con la persona, ovvero umanizzata e personalizzata nel rispetto della dignità umana, data la perdurante incertezza circa l’efficacia del farmaco e tenuto conto delle evidenze scientifiche e sperimentali disponibili, occorre restituire al singolo medico l’autonomia e la responsabilità che l’ordinamento gli riconosce nella prescrizione dell’idrossiclorochina per il trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2 nella sua fase iniziale, previo consenso del paziente alla sua somministrazione e naturalmente sino alla eventuale prova contraria della radicale inefficacia e pericolosità del farmaco, prova al momento non esistente e da acquisirsi in base ad incontrovertibili evidenze sperimentali.

5. Considerazioni conclusive

L’ordinanza del Consiglio di Stato offre alcuni spunti di riflessione. La pronuncia in commento si colloca sulla linea di confine, piuttosto labile, del controllo giurisdizionale di legittimità sugli atti della pubblica amministrazione che costituiscono esercizio di discrezionalità tecnica.

 I giudici di Palazzo Spada ribaltano l’ordinanza cautelare del TAR giudicando il divieto imposto dall’Autorità irragionevole ed illogico, in assenza di contrarie ragioni di salute pubblica che sconsiglino l’impiego generalizzato dell’idrossiclorichina. Essi, inoltre, ritengono implicitamente non applicabile nel caso di specie il c.d. principio di precauzione, il quale dovrebbe caratterizzare tutte le azioni della pubblica amministrazione a tutela della salute pubblica. In base a tale principio, richiamato in più occasioni dalla giurisprudenza amministrativa, anche durante la prima fase della pandemia da SARS-CoV-2, qualora sussistono incertezze o un ragionevole dubbio riguardo l’esistenza o la portata di rischi per la salute delle persone, i poteri pubblici possono adottare misure di precauzione, senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità di tali rischi[3].

Il Collegio, al contrario, dimostra un diverso approccio al “rischio”, ritenendo non giustificata l’adozione di misure restrittive, nonostante lo stato di perdurante incertezza circa l’efficacia della terapia con l’idrossiclorochina. È indubbio che i giudici amministrativi assumono una posizione forte all’interno del dibattito, piuttosto acceso nella comunità scientifica, relativo alle questioni attinenti alla libertà di cura. È pur vero, però, che un tale approccio appare giustificato alla luce della straordinaria situazione emergenziale e di sovraffollamento degli ospedali che stiamo vivendo, la quale non consente di mantenere un atteggiamento di prudenza e cautela.

 Il Consiglio di Stato si fa, dunque, portavoce dell’esigenza di proseguire la sperimentazione con l’idrossiclorochina, per assicurare, in assenza di altre efficaci terapie domiciliari, l’attuazione del fondamentale diritto alla salute che impone allo Stato e alla Stessa AIFA di consentire la cura, a fronte di una necessità terapeutica non rinviabile e nell’attesa di studi clinici più precisi.

È pacifico che tale decisione, così come precisato anche nel testo dell’ordinanza, potrà essere modificata qualora dinanzi al TAR, chiamato ad approfondire nel merito le questioni, dovesse essere dimostrata, attraverso evidenze sperimentali incontrovertibili, la totale inefficacia o pericolosità del farmaco.

 

[1] Sui confini del sindacato del giudice amministrativo sul corretto esercizio della discrezionalità tecnica da parte della pubblica amministrazione vedi, ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 5 agosto 2019, n. 5559; Cons. Stato, Sez. III, 17 dicembre 2015, n. 5707 e Cons. Stato, Sez. III, 2 aprile 2013, n. 1856.

[2] L’art. 3, c. 2, del d.l. 17 febbraio 1998 n. 23, convertito in l. 8 aprile 1998, n. 94 (“Legge Di Bella”) sancisce che in singoli casi il medico può, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un’indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione diversa da quella autorizzata, qualora il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già stata approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione e purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale.

[3] Con riguardo all’applicazione del principio di precauzione da parte del giudice amministrativo in fase di emergenza COVID, vedi TAR Campania, Napoli, Sez. V, ord. 22 aprile 2020, n. 826, il quale richiama Cons. Stato. Sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655.

Giulia Quagliariello

Giulia Quagliariello, 24 anni. Laureata, con lode, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con tesi in diritto amministrativo (“Il potere sanzionatorio della CONSOB”). Praticante Avvocato presso l' Avvocatura Generale dello Stato.

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