venerdì, Marzo 29, 2024
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La comunicazione commerciale e il contratto di endorsement: The Good on you vs Wycon

La comunicazione commerciale e il contratto di endorsement: The Good on you vs Wycon

Nella società ormai digitalizzata, la comunicazione commerciale avviene tramite l’utilizzo dei social network. Se pure è vero che questi mezzi di comunicazione sono più rapidi e più semplici da utilizzare, esistono tuttavia delle regole da rispettare che talvolta, consapevolmente o inconsapevolmente, vengono violate da parte degli operatori del settore, anche noti influencer, come nel caso che ha visto coinvolti la S.p.A. “The good on you” e la società di cosmetici “Wycon S.p.a.”.

Le suddette regole sono contenute nel c.d. Codice di Autodisciplina della Comunicazione commerciale[1] dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (meglio conosciuto come IAP[2]) che presenta, tuttavia, dei limiti poiché applicabile esclusivamente nei confronti di coloro i quali hanno aderito, attraverso la propria associazione o mediante la conclusione di un contratto di inserzione pubblicitaria, ad esso.

Nel caso che ha visto come protagonisti la S.p.a. “The good on you” e la società di cosmetici “Wycon S.p.a.”, il Comitato di Controllo[3] riteneva sussistente la violazione dell’art. 7 del succitato Codice, relativo all’identificazione della comunicazione commerciale, da parte dell’influencer Clarissa Marchese, la quale, tramite la pubblicazione sul proprio account Instagram di Stories relative a  prodotti appartenenti alla Wycon cosmetics, inviava ai followers (probabili futuri consumatori di Wycon) un particolare messaggio promozionale. Tale messaggio è stato ritenuto dallo stesso Comitato di Controllo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria “veicolante un contenuto eminentemente promozionale che non risulta esplicitato e dunque immediatamente riconoscibile come tale dal pubblico”[4]. L’Influencer, difatti, indirizzava i propri followers al sito web della Wycon, affermando semplicemente che lì avrebbero potuto “trovare tante cose molto carine, tante sorprese, anche legate all’evento del mio matrimonio”[5]. Nonostante il rimando alla pagina del brand e l’utilizzo di alcuni hashtag, il Comitato di Controllo non ha ritenuto vi fossero elementi idonei a rendere inequivocabile l’identificazione di tali contenuti come frutto di un accordo commerciale con l’inserzionista.

Questa circostanza è stata considerata dal Comitato come un’ipotesi di pubblicità occulta, che si realizza allorquando il professionista occulti la natura promozionale di un messaggio, conferendo allo stesso una veste informativa o comunque neutrale, così abbassando la soglia di attenzione del consumatore[6].

Nel caso di specie, le parti avrebbero dovuto comunicare correttamente l’avvenuta stipulazione di un contratto di endorsement, in presenza del quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha espressamente stabilito che le società committenti debbano inserire una clausola standard che preveda l’obbligo per gli influencer e ogni partner commerciale di adottare tutte le misure e le cautele necessarie per evitare forme di pubblicità occulta, con l’impegno a rendere riconoscibile la finalità pubblicitaria dei post. Il tutto sempre prevedendo delle penali in caso di inadempimento, che siano commisurate al valore economico del contratto e, nei casi più gravi, il diritto per la società committente di risolvere il contratto, e persino il diritto di richiedere il risarcimento dei danni.

Come anticipato, nel caso in esame, è stata ravvisata dal Comitato di controllo una violazione dell’art. 7 del Codice di Autodisciplina: la norma, rubricata “Identificazione della comunicazione commerciale” sancisce che “La comunicazione commerciale deve sempre essere riconoscibile come tale. Nei mezzi e nelle forme di comunicazione commerciale in cui vengono diffusi contenuti e informazioni di altro genere, la comunicazione commerciale deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti. Per quanto riguarda talune forme di comunicazione commerciale diffuse attraverso internet, i principali idonei accorgimenti sono indicati nel Regolamento Digital Chart”.

La “Digital Chart[7] richiamata contiene delle linee guida da seguire ai fini di realizzare comunicazioni commerciali che siano conformi alla disciplina dettata dallo IAP.

Secondo quanto disposto dalle linee guida della Digital Chart, in generale, gli influencers/celebrities/bloggers devono inserire nella parte iniziale del post ed entro i primi tre hashtag, in modo esplicito e riconoscibile, le seguenti diciture/hashtag: “Pubblicità/Advertising, Promosso da/Promoted by…, Sponsorizzato da/Sponsored by…, In collaborazione con/In partnership with…”.

Nella pratica contrattuale, tale onere di disclosure risulta essere posto, a monte, a carico dell’azienda/endorsee la quale, nella stesura del contratto di endorsement, è chiamata a stabilire con esattezza il contenuto dell’obbligazione pretesa, ossia la tipologia dei servizi e delle attività richieste all’endorser, dei contenuti da pubblicare.

È compito del brand/endorsee stabilire gli hashtag commerciali, gli hashtag e/o i tag ufficiali e le didascalie che l’endorser dovrà inserire al momento della condivisione di ogni singolo post.

In particolar modo nel contratto di endorsement mediante social (art.2), il Regolamento prevede che nel caso di contenuti a scadenza, quali ad esempio le stories, una delle menzionate diciture debba essere sovrapposta in modo ben visibile agli elementi visivi di ogni contenuto pubblicitario.

Nei contratti va inserito il rispetto delle Linee Guida e delle best practice indicate dalle autorità di regolamentazione della comunicazione, e non solo quelle dell’AGCM e dello IAP, ma anche quelle della FTC[8], con conseguente responsabilità dell’endorser in caso di inadempimento e previsione di sanzioni graduate e proporzionali alla condotta.

Obiettivo della Digital Chart è quello di effettuare una ricognizione sulle forme di comunicazione online più diffuse, e di fissare criteri per la loro riconoscibilità da parte della platea dei consumatori, nel rispetto di quanto predisposto dall’art. 7 del Codice di autodisciplina.

L’art. 7 del Codice, secondo il Comitato, “è uno dei pilastri portanti del sistema autodisciplinare, in quanto rappresenta il presidio irrinunciabile della trasparenza nelle comunicazioni pubblicitarie. Tale norma intende assicurare la distinzione non solo formale, ma anche sostanziale tra informazione giornalistica e comunicazione pubblicitaria, affinché la pubblicità si presenti e possa essere facilmente riconosciuta dal pubblico per la propria natura di messaggio promozionale, espressione di un punto di vista di parte e di un interesse dell’impresa i cui prodotti o servizi vengono illustrati[9].

Affinché venga soddisfatto il requisito della riconoscibilità previsto dall’art. 7 del Codice di Autodisciplina, è necessario infatti che risulti evidente l’accordo commerciale in essere tra il brand e l’influencer. Nel caso di specie, l’influencer Clarissa Marchese e la società cosmetica Wycon avrebbero dovuto mostrare correttamente al consumatore di aver concluso un contratto di endorsement dei prodotti che, secondo la definizione fornita dallo IAP, consiste in quella forma di accreditamento di un prodotto o di un brand da parte di personaggi celebri; da chi abbia acquisito visibilità credibilità presso il pubblico per le sue competenze in un certo campo (come influencer o blogger) o da utenti comuni (gli “user”) che esprimono nella rete la propria opinione o giudizio (che appartengono ai cd. user generated content), che comporti un vantaggio per la visibilità, credibilità e reputazione di un prodotto/brand”.

Tenuto conto che nel contratto di endorsement l’influencer (c.d. Endorser) concede lo sfruttamento della propria immagine all’azienda (c.d. Endorsee) a fini promozionali, impegnandosi, al contempo, ad utilizzare, nell’esercizio della propria attività, i prodotti della stessa, nel caso che ha coinvolto Clarissa Marchese il rapporto contrattuale è sorto, per conto del brand, tra l’agenzia “The Good on you” S.p.a. (che si occupa della remunerazione) e l’influencer. In questa circostanza nel contratto sarebbero dovute essere inserite clausole volte a responsabilizzare l’agenzia che avrebbe, a sua volta, dovuto vigilare attentamente sull’operato dell’influencer, così attivandosi tempestivamente, anche su eventuale segnalazione, per garantire l’osservanza delle Linee Guida tracciate dal Regolamento Digital Chart.

E’ bene sottolineare che, quando si parla di contratto di endorsement, si deve chiarire anche il concetto di comunicazione commerciale (ambito in cui esso si inserisce), tenuto conto che non tutte le forme di espressione aventi ad oggetto un prodotto o un brand rappresentano una comunicazione commerciale riconducibile al contratto atipico in questione. Inoltre, solo quando l’endorsement realizzi una comunicazione commerciale potrà essere applicato il Codice di Autodisciplina. E’ lo stesso Codice che dà una definizione di comunicazione commerciale[10] e considera “pubblicità” ogni comunicazione anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi, quali che siano i mezzi utilizzati. La comunicazione deve avere una funzione promozionale dell’impresa che ne attua la diffusione[11].

A sua volta, occorre tener distinta la comunicazione commerciale dalla semplice manifestazione del pensiero tutelata dalla Costituzione. Secondo il Giurì, non tutto ciò che è lecito nell’ambito della manifestazione del pensiero lo è anche in ambito pubblicitario, in quanto la funzione della comunicazione non è speculativa, politica o ideologica, bensì commerciale, ed è giusto esigere che i messaggi rispettino determinate regole comportamentali[12]. Infatti, opinioni personali, commenti spontanei, suggerimenti e consigli condivisi da blogger ed influencer, rappresentano una forma di libera espressione del pensiero, tutelata dall’art. 21 Cost., e di libertà artistica, protetta dall’art. 33 Cost. e, pertanto, sono da considerare legittimi.

In conclusione, sono evidenti le problematiche che riguardano la disciplina del contratto di endorsement nonostante vi sia un ruolo rilevante dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato che però non è in grado di tutelare la mole di informazioni che investe i destinatari della comunicazione commerciale, in particolar modo di quella occulta o scorretta. Tale lacuna è compensata dall’ Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria che vigila sul rispetto del Codice di Autodisciplina pubblicitaria e irroga sanzioni nel caso di violazioni. Le sanzioni che vanno ad essere applicate sono quelle disposte dal codice civile in materia di concorrenza sleale: l’art. 2599 rubricato “sanzioni” stabilisce che la sentenza che accerta gli atti di concorrenza sleale ne inibisce la prosecuzione, dettando quei provvedimenti volti a eliminarne gli effetti. Si tratta del rimedio inibitorio, volto ad evitare il perdurare del comportamento lesivo. Inoltre l’art. 2600 c.c. prevede, in aggiunta, che laddove tali atti siano sorretti dal dolo o dalla colpa[13] l’autore è altresì tenuto a risarcire i danni causati.

In ultimo, l’art. 2601 c.c. dispone che le associazioni professionali e gli enti rappresentativi di categoria possano promuovere le dovute azioni per la repressione della concorrenza sleale, nella misura in cui gli atti anticoncorrenziali ledano interessi diffusi.

Le norme appena esposte sono tutte volte a prevenire e reprimere atti che possano arrecare un danno ingiusto, nell’ottica del neminem laedere, ma con gli adattamenti imposti dalla specificità del tipo di illecito che si vuol reprimere[14].

 

[1] Tale Codice fu adottato in Italia il 12 maggio 1966 dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (vedi nota successiva) e le relative norme sono annualmente aggiornate in linea con l’evoluzione dinamica della comunicazione commerciale odierna.

Il Codice di Autodisciplina è vincolante per i mezzi pubblicitari che lo abbiano accettato tramite la propria associazione e ha lo scopo di assicurare che la pubblicità rivesta la forma di un servizio per il pubblico, dal momento che ha grande influenza sui consumatori. Pertanto esso definisce tutte quelle condotte non conformi alla legge e alle finalità di tutela dei consumatori.

[2] L’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria ha natura giuridica di associazione riconosciuta, in conformità al disposto di cui agli artt.14-35 c.c.. Esso è dotato di grande autorità, sia perché è il principale interlocutore dell’AGCM , sia per la sua storia ma anche per la rappresentatività, presso tutti quei soggetti a vario titolo interessati al controllo dei contenuti della comunicazione commerciale.

Lo IAP ha lo scopo di stabilire e dettare i parametri per una comunicazione commerciale “onesta, veritiera e corretta” a tutela dei consumatori e della leale concorrenza tra le imprese.

Gli organi dello IAP sono il Presidente, il Segretario Generale, il Consiglio Direttivo (organo che fissa le direttive generali di azione e si occupa dell’aggiornamento delle norme del codice), la Commissione di Studio (che formula istanze di revisione del codice e di sviluppo dell’autodisciplina), il Tesoriere, i Revisori dei Conti, la Segreteria.

In particolare il Comitato di Controllo svolge una funzione preponderante e, ai fini di tutela del consumatore, agisce sia d’ufficio che sulla base di segnalazioni. I suoi membri devono essere posti in una condizione di imparzialità ed indipendenza.

[3]  Il Comitato di Controllo è uno degli organi dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e svolge una funzione preponderante e, ai fini di tutela del consumatore, agisce sia d’ufficio che sulla base di segnalazioni. I suoi membri devono essere posti in una condizione di imparzialità ed indipendenza.

Laddove il Comitato ritenga un messaggio pubblicitario non conforme al Codice può emettere le ingiunzioni di desistenza o sottoporre il caso al Giurì. Inoltre può esaminare comunicazioni commerciali ancora non diffuse per valutarne la preventiva conformità al Codice.

[4] Ingiunzione del Comitato di Controllo dello IAP del 30 maggio 2019, n. 26/2019, Comitato di controllo/Wycon S.p.A. – The one celebrity s.r.l., in www.iap.it

[5] Ingiunzione del Comitato di Controllo dello IAP del 30 maggio 2019, n. 26/2019, Comitato di controllo/Wycon S.p.A. – The one celebrity s.r.l., in www.iap.it

[6] Per un approfondimento sul tema della pubblicità occulta si veda anche Simionato, AGCM e pubblicità occulta: aperto il procedimento istruttorio nei confronti di BAT e Stefano De Martino, Cecilia Rodriguez e Stefano Sala, https://www.iusinitinere.it/agcm-e-pubblicita-occulta-38985

[7] Il Regolamento Digital Chart dello IAP, emanato nel 2016 come documento contenente linee guida di mero indirizzo, è divenuto parte integrante del Codice di Autodisciplina soltanto dal 29 aprile 2019, e da quel momento ha acquisito valore vincolante nei confronti di imprese, agenzie e soggetti privati che aderiscono, direttamente o indirettamente, al Codice, come previsto nelle norme preliminari e generali dello stesso. Il documento ha come obiettivo quello di svolgere una ricognizione sulle più diffuse forme di comunicazione commerciale nel mondo digitale e quello di fissare criteri per la riconoscibilità della comunicazione commerciale, nel rispetto dell’art. 7 del Codice di Autodisciplina, che lo richiama esplicitamente. L’esigenza di dar vita ad una regolamentazione specifica deriva dal fatto che in tempi molto recenti si è assistito ad una esponenziale crescita degli investimenti nell’online advertising. Negli ultimi anni, con l’ampliamento delle potenzialità del web e lo sviluppo della tecnologia ad un ritmo rapido, è diventato possibile mostrare al pubblico, sponsorizzare, promuovere e commercializzare molti prodotti su Internet. In effetti, la comunicazione commerciale digitale si serve di numerosi tipi di format, che vanno dal display ai social network, ai video, al search, fruiti dai consumatori potenziali mediante vari device, come lo smartphone, il tablet, il pc e la smart tv. L’interattività propria di tali strumenti comporta la naturale condivisione di opinioni e commenti tra consumatori e aziende, creando una rete in cui profili promozionali convivono con contenuti non promozionali, rendendo difficile distinguere gli uni dagli altri. Inoltre la comunicazione digitale comprende nuove forme espressive, che il Regolamento prende in considerazione.

[8] La Federal Trade Commission, agenzia governativa statunitense indipendente, è volta a promuovere la tutela dei consumatori e l’eliminazione e la prevenzione delle pratiche commerciali anticoncorrenziali.

[9] Ingiunzione del Comitato di Controllo dello IAP del 13 luglio 2017, n. 55/2017, Comitato di controllo/Chamaleon advertising – Il giornale online – Mediamond, in www.iap.it

[10] Per un approfondimento sulle norme relative alla comunicazione commerciale vedasi artt. 1-16 del Codice di Autodisciplina.

[11] Pronuncia del Giurì di Autodisciplina dello IAP del 28 ottobre 1993, n. 161/1993, Comitato di controllo/Soc. Benetton e altri, in Il Foro Italiano, Vol. 117, parte I: giurisprudenza costituzionale e civile, 1994, p. 1982.

[12] Pronuncia del Giurì di Autodisciplina dello IAP del 28 ottobre 1993, n. 161/1993, cit., p. 1984.

[13] Per un approfondimento su concorrenza sleale e illecito aquiliano vedasi V. DI CATALDO, M.S .SPOLIDORO, A.VANZETTI, Manuale di diritto industriale, p.11 e, in particolar modo, sugli illeciti concorrenziali , T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali,  p. 203.

[14] G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale 1. Diritto dell’impresa, cit., p. 244.

Claudia Tortorici

Classe 1994, Claudia Tortorici è un avvocato del foro di Catania che si occupa prevalentemente di diritto societario, commerciale e proprietà intellettuale. E' Vice- responsabile dell'area di  Fashion law della rivista giuridica Ius in itinere, grazie alla quale riesce a dedicarsi alle sue passioni.

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