venerdì, Aprile 19, 2024
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Enti locali: spesa pubblica, competenze e crisi economica

La politica economica e di bilancio dello Stato, sia a livello nazionale che a livello locale, svolge un ruolo centrale in quanto attraverso di essa si realizza o, quanto meno, si tenta di raggiungere e garantire crescita e stabilità ad un Paese[1].

Gli enti locali contribuiscono al risanamento dei conti pubblici, la partecipazione alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica discende dalla competenza dello Stato in materia di coordinamento di finanza pubblica indicata dall’art.117 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n.3/2001,e più esplicitamente previsto dalla nuova formulazione dell’art.119 della Costituzione- operata dalla legge costituzionale n. 1/2012 – volta ad introdurre il principio del pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale.

Il novellato art.119 oltre a specificare l’autonomia finanziaria degli enti territoriali è assicurata nel rispetto dell’equilibrio dei rispettivi bilanci[2]. Dunque le nuove riforme conferiscono maggiore autonomia agli enti locali che perseguono i propri obiettivi e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’UE.

Tuttavia, nonostante le previsioni che attraverso l’ampio decentramento amministrativo e con l’attuazione del federalismo fiscale conferiscono agli enti locali il più ampio respiro autonomistico, la crisi finanziaria ha inciso notevolmente sulle politiche di spesa e di bilancio degli enti locali.

In una prima fase, la Corte Costituzionale ha posto limiti piuttosto rigorosi all’intervento dello Stato nel coordinamento finanziario, attribuendo allo Stato il ruolo centrale di porre gli obiettivi di spesa ma di non poter intervenire nel dettaglio, conferendo la più ampia autonomia degli enti territoriali la decisione in ordine alle modalità attraverso cui perseguire obiettivi.

Questo assetto, figlio di una impostazione autonomistica, frutto delle più recenti riforme nell’ambito del decentramento amministrativo attuato già con la riforma Costituzionale del 2001, è stato poi ben presto travolto dall’esplosione della crisi finanziaria che ha delineato nuovi assetti e ha dettato la necessità di un maggiore controllo della spesa anche decentrata e dunque anche a livello locale.

La crisi finanziaria ha determinato, dunque, una serie di interventi molto pervasivi anche su singole voci di spesa molto dettagliate. Questa condotta, secondo l’orientamento della Corte Costituzionale, sarebbe stata illegittima ma, in un secondo tempo, in seguito alle pronunce della Corte Costituzionale, il marcato controllo dello Stato sugli enti locali è stato ritenuto legittimo, in quanto l’obiettivo principale è l’unità economica della Repubblica e l’assolvimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti, insieme ai vincoli, dall’Unione Europea.

Alla luce della riforma costituzionale del 2012 che ha introdotto il principio del pareggio di bilancio e soprattutto il novellato art.119 della Costituzione, è evidente che lo Stato riconosce l’autonomia finanziaria degli locali, i quali allo stesso tempo sono però subordinati alla necessità di perseguire obiettivi su base nazionale nell’ottica di garantire gli equilibri di bilancio.

E’ necessario, però illustrare i principali strumenti utilizzati dal Governo per comprendere quale sia il ruolo dei Comuni ai fini del raggiungimento degli obiettivi, ponendo l’attenzione sull’impatto che hanno gli strumenti sulla dinamica di indebitamento degli enti pubblici. Il coordinamento della finanza pubblica ha subito delle evoluzioni in seguito alle riforme costituzionali. L’obiettivo di realizzare e attuare il federalismo fiscale si è tradotto in un sistema che è apparso snaturato nella sua realizzazione concreta.

Lo Stato, infatti, si è ritirato rispetto alla finanza comunale attraverso una drastica riduzione dei trasferimenti di parte corrente che si sono ridotti dal 2012 al 2015 per un taglio di 8,6 miliardi. L’attuazione di questa interpretazione deviata di federalismo fiscale che in un certo senso non accompagna e non tutela in maniera completa gli enti locali, ha esposto i Comuni ad una serie di difficoltà.

Le risorse su cui potevano fare affidamento gli enti locali, si sono drasticamente ridotte, amplificando, in alcuni casi tali difficoltà, quando il Governo adotta determinati decreti per la ripartizione dei tagli in corso d’anno o immediatamente prima del termine di adesione dei bilanci di previsione.

Ciò ha determinato un chiaro disorientamento negli enti locali, i quali non conoscono le risorse sulle quali poter fare affidamento rendendo vani tutti i presupposti di programmazione. Questa condizione ha fatto sì, non solo che fosse difficile gestire la spesa corrente ma ancor più complesso delineare le spese in conto capitale dove la programmazione e la progettazione devono poter fare affidamento su un arco temporale ragionevole.

Sotto questo profilo, si è pronunciata la Corte Costituzionale, la quale con la sentenza 129/2016[3] mitiga in qualche modo il coordinamento incisivo dello Stato. In particolare, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del d.l. 95/2012[4] in relazione all’anno 2013 per due ragioni: il mancato coinvolgimento degli enti locali e la tempistica dei tagli in corso d’anno agli enti.

La Corte Costituzionale certamente non nega, né sminuisce il ruolo dello Stato negli interventi di finanza locale che è organo deputato ad intervenire anche talvolta comprimendo l’autonomia finanziaria tuttavia però gli interventi dello Stato devono essere propositivi e cioè nell’ottica di perseguire una maggiore collaborazione istituzionale identificando dei criteri di riparto del taglio proporzionale e virtuoso rispettando l’autonomia finanziaria degli enti sotto il profilo della certezza delle risorse.

Altri strumenti che hanno definito il concorso dei Comuni agli obiettivi di finanza pubblica sono il patto di stabilità interno che è stato superato, dove gli enti locali non avranno altri vincoli se non quello del pareggio tra entrate finali e spese finali a cui si aggiunge l’obbligo di coprire la spesa corrente con entrate correnti[5].

Il Fondo Credito di Esigibilità introdotto dalla riforma contabile è uno strumento di compressione che impone agli enti locali di accantonare una certa percentuale di parte corrente attraverso un meccanismo che riduce la capacità di spesa.

Nonostante il quadro delineato, la linea adottata dallo Stato sembra aver sortito effetti positivi in quanto, per cinque anni i Comuni non solo non hanno prodotto altro indebitamento ma anzi hanno apportato accreditamento alla finanza pubblica.

Dunque, questo intervento ha mitigato l’indebitamento netto della pubblica amministrazione, i Comuni hanno contribuito al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica attenuando la dinamica dell’indebitamento.

Qual è il prezzo di questo quadro positivo? E’ necessario sottolineare quanto sia stata compromessa la spesa corrente dei Comuni che per questi enti svolge un ruolo centrale e primario: erogazione di servizi. Tagliare la spesa corrente impedisce di garantire all’ente locale servizi qualitativi ai cittadini.

E’ chiaro che bisogna lavorare sull’efficientamento della spesa in quanto gli sprechi ci sono a tutti i livelli di amministrazione. E’ fondamentale inoltre intervenire razionalizzando il sistema dello Stato che ad oggi non è né centralistico, né autonomistico e presenta non poche incertezze nel conferimento e riparto delle competenze.

Gli enti locali svolgono un ruolo centrale nel risanamento dei conti pubblici compromettendo in parte i servizi di welfare e dunque quei servizi destinati alle classi meno abbienti ed il Sud, ancora oggi, sembra essere il più penalizzato.

[1] https://Openbdap.mef.gov.it

[2] www.camera.it

[4] Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario.

[5] Da atti del convegno “Governo della spesa pubblica” 31 gennaio 2019 Luiss Guido Cari

Fonte immagine: http://www.italiadecide.it/event/scuola-per-la-democrazia-aosta-2017/

Valentina Marano

Si occupa di politiche pubbliche presso la Luiss Guido Carli.

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