venerdì, Aprile 19, 2024
Labourdì

Equo indennizzo e risarcimento del danno non patrimoniale da causa di servizio

Per “causa di servizio” si intende comunemente il riconoscimento della dipendenza dal servizio di una infermità o di lesioni fisiche. Tale accertamento può essere richiesto dai dipendenti delle amministrazioni pubbliche in generale, dagli appartenenti alle Forze di polizia e alle Forze armate.
Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio può dare diritto anche ad alcuni benefici, fra i quali la maggiorazione degli scatti di anzianità, un trattamento pensionistico privilegiato e la possibilità di chiedere un equo indennizzo.
In ogni caso, perché venga riconosciuta la dipendenza da causa di servizio, è necessario che l’infermità o le lesioni derivino da fatti accaduti in servizio o per cause inerenti al servizio medesimo come, ad esempio, l’ambiente e le condizioni di lavoro. La causa di servizio può essere riconosciuta anche se i fatti di servizio abbiano concorso con altri fattori o circostanze nel far insorgere infermità o lesioni; in tal caso i fatti di servizio medesimi devono risultare determinanti.
In particolare, l’equo indennizzo è un beneficio economico di natura indennitaria volto a risarcire una menomazione dell’integrità fisica causata da un’infermità o una lesione, che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio ed ascrivibili alle tabelle “A” o “B” di cui al D.P.R. n. 834/81 e successive modificazioni, nonché a risarcire il decesso la cui causa sia anch’essa riconosciuta dipendente.
Nonostante il legislatore abbia costruito una disciplina speciale per il caso ad hoc sorgono alcune perplessità in merito all’applicazione delle regole del codice civile. Seppur infatti si tratta di una legge speciale, diversi possono essere il titolo e la natura della somma che indennizzi, o meglio ristori, il danneggiato.
In particolare, nel diritto vivente il giudice amministrativo si è trovato a risolvere la questione relativa al cumulo fra equo indennizzo e risarcimento del danno civilistico, entrambi richiesti in sede giurisdizionale una volta accertata la causa di servizio.

Per sviluppare il ragionamento dell’Adunanza Plenaria del 2018, occorre brevemente riportare i due principali orientamenti della Cassazione relativi alla possibile cumulabilità delle somme richieste.
Un primo orientamento sostiene che la diversità di più titoli di obbligazione e dei relativi rapporti giuridici sottostanti costituisca una idonea causa giustificativa delle differenti attribuzioni patrimoniali e, conseguentemente, la condotta illecita rappresenta non la “causa” dell’indennità a vario titolo corrisposta, bensì la mera “occasione” di essa. Non si potrebbe pertanto applicare la regola della causalità giuridica ai fini del computo delle indennità nella fase di determinazione effettiva del danno. Secondo questo orientamento non vi sono rischi di sovracompensazioni economiche proprio perché la diversità delle ragioni giustificative delle attribuzioni patrimoniali impedisce di assegnare valenza punitiva al risarcimento del danno.
Un secondo orientamento applica invece la regola civilista della compensatio, ovvero si afferma come la diversità del titolo non giustifichi il cumulo, in quanto ciò che rileva è che la condotta, e non il titolo, sia unica e che essa costituisca la causa sia del danno sia dell’attribuzione di somme finalizzate a reintegrare il patrimonio leso. Sul piano funzionale, ammettendo il cumulo e non la compensatio, si assegna una funzione sovracompensativa al risarcimento del danno dove anche le indennità sono riconducibili eziologicamente al fatto illecito e, dunque, hanno una finalità già compensativa del pregiudizio subito dalla parte lesa. (1)

Le Sezioni Unite del 2018 hanno risolto il contrasto affermando, in linea di massima, che risulta necessaria una approfondita indagine sulla ragione giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale, ovvero occorre guardare alla funzione di cui il beneficio collaterale si rileva essere espressione per accertare se esso sia compatibile o meno con una imputazione al risarcimento. La determinazione del vantaggio computabile richiede che il vantaggio sia causalmente giustificato in funzione di rimozione dell’effetto dannoso dell’illecito. (2)
A questo punto bisogna chiedersi quale sia la fonte ovvero la ragione giustificatrice dell’attribuzione del risarcimento del danno, in particolare non patrimoniale, dato che l’equo indennizzo ha fonte nella legge stessa.
Come è noto il danno non patrimoniale è stato un argomento discusso in dottrina e in giurisprudenza fin dagli anni ottanta ma che ha trovato una più ampia applicazione solo nell’ultimo decennio. Per quel che qui interessa, lasciando il lettore alla copiosa letteratura ricostruttiva sul tema, basti considerare che risulta pacifica la definizione secondo la quale il danno non patrimoniale consiste in una lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante non suscettibile di valutazione economica. Si tratta di una lesione di natura unitaria ovvero che non si considera alcuna diversità nelle tipologie di danno racchiuse nella macro-area “non patrimoniale” (come si ricorderà fino al decennio scorso le componenti autonome del danno erano quella biologica, morale ed esistenziale), ciò anche per evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici. Non essendo sottocategorie autonome di danno si qualificano, tuttavia, quali possibili tipi di pregiudizi (o effetti pregiudizievoli) non patrimoniali utili ai fini della liquidazione effettiva del danno.

Sul punto si segue la più recente giurisprudenza della Cassazione che delimita i criteri e i metodi di quantificazione. In particolare, per evitare la risarcibilità di illeciti cd. bagattellari, la Corte ha individuato il criterio della gravità della lesione, riferita al danno ingiusto, e della serietà del danno, riferita al danno conseguenza ovvero quel danno alla persona nella sua prospettiva dinamico-relazionale. (3)
Più precisamente la gravita della lesione attiene al momento determinativo dell’evento dannoso, quale incidenza pregiudizievole sul diritto o interesse selezionato (dal legislatore o dall’interprete) come meritevole di tutela aquiliana, e la sua portata è destinata a riflettersi sull’ingiustizia del danno che non potrà più predicarsi tale in presenza di una minima offensività della lesione stessa. In definitiva, la gravità dell’offesa è funzione plastica del requisito dell’ingiustizia del danno. La serietà del danno riguarda, invece, il piano delle conseguenze della lesione e cioè l’area dell’obbligazione risarcitoria, che si appunta sulla effettività della perdita subita (il c.d. danno-conseguenza); il pregiudizio “non serio” esclude che vi sia una perdita di utilità derivante da una lesione che pur abbia superato la soglia di offensività. Occorre dunque dimostrare ai fini processuali la sofferenza morale da un lato, e l’impatto modificativo che l’illecito ha avuto nella vita quotidiana e cioè, lo si è detto, nella sfera dinamico relazionale del soggetto.

Risulta evidente a questo punto come la tradizionale tesi della tipicità del danno non patrimoniale non sia più attuale, dal momento che di per se la “sofferenza umana” e la dimensione esistenziale siano indefinite e atipiche (bene immateriale) nella valutazione economica che può solo essere agevolata mediante criteri, orientamenti ed eventuali prospetti tabellari (Trib. Milano). (4)
Disegnata la cornice essenziale del danno non patrimoniale, nel diritto amministrativo la tematica può trovare applicazione quando parte danneggiata sia un dipendente della pubblica amministrazione che abbia subito una lesione di un diritto della persona in conseguenza di una condotta della pubblica amministrazione in qualità di datore di lavoro. In particolare, quando la parte danneggiata, dopo aver ottenuto dall’Amministrazione una somma a titolo di indennità per infermità dipendente da causa di servizio conseguente all’esposizione a fibre di amianto presenti nel luogo di lavoro, chieda alla stessa Amministrazione il risarcimento del danno subito per la stessa ragione. Sono dunque presenti, come accennato, due titoli di obbligazione. (5)
Il primo titolo, secondo la giurisprudenza amministrativa, avrebbe fonte nell’art. 2087 c.c. il quale prevede che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Da ciò deriva anche, secondo la giurisprudenza anche della Corte di Cassazione, che la natura di tale titolo sia contrattuale la cui fonte è rinvenibile nel contratto di lavoro stesso ai sensi dell’art. 1374 c.c., integrato dalla norma di legge (2087 c.c.) che prevede doveri di prestazione finalizzati ad assicurare la tutela della salute del lavoratore. (6)
Il secondo titolo è regolato dall’art. 68 del d.P.R. n. 3/1957, il quale prevede che per le infermità riconosciute ai dipendenti da causa di servizio è a carico dell’amministrazione la spesa per la corresponsione di un equo indennizzo per la perdita dell’integrità fisica eventualmente subita dall’impiegato.

Il problema della cumulabilità, ora, si pone in base alla natura e alla fonte del singolo titolo: da un lato la norma generale del codice civile, dall’altro la disciplina speciale più volte modificata.
In precedenti decisioni i giudici di Palazzo Spada avevano ritenuto che la natura di tale indennità fosse diversa dalle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno e dovesse essere considerata alla stregua delle “altre indennità” corrisposte in costanza di rapporto. Questo perché il legislatore da un lato prescinde da ogni riferimento a criteri di responsabilità conseguenti al verificarsi dell’evento dannoso, dall’altro ciò che la legge protegge quale bene della vita non è l’integrità psico-fisica bensì la speciale condizione del dipendente divenuto infermo in ragione del suo rapporto con l’amministrazione e del servizio prestato. In altre parole, secondo quest’orientamento del 1993 seguito anche nel 2009, il fine non è risarcitorio ma si inserisce nell’ambito di un sinallagma funzionale avvicinabile alle indennità che l’amministrazione conferisce ai propri dipendenti in relazione alle vicende del servizio. Pertanto, fu considerato ammissibile il cumulo.
Seppur condivisibile, tale orientamento risulta smontato nel 2018 dal Consiglio di Stato.
Infatti, secondo l’A.P. più recente, il bene protetto è anche l’integrità psico-fisica del dipendente ed essa costituisce non l’occasione ma la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale. Non si ammette più quindi che l’equo indennizzo sia assibilabile alle “altre” indennità corrisposte in costanza di rapporto. La ragione, in estrema sintesi, è sottesa al fatto che il lavoratore, nelle precedenti pronunce, era considerato come prestatore-destinatario e non come persona protetta dal contratto. Si è ritenuto allora che le riportate norme di disciplina della materia prevedano un’indennità che può essere conseguenza sia di un atto illecito sia un atto lecito dannoso. Nel caso di specie rileva che, quando la lesione dell’integrità fisica subita dal dipendente sia causata dalla condotta contra ius del datore di lavoro, ad esempio quando non abbia adottato le cautele necessarie ed idonee a proteggere la sfera giuridica del lavoratore, la finalità perseguita è quella di compensare la sfera giuridica del lavoratore leso, sia pure attraverso un meccanismo strutturalmente differente da quello risarcitorio. In sostanza, la medesima condotta ha determinato solo “danni” e dunque più effetti pregiudizievoli, con la conseguenza che occorre evitare il cumulo di voci risarcitorie.

Pertanto, secondo il principio di diritto enunciato dal supremo consesso della giustizia amministrativa nella Ad. plen. n. 1/2018, la presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione compensativa e non punitiva della responsabilità, il divieto del cumulo con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario.

La valutazione contestuale dei principi affermati dall’Adunanza Plenaria e dalla Corte di Cassazione conduce a ritenere che l’elemento centrale è quello della funzione perseguita dall’obbligazione nascente dal titolo diverso: se la funzione è risarcitoria opera la compensatio in applicazione del criterio della causalità giuridica temperata mediante lo scomputo dell’equo indennizzo dalle somme corrisposte a titolo di risarcimento; se la funzione rinviene una propria e diversa causa di giustificazione opera il cumulo.
Essendo questo il nodo centrale ci si chiede se la norma, in caso di danno non patrimoniale ad effetti dinamico-relazionali, ossia l’art 68 d.P.R. 3/1957 abbia una qualche utilità dal momento che la teoria del danno non patrimoniale è pacificamente applicata in ragione anche delle numerose domande in sede giurisdizionale. Un’utilità che attiene alla ratio della norma (più volte modificata ma comunque vigente) e che consiste nella perdita di capacità lavorativa.
Si opta, nonostante ciò, per lo scomputo di quest’indennità la cui suddetta funzione risulta “compensata” dal risarcimento del danno. Quindi, il risarcimento che misura e congruità avrebbe se si elimina una delle sue voci che, secondo la giurisprudenza esiste, ma viene assorbita dalla sua stessa funzione riparatoria? Cosa si intende per “scomputo”?
Sottrarre una somma prevista dalla legge per ragioni eminentemente tecniche (causalità giuridica e ne bis in idem), seppur di pregio argomentativo, potrebbe portare ad un affievolimento della capacità ristorativa del risarcimento che oggi abbraccia dimensioni più ampie e che si presta a considerare tutti i beni della vita danneggiati (integrità fisica, morale, relazionale). L’equo indennizzo, secondo quest’orientamento, ha natura sostanzialmente analoga a quella risarcitoria da illecito contrattuale. Tuttavia, il nodo centrale, si rinviene nella parte dispositiva della pronuncia n.1 del 2018 dell’Adunanza Plenaria secondo la quale “occorre detrarre dall’ammontare della somma risarcitoria pari ad euro 85.180,00 la somma di euro 49.567,07 già corrisposta dall’amministrazione a titolo di indennizzo. L’amministrazione deve, pertanto, corrispondere alla parte appellata la somma di euro 35.612,93”.

Ora, l’indennità in questione è liquidata per legge in base a tre criteri essenziali: lo stipendio annuale, la categoria tabellare della lesione-infermità, l’età del militare al momento della domanda. In che termini allora si riduce (scomputa) il risarcimento, nel momento in cui si conferisce un valore minimo alle componenti non considerate dalla legge in questione, quali ad esempio quella morale-soggettiva, dinamico-relazionale e familiare? Un quesito che risulta di notevole rilievo pratico anche alla luce dei criteri enunciati dalla Corte di Cassazione sopra evidenziati, quali la gravità della lesione e la serietà del danno.
Forse risultava necessario un ulteriore sforzo argomentativo per chiarire al meglio dove finisce l’area “liquidabile” o “scomputabile” del risarcimento del danno non patrimoniale e inizia quella dell’equo indennizzo, o viceversa naturalmente.

 

1 – Cass. civ. sez. III n. 15534/2017

2 – Cass. sez. un. n. 12565/2018

3 – Cass. sez. un. n. 3727/2016

4 – Cass civ. sez III n. 320/2016

5  – Cons. Stato, Ad. plen. n. 1/2018

6 – Cass. civ. sez. lav. n. 14865/2017

Dario Di Stasio

Diplomato al liceo scientifico e laureato con lode in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Napoli "Federico II" all'età di 24 anni discutendo la tesi in diritto del lavoro in tema di licenziamenti e tutele indennitarie. Vincitore delle collaborazioni studentesche part-time A.A. 2014/2015, socio Elsa Napoli e vincitore assegnatario del bando per le attività di tutorato e orientamento A.A. 2017/2018. Ha superato con esito positivo il tirocinio presso il TAR Campania per l'accesso al concorso in magistratura. Ha completato il primo anno di praticantato come consulente del lavoro. Appassionato di diritto tributario, ha approfondito alcune sue branche, dalla finanza decentrata ai sistemi fiscali comparati. Sostenitore del federalismo europeo. E' stato eletto segretario della sezione di Napoli della Gioventù Federalista Europea nel 2017 e ha contribuito alla pubblicazione del volume “Europa: che fare? L’Unione Europea tra crisi, populismi e prospettive di rilancio federale”, edito da Guida Editore. Condivide e sostiene il progetto federalista di Altiero Spinelli volto all'unione politica e fiscale così da eliminare quelle disuguaglianze sostanziali che di fatto impediscono il pieno sviluppo della personalità anche oltre i confini nazionali.

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