Facciamo un po’ di chiarezza: cos’è il Bail in?
La crisi finanziaria sta dimostrando, purtroppo, che i paesi dell’Unione, tra cui l’Italia, non hanno predisposto strumenti atti ad evitare ed affrontare le crisi bancarie e le relative conseguenze.
Le banche, quindi, sempre più frequentemente si trovano ad affrontare situazioni tragiche ed i vari governi devono, per preservare l’economia del paese, intervenire con i vari decreti salva banche di cui sentiamo di sovente parlare. Tutto ciò a danno ed a spese dei contribuenti che pagano ogni volta un dazio sempre più salato per queste inadempienze del legislatore, in primis, e, se vogliamo, anche della cattiva gestione delle stesse banche.
Ultime, e speriamo davvero che lo siano, sono le crisi che hanno coinvolto banche del calibro di Montepaschi di Siena, Banca Etruria, Banche Marche e molte altre.
In questo disastroso contesto si spiega la direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) che introduce in tutti i paesi europei regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche e delle imprese di investimento. La direttiva istituisce delle “autorità di risoluzione” che hanno strumenti e poteri per pianificare la gestione delle crisi; intervenire per tempo, prima della completa manifestazione della crisi; gestire al meglio la fase di risoluzione.
La direttiva è stata attuata dal decreto legislativo 16 novembre 2015, nn. 180 e 181, che ha attribuito invasivi strumenti e poteri alla Banca D’Italia.
Tra gli strumenti di risoluzione, oggi vi spiegheremo quello che, per certi versi, può essere considerato il più significativo e discusso: il cd “Bail in”.
Con il Bail in (letteralmente “salvataggio interno”) si comprendono in pieno le intenzioni del legislatore comunitario: quello di far “affrontare” internamente alle stesse banche le risoluzioni della crisi con il diretto coinvolgimento di azionisti, obbligazionisti, correntisti. Seppur molto discussa, questa risoluzione, trova il consenso unanime dei paesi membri poiché dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, esentare i contribuenti e di riflesso i governi da suddette responsabilità, soprattutto politiche.
Con il Bail in le banche potranno utilizzare, per far fronte alle crisi, la svalutazione di azioni e crediti e la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà (o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali).
Sono esclusi dalle passività i depositi di importo fino a 100mila euro (protetti dal sistema di garanzia dei depositi), passività garantite come covered bonds e altri strumenti garantiti, passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela (come ad esempio il contenuto delle cassette di sicurezza) o in virtù di una relazione fiduciaria (come i titoli detenuti in un conto apposito), passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni, passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni, debiti verso dipendenti, debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare.
Il bail in, dunque, può risultare uno strumento molto rischioso per obbligazionisti, azionisti e correntisti di molte banche, anche considerate sicure, poiché potrebbe portare alla perdita del denaro di questi ultimi.
Il funzionamento del Bail in, inter alia, si applica seguendo una gerarchia logica che prevede in prima battuta il coinvolgimento degli azionisti (proprietari della banca), in seconda soggetti che investono in strumenti finanziari più rischiosi (es: titoli ad alto rischio), una volta esauriti tali “fondi” si passa alla categoria successiva. Solo qualora non basti l’azzeramento dei titoli degli azionisti e la conversione in azioni dei già suddetti investitori ad alto rischio, saranno interessati gli obbligazionisti ordinari.
La direttiva denota un cambio di rotta da parte del legislatore europeo che, abitualmente, prevede stringenti norme a tutela del singolo, facendo prevalere l’interesse dello stesso rispetto a quello pubblico, in tal caso, però, vi è una prevalenza dell’interesse pubblico a danno dei singoli che rimangono passivi ed inerti rispetto all’azione dell’Autorità di risoluzione. Tale azione porterebbe alla compressione dei diritti di questi ultimi a favore di una stabilità economica tanta auspicata dalle istituzioni.
Riccardo è associate di PwC TLS, dipartimento di corporate & compliance. Fondatore, direttore ed a capo della sezione di diritto commerciale e societario della law review “Ius In Itinere” (rivista divulgativa), direttore della rivista semestrale di diritto (rivista con carattere scientifico), direttore e membro del comitato scientifico del Master in Compliance e Prevenzione della Corruzione nei Settori Pubblico e Privato della LUMSA e presidente della sezione giovani di AITRA (Associazione Italiana Trasparenza e Anticorruzione). Nel suo cv vanta importanti esperienze in Italia e all’estero. Ha collaborato precedentemente con primari studi legali (Tonucci & Partners e LCA Studio Legale), ha rappresentato la Federico II all’Human Right Moot Court Competition ed è stato delegato a New York in una simulazione internazionale sul funzionamento delle Nazioni Unite. Nella sua quinquennale esperienza ha potuto ampliare le sue competenze con uno specifico focus sul diritto commerciale e societario e tutto ciò che ne concerne, seguendo importanti aziende nazionali e internazionali in ogni aspetto della vita dell’impresa e nella consulenza day by day. Inoltre, Riccardo ha seguito numerosi progetti di corporate governance, con particolare focus nel campo del D.Lgs. 231/2001 (predisposizione ex novo e aggiornamento di modelli 231, supporto ad organismi di vigilanza, predisposizione di procedure e processi) e della compliance aziendale (predisposizione deleghe di funzioni, predisposizione matrici 2086 c.c., contrattualistica commerciale). È, altresì, autore di numerosi articoli e pubblicazioni in materia di diritto commerciale e societario con le più importanti case editrici italiane (Zanichelli, Cleup).