venerdì, Aprile 19, 2024
Fashion Law Influencer Marketing

Facebook e Gucci insieme contro la contraffazione del marchio

Negli ultimi giorni Gucci USA e Facebook Inc. hanno radicato, congiuntamente, una causa avanti al Tribunale distrettuale della California settentrionale, nei confronti di Natalia Kokhtenko accusata di aver venduto, per diversi mesi, prodotti contraffatti con imitazione del marchio Gucci, sulle piattaforme social Facebook ed Instagram. La denuncia ha quale oggetto contraffazione, violazione del marchio e concorrenza sleale, per Gucci, e violazione delle politiche interne, per Facebook.

  1. La politica di Gucci

Già da anni il gruppo Kering, di cui Gucci è parte, ha attuato un piano strategico con l’obiettivo di proteggere la proprietà industriale ed intellettuale, agendo online ed offline.
Un disegno, questo, che mira a tutelare allo stesso tempo la creatività ed i diritti esclusivi della casa di moda, nonché l’affidamento dei consumatori. Proprio nel Codice Etico di Kering[1] viene espressa una politica di tolleranza zero nei confronti di qualsiasi tipo di frode, meglio specificata anche come contraffazione stricto sensu.
La scelta di intervenire, in modo sempre più pervasivo, sulla tutela del marchio e del design deriva dall’elevato livello di contraffazione che, ogni anno sempre più, intacca il mercato della moda.

Va specificato che, tra i diversi brands che fanno capo a Kering, Gucci è di certo tra i più imitati – se non il primo – a causa della storicità e notorietà del marchio, simbolo indiscusso del made in Italy. Nonostante l’utilizzo di materiali pregiati o di nuovi tessuti logati, la maison ha dovuto, purtroppo, affrontare la realtà di un mercato ormai intaccato da copie pressoché low cost (a volte nemmeno troppo), davvero molto simili e confondibili con l’originale, soprattutto per un occhio meno esperto.

In questo sistema di tutela si inserisce, a seguito di diverse segnalazioni effettuate dalla stessa Gucci, l’azione delle forze dell’ordine e delle strutture doganali che ha portato, in pochi mesi, alla rimozione di oltre 4 milioni di annunci, al sequestro di circa 4 milioni di prodotti, nonché alla disattivazione di oltre 45.000 siti e profili social.

  1. La politica di Facebook ed Instagram

Allo stesso modo, Facebook ha intrapreso diverse politiche di contrasto al fenomeno contraffattivo. La società fondata da Zuckerberg si ispira ad un modello di tutela già attuato da tempo da parte di Amazon, la quale ha creato addirittura una sezione specializzata al suo interno (la Counterfeit crimes unit) che agisce in sinergia con le forze dell’ordine, al fine di identificare e contrastare le condotte truffaldine[2].

Queste politiche di contrasto perseguono lo scopo di tutelare i clienti ed i venditori che si affidano al social di riferimento, ampliando il target[3] del mercato del lusso. Un marchio tende a mantenere accentrata la vendita, evitando che terze parti si inseriscano, al fine di salvaguardare serietà e controllo dell’azienda. È quindi evidente come un brand decida di affidarsi a piattaforme di e-commerce solo se queste sono in grado di garantire un elevato livello di sicurezza ed affidabilità. La lotta alla contraffazione e alla concorrenza sleale, nonché la collaborazione con i grandi marchi della moda, contribuisce certamente a rafforzare e sviluppare la fiducia di aziende e consumatori.

In questo piano d’azione sono state introdotte le normative pubblicitarie di Facebook ed Instagram.
Consultando, infatti, la sezione policies[4], al n. 10 della sezione contenuti vietati si legge: Violazioni di terzi – Le inserzioni non devono includere contenuti che violano i diritti di terzi, compresi diritti d’autore, marchi, privacy, diritto di pubblicazione o altri diritti personali o di privativa industriale. Per segnalare contenuti che, a tuo avviso, potrebbero violare i tuoi diritti, consulta la nostra sezione del Centro assistenza sulla proprietà intellettuale.

L’indicazione di uno specifico centro assistenza sulla proprietà intellettuale permette, agli utenti, di attivarsi concretamente e, alle aziende, di sapere che esiste uno strumento efficace a tutela dei loro diritti esclusivi.

È proprio grazie a questo nuovo profilo che numerose segnalazioni, provenienti dagli utenti stessi, hanno permesso a Facebook ed Instagram di disabilitare oltre 1 milione di profili ed attività ingannevoli, solo nella prima metà del 2020. Tra questi sono stati rimossi oltre 160 account e circa 25 post, riferibili alla Kokhtenko, la quale ha promosso, esattamente da aprile 2020 al 26 aprile 2021 – allorquando è intervenuta la segnalazione di Gucci USA -, diversi negozi online di sua proprietà, sulle piattaforme, nell’intento di differenziare quanto più possibile l’attività e rendere difficoltoso il tracciamento dei profili e dei prodotti.

  1. Come e perché nasce la contraffazione sui social?

I dati del rapporto OCSE 2018[5] (il più recente) stimano un commercio mondiale di prodotti contraffatti prossimo ai 32 miliardi di euro. Di questi, circa il 20% è costituito da prodotti di moda made in Italy. Facilmente intuibili sono i guadagni per i truffatori che, molto spesso, applicano prezzi solo minimamente inferiori agli originali.
Proprio per questo, in molti casi, l’acquirente non ha modo di avvedersi della falsità dell’oggetto e continua a rivolgersi allo stesso venditore, convinto di ricevere un prodotto autentico, pur risparmiando qualche centinaia di euro. Ed è questo il motivo principale per cui il mercato del falso cresce ogni anno di più.

Il successo di questo sistema rappresenta, però, un’arma a doppio taglio.
Creare profili pubblici rivendendo borse ed accessori di lusso, spacciandoli per originali e applicandovi un prezzo di poco inferiore a quello ufficiale, permette di generare un buon volume d’affari e farsi pubblicità. In questo modo, d’altro canto, il falsario viene notato, divenendo, potenzialmente, oggetto di segnalazioni e verifiche. Ed è proprio in questo modo che Gucci ha scoperto la truffa ordita a suo danno. Un dipendente della maison ha, infatti, appositamente acquistato una borsa dall’account Instagram della truffatrice e, una volta ricevuta, ne ha constatata la falsità.
Questo episodio ha dato inizio alla joint venture tra Gucci e Facebook, consistente nell’immediata interruzione del commercio di prodotti falsi provenienti dalla venditrice, già segnalata sia a Facebook Inc. sia alle autorità competenti.

Va, però, sottolineato che tale operazione si pone alla fine di un lungo periodo di monitoraggio e controllo di diversi profili social. La Kokhtenko ha, infatti, agito indisturbata per diversi mesi, senza che nessuno notasse il suo operato illecito. Centinaia di persone hanno acquistato i prodotti contraffatti e hanno permesso che l’attività truffaldina crescesse e si affermasse.
Uno dei principali motivi per cui un soggetto, che intende vendere prodotti falsi, si rivolge ad un social network, e non ad un e-commerce vero e proprio, sta nel fatto che il primo non richiede alcun dato specifico e non opera alcuna verifica sulla provenienza o autenticità dei prodotti, proprio perché il ruolo principale non è quello di essere piattaforma di vendita, ma di semplice condivisione. Chiunque può registrarsi, anche con uno pseudonimo, purché possieda un indirizzo mail cui fare riferimento. I post non hanno la necessità di superare alcun tipo di vaglio (cosa che accade per esempio sul sito Vestiaire Collective[6]), sicché finché il contenuto non viene postato, e poi eventualmente segnalato, risulta davvero difficile che possa essere notato e rimosso. È chiaro che questo sistema non permette un controllo vero e proprio sull’attività del contraffattore, il quale può agire indisturbato anche per anni.
È su questo sistema che si colloca il difficile bilanciamento tra la libertà dei social e il contrasto al mercato del falso.

  1. Illeciti e sanzioni

Certo è, comunque, che le sanzioni conseguenti a queste pratiche – che ricordiamo sono vietate, non solo dalle politiche di Facebook ed Instagram, ma soprattutto dalla legge – sono piuttosto pesanti.

Abbisogna, dunque, esplicitare quella che è la natura delle diverse accuse mosse da Gucci, onde evitare che vengano intese come mera sovrapposizione. Di queste:

  • la contraffazione consiste nella vera e propria imitazione di un prodotto, ossia la replica non autorizzata di un prodotto originale;
  • la violazione del marchio investe, invece, la probabilità di confusione che si può creare nel consumatore al momento del confronto tra due marchi o tra due prodotti apparentemente simili;
  • mentre la concorrenza sleale consiste in quelle pratiche illecite che sono volte ad ottenere un vantaggio o arrecare un danno ai competitori.

È evidente che tutte le accuse si integrano e costituiscono aspetti di una stessa condotta illecita, ben potendo comunque rimanere distinte le une dalle altre. La tutela che spetta al brand si pone, da una parte, sul fronte della affidabilità del consumatore e del mercato, dall’altra, sul rispetto dei diritti esclusivi di proprietà industriale (in particolare riferiti al marchio registrato Gucci e al relativo design registrato di accessori e tessuti).

Negli USA, dove la causa si è radicata, la violazione dei diritti di proprietà industriale è regolata dal Lanham Act del 1946, emendato dal successivo Trademark Couterfeiting Act del 1984, il quale prevede ingenti risarcimenti, per i danni dovuti al mancato guadagno (che possono essere anche triplicati quando la violazione è volontaria e consapevole, come in questo caso) nonché per le spese dovute all’esercizio della procedura di ingiunzione[7]. Ma uno dei danni maggiori è quello incidente sull’immagine del brand, poiché molti consumatori potrebbero essere portati a ritenere, per esempio, che Gucci produca borse di bassa qualità o con tessuti non particolarmente pregiati poiché le repliche non possiedono, necessariamente, lo stesso livello di qualità e attenzione che invece possono ben vantare gli originali.

  1. L’unione fa la forza

Di tutta evidenza è la visione comune che il social e la maison hanno, sia della tutela del mercato sia del consumatore. Inevitabile era, quindi, un’unione tra le due realtà. Proprio Facebook ha rilasciato una dichiarazione che lo comprova: La collaborazione intersettoriale con marchi come Gucci è fondamentale per questo tipo di azione di contrasto e per gli sforzi più ampi di Facebook per contrastare le contraffazioni attraverso i servizi offerti. Il rapporto di collaborazione tra Facebook e Gucci si basa sull’impegno e sugli sforzi congiunti per combattere la promozione e la vendita di prodotti contraffatti online. Questa causa è un passo successivo naturale nella progressione della nostra partnership.

Si deduce, quindi, che la lawsuit congiunta presentata in California non sarà l’unico caso di collaborazione, ma si prospetta come l’inizio di un lungo e florido sodalizio.
Un rapporto unito tra rivenditori e case di moda non può che giovare ad entrambi e permettere di agire al fine restringere e contrastare l’operatività del mercato del falso.

[1] Si legga https://www.kering.com/it/il-gruppo/la-nostra-governance/etica-e-condotta-aziendale/

[2] Proprio Amazon ha intentato cause, simili a quella di Gucci e Facebook, prima con Valentino e poi con Ferragamo.

[3] Nel linguaggio commerciale, la fascia dei potenziali acquirenti di un prodotto.

[4] SI legga: https://www.facebook.com/policies/ads/

[5] SI legga https://uibm.mise.gov.it/index.php/it/lotta-alla-contraffazione/osservatorio-sulla-contraffazione/impatto-e-caratteristiche/studi-mise-ocse-2018

[6] SI legga

[7] Lanham Act – 15 U.S. Code § 1117 – Recovery for violation of rights

 

Si legga ancora:

TROTTA, I marchi notori e la tutela contro i c.d. falsi palesi: il caso Gucci, Ius in itinere

Camilla Gentile

Avvocato. Camilla Gentile nasce in provincia di Brescia il 12 Aprile 1994. Dopo il conseguimento della maturità classica, si laurea in giurisprudenza nell’aprile 2019 presso l’Università degli Studi di Brescia con una tesi dal titolo “La tutela giuridica dei diritti di proprietà industriale ed intellettuale nel settore della moda”, con un approfondimento sulla disciplina della contraffazione in Italia, America e Francia. Dopo la laurea si iscrive al registro praticanti del Foro di Brescia e svolge la pratica forense in uno studio legale di diritto civile e penale. Contraddistinta da una forte passione per il diritto e la moda, successivamente segue diversi corsi specifici in tema di proprietà industriale ed intellettuale. Si distingue per curiosità, entusiasmo ed impegno. Collabora per Ius in Itinere nell’area di Fashion Law ed Influencer Marketing. Mail: avv.camillagentile@gmail.com

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