venerdì, Aprile 19, 2024
Fashion Law Influencer Marketing

Fashion Law e il Patto di Utthan

a cura di Sara Carofiglio

Introduzione

Nonostante i prezzi dei beni di lusso, le condizioni nelle fabbriche della loro catena di produzione possono essere pessime quanto quelle delle fabbriche che producono per i rivenditori di fast fashion“: così Michael Posner, professore di etica e finanza alla Stern School of Business della New York University[1], ha esordito durante una sua lezione.

In effetti, si tratta solo di una distorsione di percezione volta a trarre in inganno il consumatore.

La maggior parte delle aziende di fast fashion si è concentrata quasi esclusivamente sulla quantità di capi da produrre, costruendo imprese di dimensioni gigantesche basate su un modello a basso costo e ad ampio volume. In quanto tali, queste non si occupano di costruire una facciata positiva per la loro produzione. Di conseguenza, sono facilmente individuabili per gli abusi nelle fabbriche in località lontane come il Bangladesh e il Myanmar, così come a Los Angeles – e le recenti scoperte sul funzionamento del marchio di moda ultraveloce Fashion Nova sono un’indicazione[2].

La supply chain del lusso si nasconde in India

Dagli anni Ottanta, anche i più noti luxory brands hanno spostato gran parte del loro lavoro di ricamo in India.

Il paese è uno dei maggiori esportatori di abbigliamento al mondo, con un mercato tessile che vale tra i 150 e i 250 miliardi di dollari, secondo l’India Brand Equity Foundation, un trust istituito dal Ministero del commercio del Governo indiano. Le ricamatrici indiane, conosciute con la parola urdu karigar (artigiano), sono tra le migliori al mondo. Formalizzati durante il dominio Moghul, che si estendeva per due secoli a partire dalla metà del 1500, i karigars hanno tramandato la loro forma d’arte attraverso le generazioni. Oggi si tratta in gran parte di uomini musulmani che sono emigrati dall’India rurale a Mumbai, dove sono pagati con cifre irrisorie per lavorare fino a 17 ore al giorno, spesso in baraccopoli sovraffollate. Pochi hanno accesso all’istruzione o ai servizi pubblici, eppure il loro lavoro ha un valore inestimabile presso le aziende di moda estere.

Il 24 aprile 2013 si è, però, realizzato un evento che ha modificato l’atteggiamento delle case di lusso che affidano parte del proprio lavoro a fabbriche estere.

In questa data, infatti, si è verificato il crollo del complesso industriale di Rana Plaza a Dhaka, in Bangladesh; si è trattato di una tragedia che ha causato la morte di 1.132 operai del settore dell’abbigliamento e un numero ancora maggiore di feriti. I marchi del lusso, preoccupati per i loro legami con l’India – un paese noto per le deboli protezioni dei lavoratori, dove i crolli degli edifici e gli incendi delle fabbriche uccidono e mutilano regolarmente i lavoratori – hanno istituito l’Utthan[3] a dicembre 2016. Al patto si sono aggiunte anche almeno sette case di esportazione indiane – intermediari tra le fabbriche di ricamo locali e i marchi internazionali.

Utthan Framework

Il Patto di Utthan consiste in un quadro di riferimento dal titolo specifico Transforming the embroidery industry in Mumbai e ha coinvolto un gruppo di case di lusso, tra le quali Kering (proprietario di marchi tra cui Gucci e Saint Laurent) e due case di moda britanniche, Burberry e Mulberry. Le parti dell’accordo si sono unite in collaborazione con il Governo indiano e sono state sostenute da Impactt (una società di consulenza di Londra) per sviluppare lo schema Utthan con i seguenti obiettivi:

  1. Dare ai karigars operanti nel settore del ricamo a mano di Mumbai la possibilità di ottenere il riconoscimento per le loro abilità e per un dignitoso sostentamento. Questo nello spirito dell’articolo 21 della Costituzione dell’India, ai sensi del quale “nessuno può essere privato della vita e della libertà personale se non secondo le procedure stabilite dalla legge”. Ci si pone inoltre l’obiettivo di raggiungere 50.000 karigars entro la fine del 2020.
  2. Preservare e rafforzare il patrimonio artigianale dell’India citato nella sezione della Costituzione dell’India dedicata all’elenco dei doveri fondamentali volti a valorizzare e preservare il ricco patrimonio culturale nazionale.
  3. Assicurare una catena di distribuzione sostenibile di cui tutti i partner possano essere orgogliosi.

I membri del Patto sono tutt’ora impegnati a portare avanti il progetto Utthan, che si baserà sullo schema di formazione e certificazione delle competenze approvato del Consiglio Apparels made-Ups & home furnishing Sector Skills del Ministero indiano per lo Sviluppo. Essi si impegnano al fine di migliorare la qualità del lavoro per i karigars; consentire agli esportatori di soddisfare i requisiti etici e di consegna; fornire garanzie ai marchi sui principali standard lavorativi, il tutto all’interno del quadro giuridico indiano. Il patto prevedeva inizialmente una durata di 3 anni e non era giuridicamente vincolante.

L’accordo ha delineato gli obiettivi per le case di esportazione indiane, che in genere hanno le proprie fabbriche. Ma quando le scadenze sono strette e gli ordini di lavoro superano quanto le loro fabbriche sono in grado di produrre, le case di esportazione subappaltano i lavori di ricamo a piccole imprese, dove i salari sono spesso pagati in contanti e le strutture non rispettano i codici di sicurezza. Gli obiettivi su cui si basa l’accordo sono, tra gli altri: assicurare trasparenza delle reti di produzione che lavorano per i marchi Utthan; far lavorare i karigars in proprie officine certificate (o in officine di subappalto certificate), assicurandosi che i requisiti del quadro di riferimento siano soddisfatti: raggiungere i livelli salariali e di ore di lavoro previsti dal quadro Utthan.

L’impegno delle parti contraenti

Le parti dell’accordo prendono ciascuna impegni precisi. Per quanto concerne i marchi di lusso, essi si impegnano principalmente a sostenere l’industria del ricamo di Mumbai nella sua transizione verso l’Utthan, continuando ad acquistare da esportatori che si avvicinano agli obiettivi del quadro di riferimento; a garantire che il modello di business permetta il pagamento dei salari previsti; e a sviluppare modalità di lavoro che consentano di rispettare limiti di ore lavorative previsti. Gli esportatori, invece, si impegnano soprattutto ad assicurare trasparenza delle reti di produzione (per esempio, nomi e sedi delle officine in cui saranno fabbricati i prodotti) ai marchi, i quali a loro volta si impegnano a mantenere tali informazioni strettamente confidenziali e a non permettere alle officine di subappaltare ulteriormente; di avere il 95% dei karigars nelle proprie officine e il 90% nelle officine in subappalto con certificazione Utthan rispettivamente entro la fine del primo e del secondo anno dalla conclusione dell’accordo; di soddisfare i requisiti del quadro di riferimento e ad essere in conformità con la legge; che ogni nuovo luogo di lavoro soddisfi almeno i requisiti di base in materia di salute e sicurezza; e che tutti i luoghi di lavoro non impieghino lavoro minorile.

Le tre linee di azione del quadro di riferimento

  • Riconoscere e remunerare le capacità individuali dei karigars. Per consuetudine, i lavoratori indiani sono pagati secondo il sistema nafri, che non è riconosciuto dal Governo; questo non è conforme alla legislazione sul salario minimo, sugli straordinari e sull’orario di lavoro. Con il Patto Utthan, gli esportatori riconoscono che le abilità dei karigars sono ciò che arricchisce il settore e si impegnano a garantire che essi abbiano un certificato di abilità Utthan riconosciuto; si impegnano inoltre a sviluppare una scala retributiva che gratifichi l’abilità dei lavoratori e assicurano che tutti i karigars ricevano un livello retributivo approvato dal Governo indiano per il loro lavoro. I limiti lavorativi sono di 11 ore al giorno, 6 giorni alla settimana e ci si impegna a valutare alternative per abbandonare del tutto il sistema nafri all’interno delle fabbriche dell’Utthan. Per quanto riguarda il compenso, il “salario concordato” è di circa 225 dollari, inclusi i benefici.
  • Bilanciare la domanda dei clienti e i limiti di orario di lavoro. Una parte importante della competitività del settore in questione è la capacità di fornire ricami di alta qualità in tempi molto brevi, per seguire le scadenze delle sfilate e delle collezioni; gli ordini vengono spesso effettuati all’ultimo minuto e spesso l’unico modo per soddisfare queste richieste è che i karigars lavorino più a lungo dei limiti di lavoro legali. Allora, gli esportatori si impegnano a lavorare entro i limiti legali e si aspettano che gli acquirenti pianifichino le loro esigenze di ordinazione in modo da raggiungere questo obiettivo. Per la produzione, entrambe le parti concordano che è possibile controllare i turni di lavoro straordinari entro i limiti di legge; quando questo risulta più difficile gli acquirenti dovranno riconoscere che i limiti legali saranno compromessi e in ogni caso le parti si impegnano a pagare l’incremento legale degli straordinari. Al momento, il quadro giuridico in India sull’orario di lavoro è in fase di cambiamento; per il Factories Act del 1948 sono stati proposti alcuni emendamenti sottoforma di disegno di legge chiamato Factories Act (Amendment) Bill 2014[4]. La modifica della Sezione 64 del Factories Act prevede che il numero totale di ore di lavoro straordinario in un trimestre aumenterà da 50 a 100 ore. L’emendamento alla Sezione 65 prevede che, con il permesso dell’Ispettore Capo, il numero totale di ore di lavoro straordinario in un trimestre non deve superare le 115 ore e in alcune circostanze non deve superare le 125 ore. La modifica della Sezione 56 prevede che l’orario di lavoro aumenta a 12 ore anche senza l’autorizzazione dell’Ispettore Capo.
  • Garantire migliori standard di salute e sicurezza sul lavoro. Il lavoro di ricamo si svolge in una grande varietà di edifici e la salute e la sicurezza dei lavoratori sono un problema significativo in alcuni di questi. Gli esportatori coinvolti nell’Utthan riconoscono che tutti hanno il dovere di salvaguardare la salute e la sicurezza di tutte le persone che lavorano in questo contesto, pertanto si impegnano a implementare i livelli di base e accettabili della lista di controllo per la salute e la sicurezza insieme alla formazione delle competenze di Utthan, e a sostenere i responsabili delle officine in subappalto per apportare miglioramenti.

Il Factory Act del 1948 si occupa ampiamente della normativa relativa alla salute e sicurezza dei lavoratori. Alla Sezione 11, esso dispone che ogni fabbrica deve essere tenuta pulita e libera. Ai sensi della Sezione 13, ogni fabbrica dovrebbe avere un’adeguata ventilazione e circolazione dell’aria fresca. La Sezione 18 specifica le disposizioni relative alla sufficiente disponibilità di acqua potabile per i lavoratori e la Sezione 19 fornisce dettagli relativi alla costruzione di orinatoi nelle fabbriche, da tenere separati per i lavoratori di sesso maschile e femminile. Sotto la Sezione 17 è stato disposto che ci dovrebbe essere un’adeguata disposizione dell’illuminazione nelle fabbriche. Ai sensi della Sezione 32, le strutture devono essere adeguatamente costruite e mantenute, in modo che non ci siano possibilità di scivolare o cadere.

I problemi dell’accordo Utthan

Nonostante l’apparente azione positiva dell’accordo Utthan, le case del lusso non hanno pubblicizzato il loro coinvolgimento; nessuno al di fuori dei team del lusso e dei loro partner fornitori ne era a conoscenza fino alla rivelazione del New York Times[5]; il patto non è stato trasmesso per mezzo di comunicati stampa e nemmeno annotato nei rapporti annuali o nella piattaforma di responsabilità sociale e aziendale dei gruppi di lusso, rimanendo nascosto dietro gli abiti e gli accessori da passerella. La ragione di ciò, ipotizza il Times, sta nel fatto che i lavoratori a contratto e in subappalto “completano ancora gli ordini in strutture non regolamentate che [non] rispettano le leggi indiane sulla sicurezza delle fabbriche”.

C’è da sottolineare che il Times ha riconosciuto nello sforzo il miglioramento delle misure di sicurezza in alcune fabbriche e Impact riferisce che il numero di persone con benefici occupazionali è in aumento, ma la situazione non è priva di problemi. Maximiliano Modesti, il fondatore di Les Ateliers 2M, un’azienda di ricamo di Mumbai che lavora con Chanel, Hermès e Isabel Marant, ha dichiarato di essere stato contattato per entrare a far parte di Utthan nel 2014, quando il progetto era in fase di sviluppo. Il signor Modesti ha lasciato perdere poiché ritenne che gli stipendi fossero troppo bassi e ha detto di aver pagato alle sue ricamatrici fino al 50% in più del salario previsto dall’Utthan e ha pensato che fosse strano che il Patto richiedesse il rispetto dei limiti dell’orario di lavoro in India, riconoscendo allo stesso tempo che quelle regole potevano essere aggirate quando le marche di lusso avevano bisogno di lavoro all’ultimo minuto.

Più in basso nella catena di fornitura, dove le condizioni di lavoro sono peggiori, i manager di diverse fabbriche di subappalto hanno detto che molti degli obiettivi del progetto dovevano ancora essere raggiunti; tre anni dopo l’introduzione dell’Utthan, pochi dei loro artigiani ricevevano prestazioni sanitarie o una pensione e che l’orario di lavoro superava regolarmente i limiti legali dell’India. Ogni fabbrica visitata dal Times mancava almeno di alcuni dispositivi di sicurezza imposti dall’Utthan e dal Factories Act dell’India.

Conclusione

Le case del lusso hanno molto da cui trarre vantaggio quando si tratta dell’etica dei loro marchi. I loro prodotti costosi nella mente di molti consumatori si traducono direttamente in prodotti di qualità superiore e in standard di lavoro più elevati. Essi vantano inoltre decenni di narrazione attentamente curati e di marketing incentrato sull’artigianato, con artigiani che lavorano in condizioni incontaminate. Presi nel loro insieme, questi elementi permettono ai marchi di mantenere il loro status di attori di lusso e di comandare prezzi che corrispondono alle posizioni di mercato. Questa ampia aura di lusso ha resistito anche se la realtà della loro produzione è cambiata nel corso degli anni e tali marchi sono, come dice Posner, in gran parte “immuni al controllo pubblico” quando si tratta di standard lavorativi e dei loro fornitori. Anche la maggior parte dei marchi dell’alta moda e del lusso – proprio come le entità del fast fashion – affidano la produzione dei loro prodotti a terzi (che a loro volta arruolano appaltatori e subappaltatori) poiché pochi di loro vantano una rete di fabbriche abbastanza grande da produrre le quantità di cui hanno bisogno. Questa dipendenza da terzi è generalmente oscurata a livello di comunicazione. Vale la pena di notare che il mito della manifattura di lusso è aiutato in gran parte dalle regole favorevoli dell’etichettatura nelle capitali europee della moda, che permettono ai prodotti che sono stati realizzati al di fuori di questi paesi di portare ancora un’ambita etichetta “Made in Italy” o “Made in France”. Poiché il paese d’origine ai fini dell’etichettatura, secondo le regole dell’Unione Europea, è il paese in cui si svolge il processo di produzione finale e non prende l’origine nazionale degli artigiani, questi grandi marchi appaiono legalmente onesti, anche se i loro prodotti sono in gran parte creati altrove.

 

[1]  Kai SchultzElizabeth Paton and Luxory’s Hidden Indian Supplychain, The New York Times, articolo dell’11 Marzo 2020, disponibile su https://www.nytimes.com/2020/03/11/style/dior-saint-laurent-indian-labor-exploitation.html

[2] Fashion Nova is Coming Under Fire for alleged wage and labor violations, but the Law is (largely) on its side, The Fashion Law, articolo del 19 dicembre 2019 disponibile su https://www.thefashionlaw.com/fashion-nova-is-coming-under-fire-to-alleged-wage-violations-but-the-law-largely-is-on-their-side/

[3] Il Patto di Utthan è disponibile per il download qui.

[4]

[5] Kai SchultzElizabeth Paton and Luxory’s Hidden Indian Supplychain, The New York Times, articolo dell’11 Marzo 2020, op.cit., disponibile su https://www.nytimes.com/2020/03/11/style/dior-saint-laurent-indian-labor-exploitation.html

Fonte immagine: www.pixabay.com

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