giovedì, Marzo 28, 2024
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Fedez, Mille e Coca Cola: è davvero pubblicità occulta?

Fedez, Mille e Coca Cola: è davvero pubblicità occulta?

A cura di Elisa Simionato e Maria Elena Orlandini

“Labbra rosso Coca Cola, dimmi un segreto all’orecchio stasera. Hai un risolto un bel problema e va bene così, ma poi me ne restano mille”.

E forse i mille problemi di Fedez sono proprio quelli che derivano dagli esposti che vengono presentati all’Antitrust nei suoi confronti. Continua, difatti, la saga che vede contrapposti da una parte il cantante Fedez e dall’altra il Codacons. Capiamo, stavolta, cosa è successo.

  1. Il video musicale e le accuse

Il tormentone estivo di Fedez, Orietta Berti e Achille Lauro è sotto la lente del Codacons: nel video, pare, vi sarebbero troppi riferimenti alla Coca Cola, riferimenti privi di qualsivoglia dicitura che informi il consumatore della finalità commerciale del marchio rappresentato nel video.

Il richiamo alla Coca Cola non parrebbe limitarsi soltanto ad una frase del ritornello della canzone, ma vi sarebbero molteplici riferimenti visivi al brand nel video (si pensi a titolo meramente esemplificativo la poltroncina e le sedie brandizzate Coca Cola). A tali riferimenti si aggiunge poi la campagna di influencer marketing che coinvolge proprio Fedez e la Coca Cola Zero, di cui, appunto, il rapper italiano ne è promotore sui social networks. Vediamo adesso cosa il Codacons vuole censurare con il suo esposto. Il Codacons, appena 48 ore dopo dall’uscita del video clip di “Mille” – destinato a diventare il tormentone estivo del 2021, che ha visto il coinvolgimento di Orietta Berti e Achille Lauro – riconosce che nella descrizione del video, nel canale YouTube, viene specificato che: “Il filmato contiene marchi e prodotti per fini commerciali. Product Placement: Coca Cola[1], tuttavia la descrizione ora riportata, a detta dell’associazione dei consumatori, non è “immediatamente percepibile agli utenti a meno che gli stessi non vadano a cercarla tra i credits del video e perché non compare in sovrimpressione all’inizio del videoclip, in modo da informare correttamente i consumatori”[2].

Per tali ragioni, secondo il Codacons, il video di “Mille” sarebbe da censurare, e per l’effetto sanzionare, per pubblicità occulta espressamente vietata ai sensi del Codice del Consumo.  Il Codacons si è rivolto allo IAP per far sì che nel video venissero eliminati tutti i riferimenti alla Coca Cola, non solo nel ritornello. Analizziamo giuridicamente la questione e tranquilli, non vi è alcuna possibilità che, tra qualche settimana, ci ritroveremo sulle spiagge a cantare “labbra rosso bibita zuccherata americana”!

  1. La pubblicità occulta e la comunicazione commerciale a mezzo social network

Se, come sosteneva Henry Ford, la pubblicità è “l’anima del commercio” stante la sua capacità di influenzare le scelte dei consumatori, essa deve tuttavia essere realizzata in conformità a quanto previsto dal legislatore.

Il Codice del Consumo (D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), all’art. 18 co. 1 lett. b definisce professionista “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo (pratiche commerciali, pubblicità e altre comunicazioni commerciali, ndr), agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista”. Ciò che rileva è, dunque, il collegamento fra il professionista e l’azienda in nome e per conto della quale esercita l’attività di endorsement. La nozione di “professionista” è, pertanto, costruita di riflesso sulla base dell’attività esercitata: qualunque persona, fisica o giuridica, può rivestire il ruolo di professionista nell’ambito di una attività di promozione di un prodotto, quando la finalità di quest’ultima attività sia di natura commerciale. In altre parole, il consiglio disinteressato di un amico o anche di un commentatore che esprime di propria iniziativa un’opinione personale su internet non fa di questa persona un professionista ai sensi dell’art. 18 Cod. Cons. Al contrario, se questa persona esprime tale opinione riguardo ad un prodotto o un servizio a fronte di un rapporto che lo collega all’azienda cui tale prodotto o servizio è legato, si tratta di un caso di pubblicità, e, in quanto tale, dovranno esservi applicate le regole che ne disciplinano il contenuto.

Quali sono dunque queste regole?

Il Decreto Legislativo 2 agosto 2007, n. 145[3] statuisce, all’art. 1, che “la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta”, e precisa all’art. 5 che “la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale”,  vietando ogni forma di pubblicità subliminale e definendo ingannevole “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente” (art. 2).

Anche la giurisprudenza ha avuto modo di definire ancor più chiaramente i confini fra ciò che è concesso e ciò che non lo è: “la legge vieta qualsiasi ‘camuffamento’ di un messaggio pubblicitario sotto sembianze diverse allorché la dissimulazione della natura pubblicitaria del messaggio sia di per sé idonea ad indurre in errore il destinatario, pregiudicandone il comportamento economico” (TAR Lazio, I, 19.6.2003 n.5450).

Tale normativa deve essere inoltre letta in combinato disposto con il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale dello IAP, l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, e in particolare alla luce dell’art. 7: “La comunicazione commerciale deve sempre essere riconoscibile come tale. Nei mezzi e nelle forme di comunicazione commerciale in cui vengono diffusi contenuti e informazioni di altro genere, la comunicazione commerciale deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti. Per quanto riguarda talune forme di comunicazione commerciale diffuse attraverso internet, i principali idonei accorgimenti sono indicati nel Regolamento Digital Chart.” [4].

Il rimando alla Digital Chart e agli indicatori ivi previsti affinché il messaggio commerciale sia identificato come tale sono dunque la chiave di lettura che permette di rispondere al quid iuris proposto.

Infatti, come previsto dalla citata Digital Chart, il professionista che realizzi una comunicazione a scopo commerciale deve rendere palese tale finalità agli utenti, indicando chiaramente che il contenuto da lui prodotto è una “adv” o, comunque, che vi sono inserimenti di prodotti a fini commerciali.

Le uniche indicazioni date dallo IAP sono che l’indicazione sia “ben distinguibile” e “ben leggibile” (salva, comunque, l’indicazione degli hashtag pertinenti alla comunicazione e idonei a rendere visibile l’intento pubblicitario della stessa).

Pertanto, la frase inserita nella descrizione e nei secondi che precedono i credits finali del video, parrebbe rientrare nei parametri normativi poc’anzi descritti: così facendo Fedez e i suoi soci hanno dunque “risolto un bel problema”.

  1. Conclusione

Ebbene, da questa breve disamina giuridica sembrerebbe che non si possa concretamente parlare di pubblicità occulta. Dunque, potrebbe risultare non del tutto fondata l’accusa del Codacons secondo cui gli utenti non sarebbero in grado di percepire immediatamente la collaborazione tra il rapper italiano e il marchio Coca Cola.

E’ da comprendere dunque se le misure adottate per palesare la finalità commerciale del video – invero, sia la descrizione del video che la parte finale dello stesso includevano informazioni rilevanti in tal senso – verranno ritenute sufficienti per escludere la negazione dell’art. 7 del Codice dell’Autodisciplina Pubblicitaria o meno.

[1] Per un accurato approfondimento del Product Placement si rimanda a M. Raco, Product placement ai limiti della pubblicità occulta: Baby K e Chiara Ferragni per Pantene, Ius in itinere, disponibile al link https://www.iusinitinere.it/product-placement-ai-limiti-della-pubblicita-occulta-baby-k-e-chiara-ferragni-per-pantene-34145

[2] Sorgerebbe a tali condizioni un contrasto con le recenti disposizioni dell’Antitrust che dispongono l’obbligo di rendere palese “l’inserimento di prodotti a fini commerciali, prevedendo segnali in sovrimpressione che avvisino circa la presenza di marchi a scopo promozionale, pena, in caso di inottemperanza, la sanzione pecuniaria da 10mila a 5 milioni di euro”.

[3] Il Decreto in esame, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 6 settembre 2007, è appunto denominato “Attuazione dell’articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole”.

[4] Per un approfondimento si veda anche E. Simionato, AGCM e pubblicità occulta: aperto il procedimento istruttorio nei confronti di BAT e Stefano De Martino, Cecilia Rodriguez e Stefano Sala, https://www.iusinitinere.it/agcm-e-pubblicita-occulta-38985

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