sabato, Aprile 20, 2024
Tax Driver

Flat Tax: riforma epocale o misura inefficace?

Il concetto di Flat Tax non è una novità. Basti pensare che questo tipo di imposta fu ideata per la prima volta dall’economista statunitense Milton Friedman nel 1956, mentre nel nostro Paese un progetto di Flat Tax era già presente nel disegno di legge della riforma economica del Ministro Tremonti del 2003.

1. Introduzione

Assodato che non si tratti di un’assoluta novità dal punto di vista teorico, bisogna pensare però che potrebbe essere una riforma epocale dal punto di vista economico e normativo.

La Flat Tax è un’imposta che prevede una sola aliquota costante indipendentemente dall’entità del reddito imponibile. Essa quindi si basa su un sistema fiscale non progressivo, a differenza di quello che abbiamo visto ad esempio con l’attuale IRPEF. Quindi l’applicazione di questa imposta nella sua nozione “pura”, non seguirebbe il principio della progressività[1], principio di carattere generale a cui si ispira il nostro sistema tributario.

Proprio per questo motivo la Flat Tax che si sta introducendo in Italia sarebbe meglio definirla come una “Flat Tax Attenuata”. Essa infatti prevede comunque deduzioni o detrazioni, e, almeno nei piani. due diverse aliquote e non soltanto una.I motivi principali per i quali uno Stato possa decidere di applicare la tassa piatta sono principalmente quelli di aumentare il gettito fiscale e contrastare l’evasione.

In Europa fino ad ora solo Paesi dell’Est hanno utilizzato questo tipo di tassazione[2]mentre nella parte occidentale è quasi del tutto assente.

2. Il contratto di governo

L’introduzione della Flat Tax in Italia è stata annunciata dal Governo Conte ed ancor prima era stata inserita nel così detto “Contratto di Governo” tra Movimento Cinque Stelle e Lega.
Tralasciando gli aspetti politico-istituzionali che hanno portato alla nascita di questo progetto di riforma fiscale, bisogna individuare le caratteristiche del progetto della“Flat Tax italiana”.
Il “Contratto di Governo” così recita:

“Punto di partenza è la revisione del sistema impositivo dei redditi delle persone fisiche e delle imprese, con particolare riferimento alle aliquote vigenti, al sistema delle deduzioni e detrazioni e ai criteri di tassazione dei nuclei familiari.

Il concetto chiave è “Flat Tax”, ovvero una riforma fiscale caratterizzata dall’introduzione di aliquote fisse, con un sistema di deduzioni per garantire la progressività dell’imposta, in armonia con i principi costituzionali. In particolare, il nuovo regime fiscale si caratterizza come segue: due aliquote fisse al 15% e al 20% per persone fisiche, partite IVA, imprese e famiglie; per le famiglie è prevista una deduzione fissa di 3.000,00 euro sulla base del reddito familiare.

La finalità è quella di non arrecare alcun svantaggio alle classi a basso reddito, per le quali resta confermato il principio della “no tax area”, nonché in generale di non arrecare alcun trattamento fiscale penalizzante rispetto all’attuale regime fiscale. Una maggiore equità fiscale, dunque, a favore di tutti i contribuenti: famiglie e imprese.”

Quindi in base a quanto previsto dal “Contratto di Governo” è chiaro che la Flat Tax non verrà introdotta nella sua versione “pura” ma prevederà una no tax area ed un sistema di deduzioni che preserveranno il principio di progressività, costituzionalmente sancito. Inoltre si nota come ci saranno due aliquote in base a scaglioni differenti per imprese, famiglie, partite IVA.

3. Legge di Bilancio 2019

L’introduzione della Flat Tax sarà graduale. Inizialmente potranno beneficiarne solo i titolari di partita Iva.

Nello specifico con la Legge di Bilancio 2019 si è prevista l’introduzione di 4 diverse Flat Tax:

  • una del 5% per le startup per giovani con meno di 35 anni e persone con oltre 55 anni di età in procinto di aprire una partita IVA;
  • una del 15% per le partite IVA con ricavi e compensi fino a 65 mila euro (dal 2020 ci sarà un’ulteriore aliquota del 20% per chi ha redditi e compensi fino al limite di 100 mila euro);
  •  una Flat Tax al 7% per i pensionati stranieri che si trasferiscono al Sud;
  •  una “destinata ai Professori” al 15% per ricavi derivanti da lezioni e ripetizioni private;

Questa Flat Tax per i titolari di partita IVA dovrebbe coinvolgere 1 milione e 600 mila contribuenti, di cui 1 milione come “Forfettari” e 600 mila come “Minimi” (Fonte sole 24ore).
Famiglie e imprese dovranno aspettare invece il 2021.

4. La redistribuzione della ricchezza

Ogni Stato ha il dovere di assistere cittadini che hanno un reddito molto basso, al fine di permettere loro una vita dignitosa. Lo Stato deve riuscire inoltre, ad individuare le risorse finanziarie per aiutare le fasce più deboli e permettere una redistribuzione equa della ricchezza.

Questa redistribuzione avrebbe dei vantaggi non solo dal punto di vista della giustizia sociale, ma anche e soprattutto dal punto di vista economico. Infatti potrebbe, secondo molti, rimettere in moto un circolo economico sempre più in difficoltà.

Assodato che a causa della situazione attuale e dei vincoli europei, l’Italia, non può permettersi di ricorrere all’aumento del debito per trovare nuove risorse economiche. L’unica soluzione possibile sembra quindi quella di intervenire sul sistema tributario. Questo sistema è eccessivamente oneroso ed applica una tassazione fortemente inefficiente e iniqua.

Da qui la necessità di un sistema che permetta una reale redistribuzione della ricchezza. A tal proposito nel recente passato vi sono state teorie che proponevano addirittura di tassare solamente i milionari. È evidente, invece, che applicare un’aliquota unica per chi ha un reddito imponibile di 10 o di 1000, andrebbe totalmente in una direzione opposta a questa visione.

In particolare i fautori della Flat Tax sperano che essa aumenti il gettito e contrasti e abbassi l’evasione fiscale, soprattutto delle  piccole e medie imprese.

Uno degli obiettivi della riforma sulla Flat Tax nel nostro sistema tributario, è quello di incidere positivamente sull’economia familiare . Ciò attraverso dei consistenti risparmi sul reddito complessivo dei contribuenti. Si auspicano di conseguenza considerevoli miglioramenti sotto il profilo dell’equità e della propensione al consumo, in particolare riguardo ai consumi delle famiglie.

5. Meno tasse per le fasce di reddito più alte comporteranno una crescita maggiore per tutti i cittadini?

Per alcuni la riforma fiscale avrà effetti negativi sulla disuguaglianza e sul benessere del Paese. I risultati che il governo attuale auspica introducendo la Flat Tax sono ridurre la pressione fiscale, e di conseguenza incrementare consumi, investimenti, produttività, e in portare a tassi di crescita più elevati. Inoltre, secondo i maggiori esponenti di governo, riducendo la pressione tributaria esercitata dallo Stato, dovrebbe diminuire il sentimento di ingiustizia sociale molto diffuso, e comportare anche una diminuzione non solo di evasione ma anche di elusione, consentendo di far emergere gran parte dell’economia sommersa.

Per gli oppositori a questa riforma, però, l’eventuale redistribuzione riguarderebbe soltanto le classi agiate e non le famiglie e le piccole e medie imprese. Quindi per essi diminuire le imposte alle classi più agiate non competerebbe una crescita per tutti i contribuenti.

A tal proposito autorevoli economisti hanno evidenziato come chi negli ultimi anni ha beneficiato della ridistribuzione non lo ha fatto in relazione a una presunta maggiore produttività. Sono proprio aspetti come l’incremento dei comportamenti predatori dell’élite a dimostrare il perché sia aumentata la disuguaglianza nel corso degli ultimi decenni. Molte studi recenti hanno evidenziato come l’aumento della disuguaglianza abbia portato con sé una riduzione dei consumi, e non abbia nemmeno comportato un aumento degli investimenti.

Alla domanda che si è proposta precedentemente, c’è però anche un autorevole gruppo di economisti e politici che risponde in maniera affermativa. Anche negli Stati Uniti ed in Francia quindi questi risultati si vogliono raggiungere attraverso aumenti d’imposte per i meno abbienti e di tagli di spesa che dovrebbero colpire chi che beneficia dello Stato sociale. Questa possibile traslazione del carico fiscale dalle classi ricche ai meno abbienti, è giustificata dal fatto che i più abbienti possono sfuggire all’imposta più facilmente, trasferendosi altrove.

Quindi la riduzione delle imposte a carico di questi soggetti li spingerà a non evadere o emigrare all’estero ma a contribuire all’aumento delle entrate dello Stato italiano, che successivamente saranno utilizzate per aiutare anche i più poveri. Ci si trova di fronte al principio del trickle-down, secondo il quale la riduzione delle tasse per i più abbienti porterebbe benefici all’intera società sotto forma di crescita economica, innovazione tecnologica e creazione di nuova ricchezza.

Quale previsione sulla ridistribuzione della ricchezza, come conseguenza della Flat Tax, si rivelerà esatta ad oggi non è dato sapere. Ciò che è certo che una distribuzione equa della ricchezza sarebbe fondamentale sia dal punto di vista economico che dal punto di vista sociale.

6. la propensione al consumo

In Italia il consumo è un tema di grande attualità in quanto ad esso delle famiglie la Flat Tax affida il delicato compito di rilanciare la crescita italiana con l’aumento dei consumi interni. Una maggiore propensione al consumo è quindi uno degli obiettivi che caratterizza la riforma fiscale.
La propensione al consumo è la relazione economica tra la scelta di consumo e il reddito disponibile. In particolare essa si distingue in:

  •  propensione media data dal rapporto tra i consumi totali di una popolazione ed il reddito complessivamente disponibile.
  • propensione marginale  che misura le relazioni tra variazioni del consumo e variazioni del reddito ed è data dal rapporto tra aumento del consumo presente ed aumento del reddito.

A tal proposito nel “Contratto di Governo”, sul punto che riguarda l’introduzione della Flat Tax si legge: “Gli effetti che ne conseguono sono: maggiore risparmio di imposta, maggiore propensione al consumo e agli investimenti, maggiore base imponibile tassabile, grazie anche al recupero dell’elusione, dell’evasione del fenomeno del mancato pagamento delle imposte”.

La riforma fiscale ha quindi la volontà di la pressione fiscale per determinare aumento di produzione e lavoro. Questi concetti, che come abbiamo visto sono espressamente previsti nel testo del “Contratto di Governo”, si ispirano ad una versione di tipo keynesiano, banalmente riconducibile all’assunto: “le famiglie avranno più reddito, quindi consumeranno di più, quindi crescerà la produzione”.
Ma allora in molto si chiedono, se si sposa questo punto di vista, perché si vuole incrementare il reddito delle classi più alte e non quello delle classi di reddito più basse, che hanno la più elevata propensione al consumo? La risposta secondo alcuni è data dall’idea per la quale “se uno fattura di più, risparmia di più, reinveste di più, assume un operaio in più, acquista una macchina in più, e crea lavoro in più”.

Ad onore del vero molti economisti hanno fortemente dissentito. Questa spiegazione è infatti in contrasto con la propensione marginale al consumo, che misura l’incremento dei consumi per ogni euro di incremento del reddito. La propensione marginale al consumo è un indicatore economico molto utile nelle scelte di politica economica per uno Stato. Esso infatti rappresenta uno strumento molto utile per valutare le conseguenze delle scelte operate utilizzando la leva fiscale.

La propensione marginale al consumo è caratterizzata da un andamento decrescente rispetto al reddito. Infatti, a bassi livelli di reddito la propensione marginale al consumo è molto alta, poiché riguarda una fascia di persone che devono soddisfare i bisogni primari. Di conseguenza, quando il reddito cresce, la propensione marginale al consumo si riduce, perché gli individui consumano sempre una quantità inferiore rispetto all’incremento di reddito, essendo minore il bisogno di beni di prima necessità ed aumentando la propensione al risparmio.

7. Possibili svantaggi

Lungi da questo articolo il fine di dare considerazioni politiche o l’obiettivo di individuare uno schieramento vincitore nel dibattito che riguarda le scelte politiche ed economiche da adottare per uscire dall’attuale situazione di crisi.

Ciò che appare dovuto ed interessante ai fini di questo percorso di approfondimento è dunque analizzare quali possano essere i vantaggi e gli svantaggi derivanti da una possibile applicazione della Flat Tax.

Volendo partire dai possibili svantaggi, alcuni dati della Banca d’Italia[3], secondo i quali è nuovamente aumentato l’indice di Gini[4](33,5%). Tale indice, fotografa la situazione della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. Dall’indagine compiuta dalla Banca d’Italia si legge che suddetto indice “è tornato in prossimità dei livelli prevalenti alla fine degli anni novanta del secolo scorso”. Al contempo tali dati riportano anche che “la quota di individui a rischio di povertà, definiti come quelli che dispongono di un reddito equivalente inferiore al 60 per cento di quello mediano. L’incidenza di questa condizione, che interessa perlopiù le famiglie giovani, del Mezzogiorno o dei nati all’estero, è salita al 23 per cento”.

In un tale scenario economico e sociale, caratterizzato da iniquità e disuguaglianze, sembrerebbe deleterio introdurre un’imposta che alleggerisca il carico impositivo nei confronti delle classi più ricche, comportando altresì un minor gettito fiscale per le casse dello Stato.

Altro svantaggio collegato al precedente sarebbe creare una allocazione delle risorse iniqua, che non darebbe neppure la minima chance ai più deboli di tentare di riequilibrare la loro situazione economica nei confronti dei più ricchi.

Ma secondo alcuni l’introduzione della Flat Tax sarebbe un vero e proprio errore concettuale. Infatti come è noto le imposte che uno Stato può introdurre nel proprio apparato fiscale sono quelle di tipo regressivo, proporzionale, o progressivo. La scelta tra queste imposte dovrebbe dipendere in parte dalla distribuzione del reddito e dalla capacità contributiva dei cittadini.

Se la distribuzione del reddito è relativamente omogenea (ed il coefficiente di Gini risulta quindi basso) le imposte da introdurre possono essere proporzionali. La ragione è che la capacità contributiva è poco concentrata e quindi i cittadini possono contribuire al pagamento delle imposte in proporzione al loro reddito.

Se la distribuzione del reddito è relativamente disomogenea (ed il coefficiente di Gini risulta in questo caso alto), come accade attualmente in molti Paesi, compresa l’Italia, la capacità contributiva è molto più concentrata nelle fasce più ricche della popolazione. In questi casi dovrebbero essere introdotte imposte progressive.

In passato quando la spesa pubblica era bassa ed era principalmente diretta alla produzione di beni e servizi pubblici come sanità, difesa, giustizia, amministrazione, i principali esperti della “Scienza delle Finanze” in Italia avevano espresso una preferenza per un sistema impositivo generalmente proporzionale. Quindi in quella situazione si sarebbe preferito l’introduzione di un’imposta proporzionale come la Flat Tax a discapito di tasse a carattere progressivo.

8. Possibili vantaggi

Tra i vantaggi invece, troviamo la possibilità di avere maggiori risparmi di imposta, una più elevata propensione al consumo ed una crescita degli investimenti. Inoltre si prevede che vi sarà una maggiore base imponibile tassabile grazie anche alla riduzione dell’evasione fiscale e dell’elusione. Ciò perchè introdurre una Flat Tax sia per le famiglie che per le imprese, consentirebbe la diminuzione in modo considerevole della pressione fiscale. Essa infatti è tra le più alte in Europa. Questo sarebbe inoltre un fattore utile a ridurre il fenomeno dell’evasione fiscale.

I vantaggi della Flat Tax si rinvengono però, anche direttamente dalle parole di quello che è l’ideatore della tassazione ad aliquota fissa, Alvin Alvin Rabushka[5]. Egli ha dichiarato: “l’Italia è il secondo Paese al mondo per sommerso dopo la Grecia. Con l’aliquota al 13%, come in Russia, non vale la pena imbrogliare, quando sale al 50% purtroppo conviene”.
Secondo l’ideatore della Flat Tax l’Italia potrebbe trarre soltanto vantaggi dalla sua applicazione, ed in particolare:

  1. diminuirebbe fortemente il numero dell’evasione, che attualmente è pari a 110 miliardi di euro all’anno;
  2. si verrebbe a creare una situazione per cui pagare le tasse si presenterebbe come un vantaggio maggiore rispetto a non pagarle;
  3. si semplificherebbe di gran lunga il sistema di imposizione fiscale dei redditi.

Tra i vantaggi Rabushka ribadisce inoltre che con la Flat Tax diminuirebbe notevolmente la pressione fiscale. Ciò comporterebbe per le famiglie un maggiore potere d’acquisto e per le imprese una possibilità di utilizzare i propri guadagni per maggiori investimenti. Per l’Italia invece ci sarebbe la chance di tornare ad essere un paese competitivo sui mercati globali.

La convinzione di lavora alla riforma tributaria è che essa potrà essere a vantaggio di tutti i contribuenti. Non solo. Il sistema ad aliquota fissa premierebbe i redditi da lavoro rispetto alle rendite. Per far ripartire l’economia di un paese, infatti, vi è bisogno del circolo dei capitali e non della loro immobilizzazione.

9.Conclusioni

Al di là delle riflessioni fatte sulla Flat Tax, ciò che appare ormai evidente la necessità di una riforma del sistema tributario italiano. In particolare vi è bisogno di introdurre una nuova imposta sul reddito.

Tale esigenza viene auspicata ormai da molteplici soggetti politici, economici ed istituzionali, sia italiani che internazionali. Basti pensare che finanche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in una sua dichiarazione alla stampa ha ribadito l’importanza di una riforma fiscale. Egli ha dichiarato “per rendere il nostro sistema più semplice ed efficiente”. La necessità di nuove scelte di politica economica da parte dell’Italia, viene anche dall’estero. Su tale vicenda ad esempio si è espresso infatti il Fondo Monetario Internazionale.

Il sistema fiscale attuale rappresenta ormai un freno non più sostenibile per la crescita dell’economia italiana. Ciò è dovuto alla sua incredibile complessità, alla sua struttura eccessivamente pesante ed inefficiente, ed alla sua ormai inesistente portata redistributiva.

Che piaccia o no il dibattito economico italiano degli ultimi anni, ha prodotto il convincimento tra i cittadini e le forze politiche di maggioranza, che il tanto atteso rinnovamento del nostro sistema fiscale debba avvenire attraverso l’introduzione della Flat Tax.

Non vi è la facoltà di prevedere il futuro e quindi conoscere anticipatamente quali saranno i risultati di questa riforma e di questa Flat Tax. Solo con delle misure economiche  efficienti si può provare ad uscire da una fase di stallo che attanaglia il nostro paese da anni. Vi è bisogno di una speranza che accompagni tanti giovani che crescono con la convinzione che un miglioramento economico non sia possibile.
Quindi l’auspicio  è che vi sia un futuro prospero per l’Italia, per la sua economia, e soprattutto per la vita dei suoi cittadini.

 

[1] 1.Costituzione. Sezione I. Diritti e doveri dei cittadini, Titolo IV. Rapporti politici, articolo 53:“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”

[2] Lituania, Lettonia, Estonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Russia.

[3] più precisamente ci si riferisce all’”Indagine sui bilanci delle famiglie italiane – anno 2016, pubblicato il 12 marzo 2018.

[4] sul coefficiente di Gini e la disuguaglianza si consiglia Disuguaglianza: Disuguaglianza: coefficiente di Gini e curva di Lorenz.

[5] Egli è stato già consigliere economico dell’ex presidente americano Ronald Reagan e professore dell’università di Stanford.

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Francesco Lombardo

Francesco Lombardo ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli con tesi in Storia del Pensiero Economico dal titolo: “I diritti Speciali di Prelievo: il contributo di Rinaldo Ossola”. Attualmente collabora con le cattedre di Economia Politica e di Storia del Pensiero Economico presso il Dipartimento di Giurisprudenza della Federico II. Dopo aver ultimato la pratica forense, ha conseguito un Master di II livello come “Esperto in relazioni industriali e di lavoro”, in virtù di una borsa di studio assegnatagli dall’Università Roma Tre, con tesi dal titolo "Mobilità endoaziendale e formazione del lavoratore ex art. 2103 c.c.” È autore di articoli per riviste scientifiche e divulgative. Da novembre 2019 è ammesso al programma “Fabbrica dei Talenti” promosso dalla fondazione ADAPT. Crede molto nell’importanza per un giurista di approfondire anche lo studio di temi economici e finanziari.

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