giovedì, Aprile 25, 2024
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Free Software: i differenti business models

Nota di redazione: l’articolo è parte di una serie che tratta le licenze Open Source e i software Open Source. Per un’introduzione al tema si consiglia di leggere Open Source Software e licenze Open Source: un’introduzione.

Parlando di open source o free software, non si deve pensare che i termini “open” o “free” implichino che non ci sia un mercato o che non sia possibile trarre profitto dal fenomeno Open Source, e che quindi, in altre parole, si tratti di “prodotti” gratis [1]. Infatti, nonostante sia capitato a chiunque di scaricare un software aperto, come ad esempio Mozilla Firefox, gratuitamente sul proprio computer, questo non significa che tutte le aziende che operano nel settore open source non abbiano fonti di guadagno.

Difatti, aziende come Red Hat, Inc.[2] hanno creato business di successo tanto da essere approvate dai mercati finanziari e mantenere ampie porzioni di mercato, pur non sviluppando il software su cui si basa il proprio business, né assumendo gli sviluppatori che l’hanno creato e gestito, né controllandone il futuro  sviluppo[3].

Il mercato del software Open Source, infatti, coinvolge differenti attori, tra cui i principali sono:

1. Il distributore è l’entità che fornisce l’accesso al codice sorgente e al software[4]. I ricavi dei distributori provengono da diverse attività. Innanzitutto la fornitura del prodotto, ovvero il software, che può avvenire tramite CD piuttosto che tramite download online, e può essere a pagamento o meno, a seconda del distributore.

La seconda attività è, poi, la fornitura di servizi di supporto alle aziende clienti. Le aziende, infatti, sono solitamente disposte a pagare per i servizi di supporto di alta qualità come l’installazione del software, supporto con i problemi tecnici e la formazione dei dipendenti circa l’utilizzo del prodotto.

La terza attività è il servizio di aggiornamento. Frequentemente, la vendita di un software è integrata da accordi a lungo termine con i distributori per garantire che al cliente venga sempre fornito l’aggiornamento più recente del software.

2. Per quanto riguarda il produttore/sviluppatore del software, è necessaria una premessa. Come accennato nell’articolo introduttivo sulle licenze Open Software (Open Source Software e licenze Open Source: un’introduzione), nell’ambito delle diverse licenze ve ne sono alcune più restrittive in termini di distribuzione di opere derivate, tra questela GNU GPL è la più rigida in quanto obbliga a redistribuire ogni opera derivata con la medesima licenza. Data l’importanza che la clausola relativa alle opere derivate riveste, essa influenza il modello di business utilizzato, creando una differenziazione tra il modello di business basato su una licenza GPL e non GPL[5].

I primi due attori del mercato Open Source, distributori e sviluppatori, hanno utilizzato, e sempre più utilizzano, l’open source come strategia aziendale di riduzione dei costi e aumento dei ricavi.

Dal lato della riduzione dei costi, le aziende di sviluppo possono incorporare il codice sorgente di un altro software open source esistente, riducendo dunque i costi di sviluppo[6]. Per fare ciò, molte aziende hanno creato alleanze strategiche con comunità di sviluppatori open source.

Dal lato dei ricavi, invece, grazie alla grande espansione dell’utilizzo di prodotti open source, i distributori hanno la possibilità di prendere l’intero prodotto open source e unirlo a prodotti diversi (effettuando il cosiddetto product bundling). Infatti, è sorta una nuova forte domanda di servizi di supporto che comprendono installazione, formazione, certificazione e assistenza tecnica continua. Questi prodotti sono diventati un’importante fonte di guadagno per aziende come Red Hat, menzionata sopra.

Con specifico riferimento ai software developers, poi, è interessante volgere lo sguardo a quelle società che sviluppano software chiusi, ma che al contempo finanziano software open source. Infatti, società proprietarie come IBM, HP e Intel investono milioni di dollari nello sviluppo di Linux, il più conosciuto sistema operativo open source. Ad una prima analisi, può sembrare un comportamento totalmente irrazionale e sono state fatte ipotesi per spiegare il fenomeno[7]. La spiegazione più logica è legata al cosiddetto approccio alla value chain: per le società menzionate investire in Linux è un comportamento razionale non perché genera direttamente ricavi, ma perché sviluppando Linux come un sistema operativo di alta qualità consente a tali aziende di sviluppare beni e servizi complementari. Questo è può notarsi nel modello di business IBM: anche se IBM non trae profitto dalle vendite del sistema operativo Linux e del server web Apache, guadagna dalla value chain legata ad essi: IBM, dopo aver fallito nel tentativo di sviluppare il suo proprio web server, si è arresa ad Apache sviluppando il programma WebSphere, progettato specificamente per essere eseguito su computer che utilizzano Apache. In questo modo, IBM ha acquisito una parte di mercato abbinando i prodotti open source con i propri programmi proprietari[8].

3. Il terzo attore è il fornitore di servizi che, indipendentemente dal tipo di licenza utilizzata dal produttore, fornisce alle aziende un tipo di assistenza diversa da quella fornita dalla stessa comunità open source, trattandosi di un’assistenza di alta qualità in loco e a pagamento.

Dunque, trattando di free software (o open source) non si parla esclusivamente di un insieme di licenze con elementi comuni, bensì di un vero e proprio ecosistema in cui sono generati redditi, anche ingenti.

 

[1]Il movimento Open Software stesso afferma infatti che, nel termine “free software”, “free” è da intendersi nel senso di “free speech” (senza restrizioni) e non nel senso di “free beer” (gratis).

[2]Red Hat, Inc. è una società che fornisce soluzioni software open source per sviluppare e offrire tecnologie per sistemi operativi, virtualizzazione, gestione, middleware, cloud, mobile e storage a varie aziende in tutto il mondo. È stata fondata nel 1993, conta 11870 dipendenti e ha un fatturato annuo di 2,41 miliardi di dollari. Dati da Forbes, https://www.forbes.com/companies/red-hat/ e Bloomberg, https://www.bloomberg.com/research/stocks/private/snapshot.asp?privcapId=33679.

[3]McGowan, Legal Implications of Open source Software, disponibile qui https://ssrn.com/abstract=243237.

[4]Nel caso di Linux, i principali distributori sono Red Hat, SUSE and Debian.

[5]Krishnamurthy, An Analysis of Open Source Business Models, Making sense of the bazaar: perspectives on open source and free software, Joseph Feller, Brian Fitzgerald, Scott Hissam and Karim Lakhani, eds., MIT Press, disponibile qui https://ssrn.com/abstract=650001. Considerando i modelli non GPL, lo sviluppatore non è obbligato a divulgare il codice sorgente del proprio software derivato da un altro software open source. Qualora scelga non divulgarlo, mantenendo il proprio software chiuso, avrà utenti che semplicemente usano il software in modo passivo. In modo differente, invece, nel modello GPL lo sviluppatore è tenuto a divulgare il codice sorgente consentendo un’innovazione più rapida e un maggiore coinvolgimento degli utenti, creando una sorta di conversazione bidirezionale con quegli utenti che sono in grado di modificare il codice sorgente.

[6]Un esempio è Microsoft che, pur essendo il più grande produttore di software al mondo, ha utilizzato il codice sorgente da un sistema operativo open source leader, Berkeley System Distribution, nella creazione di prodotti Windows 2000 e XP, KRISHNAMURTHY, supra n. 5.

[7]Una delle spiegazioni è l’approccio “Kill Microsoft”, cioè l’idea che il modello non sia redditizio, ma sia una strategia per diminuire il potere monopolistico di Microsoft. Per ulteriori dettagli Mann, Commercializing Open Source Software: Do Property Rights Still Matter, Harvard Journal Law & Technology, vol. 20, num. 1, 2006, disponibile su Heinonline.org.

[8]Un altro esempio di approccio alla catena del valore è l’implementazione Apple di Mac OS X. Apple ha utilizzato la base del software tratto da UNIX, aggiungendo l’aspetto caratteristico di Apple e l’interfaccia utente grafica, concentrando i suoi sforzi proprietari sulle sue proprie competenze chiave. Per ulteriori dettagli, consultare Mann, n. 7.

Lucrezia Berto

Classe 1992, piemontese di nascita ma milanese d’adozione, si laurea nel 2016 in giurisprudenza alla School of Law dell’Università Bocconi. Dopo l'inizio della carriera professionale negli Stati Uniti e la pratica forense presso uno dei principali studi legali milanesi, decide di seguire le sue passioni iscrivendosi all’LL.M in Law of Internet Technology dell’Università Bocconi. Attualmente vive in Spagna, a Barcellona, dove si occupa di consulenza in materia IP, IT e Data Protection a startup ad alto livello tecnologico. Appassionata di nuove tecnologie, proprietà intellettuale e big data, è un’amante dei viaggi e dello sport. Contatto: lucrezia.berto@iusinitinere.it

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