venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

Frode nel processo penale e depistaggio: l’art. 375

Il reato di depistaggio ed inquinamento processuale è stato introdotto nel 2016 a norma dell’art. 375 c.p.. La collocazione da parte del legislatore nel libro II, titolo III “Dei delitti contro l’amministrazione della giustizia” non è casuale: egli è stato mosso dall’intento di arricchire il novero delle norme concernenti reati commessi da chi ha come obiettivo quello di ostacolare in corretto funzionamento della giustizia. I reati annoverati nel Titolo III, possono essere distinti in due branche: quelli in senso oggettivo e quelli in senso soggettivo; i primi tendono a garantire il corretto svolgimento della funzione giudiziaria e i secondi invece che riguardano i soggetti investiti della funzione giudiziaria come ad esempio gli ufficiali incaricati al pubblico servizio. Dalla lettura sistematica del codice, si evince una suddivisione in III Capi, a cui sono riconducibili rispettivamente: al Capo I “I delitti contro l’attività giudiziaria” volto a tutelare il corretto funzionamento della giustizia (omessa denuncia di reato, omissione di referto, simulazione di reato, calunnia, falso giuramento della parte, frode processuale, ritrattazione, frode in processo penale e depistaggio …); al Capo II “Dei delitti contro l’Autorità delle decisioni giudiziarie” che è volto a ricomprendere norme che garantiscono l’efficacia e l’esecuzione dei provvedimenti giudiziari (evasione, colpa del custode, mancata esecuzione dolosa di un provvedimento dal giudice, procurata inosservanza di pena..); ed infine il Capo III “Della tutela arbitraria delle private ragioni” che è esplicazione palese del potere esclusivo dell’autorità giudiziaria di risolvere i conflitti nascenti da interessi in conflitto (esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose/persone).

Quello che preme analizzare in concreto è l’art. 375 c.p., il quale prima della l. 133/2016 era rubricata più semplicemente “circostanze aggravanti”; il legislatore si è invece preoccupato di riformulare la norma in oggetto prevedendo “la reclusione fino a quattro anni per chiunque compia una delle seguenti azioni, finalizzata a impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale”:

• mutare artificiosamente il corpo del reato, lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone connessi al reato;
• distruggere, sopprimere, occultare o rendere inservibili, anche in parte, elementi di prova o elementi comunque utili alla scoperta di un reato o al suo accertamento;
• formare o alterare artificiosamente, anche in parte, elementi di prova o elementi comunque utili alla scoperta di un reato o al suo accertamento.

La norma prevede altresì alcune aggravanti, qualora questo reato sia stato commesso:

• nell’esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio si prevede un aumento della pena da un terzo alla metà;
• in relazione a procedimenti per un catalogo di delitti di particolare allarme sociale, tra cui associazione mafiosa, terrorismo, strage, traffico di armi o di materiale nucleare chimico o biologico la reclusione passa da 6 a 12 anni.

Come si evince dal primo periodo dell’art. 375 c.p., questa pena ha carattere sussidiario, essendo quindi applicabile solo quando il fatto non presenti gli estremi di un più grave reato. Si tratta inoltre di un reato proprio in quanto soggetto attivo, può essere solo un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio; nel progetto iniziale approvato dalla Camera il reato era configurato come comune, mentre qualora ci fosse stata la commissione da parte del pubblico ufficiale si sarebbe applicata al più un’aggravante.
Oggi affinché possa configurarsi il reato, in capo al pubblico ufficiale o all’incaricato al pubblico servizio, la qualifica deve risultare preesistente alle indagini e l’attività da questi svolta deve essere in rapporto di connessione funzionale (“Connesso”, infatti, nel complessivo contesto del riformato articolo 375 c.p., vale “utile alla scoperta del reato o al suo accertamento”, utile alla “ricostruzione del fatto oggetto di inquinamento processuale e depistaggio”) con l’accertamento che si assume inquinato, dovendo essere la condotta finalizzata all’alterazione dei dati, oggetto dell’indagine o del processo penale, da acquisire o dei quali il pubblico ufficiale sia venuto a conoscenza nell’esercizio della sua funzione . La Corte ha escluso, in un caso di giurisprudenza, la ravvisabilità del reato de quo in un caso in cui le dichiarazioni della cui falsità si faceva carico agli imputati, investiti della qualità di vigili urbani, si riferivano a fatti che nulla avevano a che fare con l’effettivo esercizio delle loro funzioni.

L’elemento soggettivo caratterizzante tale condotta è quello del dolo specifico, perché oltre alla coscienza e volontà della condotta, occorre il fine di “impedire, ostacolare o sviare un’indagine” non essendo quindi applicabile l’ipotesi del mero tentativo ex art. 56 c.p. Secondo la Corte, il dolo specifico previsto nell’art. 375 c.p. contraddistingue detta disposizione legislativa rispetto ai delitti di frode processuale, false informazioni al P.m. e falsa testimonianza ove la finalità menzionata nell’art. 375, co. I, c.p. non sussiste. In effetti sostenere al contrario il dolo generico farebbe venir meno uno degli elementi specializzanti di questa fattispecie criminosa rispetto a quelle prevedute dagli artt. 374, 371 bis e 372 c.p .

La nuova fattispecie di depistaggio, intesa come sviamento delle indagini o manipolazione dei sospetti, palesatasi come un reato proprio, si declina in due differenti ipotesi: depistaggio materiale esplicitatosi in mutazione di luoghi, cose o persone connessi al reato e depistaggio formale consistente in una falsa dichiarazione all’Autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria.

Il primo caso dopo l’introduzione del novellato art. 375 c.p. è quello che ha come protagonista l’inchiesta Consip che ha portato il Maggiore Gianpaolo Scafarto e il colonnello dei carabinieri Alessandro Sessa ad essere indagati per depistaggio con l’accusa che “al fine di sviare l’indagine relativa all’accertamento degli autori mediati e immediati della violazione del segreto a favore dei vertici della società pubblica immutavano artificiosamente lo stato delle cose connesse al reato”, infatti questi continua l‘accusa “al fine di accertare la natura del contenuto delle comunicazioni sia con gli altri militari impegnati nelle suddette indagini sia con estranei alle stesse, su richiesta e istigazione di Sessa e al fine di non rendere possibile ricostruire compiutamente le conversazioni intervenute con l’applicativo Whatsapp, provvedevano a disinstallare dallo smartphone in uso a Sessa il suddetto applicativo; con l’aggravante di aver commesso il fatto mediante distruzione o alterazione di un oggetto da impiegare come oggetto di prova o comunque utile alla scoperta del reato o al suo accertamento”.

In conclusione si può asserire che la ratio legis della norma ex art. 375 c.p. risiede nella ricerca della verità giudiziaria, non tanto in quella che è la tutela delle indagini processuali, ma purtroppo essendo la norma caratterizzata da forte indeterminatezza sarà sempre oggetto di interpretazione e quindi discrezionalità da parte dell’autorità giudiziaria.

Valeria D'Alessio

Valeria D'Alessio è nata a Sorrento nel 1993. Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt'oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento. Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un'agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta. È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell'arte. Con il tempo ha imparato discretamente l'inglese e si dedica tutt'oggi allo studio del francese e dello spagnolo. Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l'interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell'anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell'escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell'ergastolo ostativo. Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense - come praticante avvocato abilitato - presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all'esercizio della professione Forense nell'Ottobre del 2020. Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell'evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.

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