giovedì, Marzo 28, 2024
Criminal & Compliance

Furto al supermercato: alcuni orientamenti della Cassazione

Il reato di furto, previsto dall’art. 624 c.p., si configura qualora chiunque s’impossessi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri  ed è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa da 154 a 516 euro. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61, n. 7 e 625

Una particolare ipotesi di furto, notoriamente interessante e rilevante per la giurisprudenza in ordine all’individuazione del momento consumativo, si verifica nel caso in cui un soggetto sottragga della merce dagli scaffali di un supermercato, occultandola su di sè, superi la barriera delle casse, senza pagarne il prezzo, per poi essere fermato dagli addetti alla sorveglianza [1].

In questo caso, si è in presenza di un furto consumato o solo tentato? Il problema è l’individuazione del momento in cui il reato può dirsi consumato e non già meramente tentato. È consumato nel momento in cui l’agente occulta la merce sulla propria persona? Quando supera la barriera delle casse? O quando supera gli apparati di controllo predisposti dalla gestione del supermercato? Diversi orientamenti si sono affermati sul punto. Secondo alcune pronunce [2], la Corte di Cassazione ha considerato consumato il reato  nell’istante in cui il soggetto occulti o nasconda la merce, essendo il momento della sottrazione sovrapponibile a quello dell’impossessamento. Rileva la sola disponibilità materiale del bene da parte del reo, a prescindere dal fatto che il bene stesso, esca dalla sfera di dominio e vigilanza del soggetto passivo. Un’altra tesi, attribuisce fondamentale rilievo alla presenza di un soggetto incaricato alla sorveglianza o di apparati di controllo antiriciclaggio. Qualora, dunque, un addetto sorvegli le fasi dell’azione furtiva potendo intervenire in ogni momento per evitare la consumazione del reato, in tal caso, il furto è solo tentato poiché il bene sottratto non è uscito dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto dell’offeso, che pertanto è in grado di esercitare su di esso la propria signoria [3]. Nell’ambito del secondo orientamento la Cassazione [4] ha stabilito che, qualora si tratta di beni esposti per la vendita in un esercizio commerciale, ai quali è stata applicata la placca antitaccheggio, l’integrazione del furto consumato avviene non al superamento delle casse ma nel caso di elusione dell’apparato antitaccheggio.

Per dirimere il contrasto interpretativo sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione[5] e hanno statuito che: “in caso di furto al supermercato il monitoraggio dell’azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sera di vigilanza e di controllo de soggetto passivo”.  Alla luce di tale decisione rileva che, sottrarre merce dagli scaffali del supermercato configura il furto tentato, se in presenza di apparati di vigilanza, il soggetto viene fermato prima che i prodotti fuoriescano dalla sfera di controllo.

Un’ulteriore questione su cui la Corte di Cassazione ha cercato nel corso degli anni di trovare una precisa soluzione, nell’ambito dei furti al supermercato, riguarda i seguenti quesiti: rubare per fame in un supermercato è reato? La povertà può essere una giustificazione dinanzi al furto? La risposta è no: rubare è sempre un furto, al di là della propria situazione di povertà [6].

Il furto per fame in un supermercato alla luce di quanto statuito in una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione è stato qualificato come reato [7]. Nella citata sentenza la Corte ha considerato non applicabile alla fattispecie in esame, la scriminante dello stato di necessità per il furto commesso da un senzatetto, ritenendo che l’esistenza di istituti di assistenza per i poveri, incidendo sullo stato di necessità, eliminano di fatto il bisogno di rubare per mangiare.

Nel caso di specie un senzatetto rubava in un supermercato alcune forme di formaggio riposte sugli scaffali, con l’aggravante di aver commesso il fatto su cose esposte alla pubblica fede. La Corte d’Appello di Catanzaro riformava in parte la sentenza di primo grado, ritenendo non sussistente il fatto attribuito all’imputato ai sensi dell’art. 624 e 625 c.p. comma 1 n. 7. La pena veniva rideterminata ad un anno di reclusione e 300 euro di multa. Contro tale decisione è stato poi proposto ricorso in Cassazione e tra i motivi dell’impugnazione veniva contestata la mancata operatività della scriminante dello stato di necessità di cui all’art. 54 cp. La cassazione rigettava il ricorso ritenendo infondati i motivi. In particolare precisava:  “la situazione di indigenza non è di per se idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell’attualità e inevitabilità del pericolo atteso che ,alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale”. [8]

Nel caso esaminato, veniva invocata la mancata operatività dello stato di necessità che rientra tra le scriminanti o più comunemente chiamate cause di giustificazione. Esse sono circostanze, il cui verificarsi rende non punibile il fatto, pur in presenza di una condotta tipica astrattamente prevista dalla norma come reato e, per tanto di per sè punibile. Le cause di giustificazione in senso stretto non si limitano ad escludere la pena, ma eliminano il reato, poiché sono situazioni che incidono sul contrasto tra il fatto e l’ordinamento giuridico. In particolare, lo stato di necessità è disciplinato dall’art. 54 c.p., ed esso opera ogniqualvolta un soggetto si trovi “costretto” ad una determinata azione per la necessità di salvare se stesso o altri dal pericolo attuale di un grave danno alla persona. Deve trattarsi di un pericolo non volontariamente causato dal soggetto agente, né altrimenti evitabile, e il fatto deve essere proporzionato al pericolo [9].

Alla luce della recente pronuncia, per la giurisprudenza di legittimità non si applica lo stato di necessità per chi per esigenza di alimentarsi, senza fissa dimora e occupazione, ruba generi alimentari in un supermercato. La ratio della decisione è da individuarsi nel fatto che i senzatetto hanno la possibilità di ricorrere all’assistenza degli enti che, la moderna organizzazione sociale predispone per l’aiutarli. Ciò, dunque, esclude la sussistenza della scriminante, in quanto fa venir meno gli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo grave alla persona. 

 

[1] Garofoli R., Compendio di diritto penale – parte generale, 2018-2019

[2] Cass. Penale, sez. V, 14 maggio 2013, n. 20828/ Cass. Penale, sez. V, 19 gennaio 2011, n. 7086

[3] Cass. Penale sez. V 28 gennaio 2010, n. 1152/ Cass. Penale, sez, V

[4] Cass. Penale, sez. II, 5 febbraio 2013, n. 8445

[5] Cass. Sez. Unite, sentenza del 16 dicembre 2014, n. 52117

[6]Cassazione Penale sentenza n. 6635/17

[7] Cass. Penale sentenza del 25.03.13 n. 12860

[8] Villafrate A., Cassazione: il furto per fame resta reato, in www.studiocataldi.it

[9]  www.altalex.com

 

 

Mariaelena D'Esposito

Mariaelena D'Esposito è nata a Vico Equense nel 1993 e vive in penisola sorrentina. Laureata in giurisprudenza alla Federico II di  Napoli, in penale dell’economia: “bancarotta semplice societaria.” Ha iniziato il tirocinio forense presso uno studio legale di Sorrento e spera di continuare in modo brillante la sua formazione. Collabora con ius in itinere, in particolare per l’area penalistica.

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