venerdì, Novembre 8, 2024
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Fusione dei comuni: che valenza ha l’ascolto delle popolazioni interessate?

L’articolo 113 comma 2 Cost. prevede che la Regione, sentite le popolazioni interessate, possa con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni. L’ascolto dei cittadini coinvolti nel procedimento di fusione si manifesta dunque come necessario, ma con quale strumento esso si attua? E che valenza hanno gli esiti delle consultazioni?

Simili problematiche sono emerse per la prima volta in Assemblea Costituente. In quella sede, lo scetticismo di chi era contrario all’essere la volontà delle popolazioni interessate determinante ai fini della ridefinizione dei confini amministrativi si fondava perlopiù sulla seguente constatazione: i motivi sentimentali ed i contrasti tra comuni non rispondevano, infatti, ad effettive necessità locali. Sulla scorta di tali motivazioni, parte dell’Assemblea propose addirittura che fosse lo Stato ad avere l’ultima parola sui processi di fusione. Per tali ragioni, prima che il testo definitivo dell’articolo 133 prendesse vita, si scelse di concordare sul fatto che la volontà delle popolazioni interessate sarebbe stata condizione sì necessaria, ma non esclusiva o vincolante. Ad oggi, perciò, sarebbe pensabile in astratto anche la costituzione di un Comune Unico non voluto dai cittadini, purché legittimato da una legge regionale.

Per quanto riguarda invece lo strumento atto a rendere possibile l’ascolto delle popolazioni interessate, questo è rappresentato dai referendum consultivi così come disciplinato dalle singole Regioni. Tuttavia, dal momento che ogni circoscrizione regionale possiede una propria legge di riferimento a riguardo (in Campania la l.r. 30 aprile 1975 n. 25), le difformità appaiono inevitabili. Ad esempio, pur avendo tale referendum natura consultiva, alcune Regioni hanno deciso di “auto vincolarsi”, prevedendo quorum ed effetti vincolanti degli esiti referendari. La Campania non è stata da meno: soltanto nel 2012 è stato soppresso, infatti, il raggiungimento della soglia della maggioranza degli aventi diritto ai fini del corretto espletamento del referendum (cosa che, peraltro, nel 2011 aveva comportato il fallimento della consultazione relativa al Comune Unico dell’isola d’Ischia). Sulla scorta della nostra Regione, anche Lazio, Abruzzo e Veneto hanno eliminato il quorum (sia pur solo quello partecipativo, mantenendo invece quello deliberativo).

Alla luce delle considerazioni sopra espresse, l’approdo ad un Comune Unico sembra oggi potersi perfezionare anche in assenza di una volontà chiaramente riconducibile ai cittadini. Il referendum, fase centrale del procedimento di fusione, riveste così più la forma di un passaggio formale che di un momento pienamente legittimante. È così che è sorto il Comune di Gravedona ed Unti, nato dalla fusione di Germasino, Consiglio di Rumo e Gravedona: l’esito negativo del referendum in questi ultimi due comuni infatti non ha impedito il processo di fusione. Per impedire simili paradossi, la legge campana sui referendum precisa che questi sono valutati, oltre che complessivamente, anche per territorio (ovvero per singolo comune o per frazione del comune) e la votazione si intende favorevole unicamente in caso di conseguimento, in ogni comune interessato, della maggioranza dei voti validi. Spetterà poi alla Regione dar seguito all’emanazione della legge istitutiva del neonato comune.

Per saperne di più sulle fusioni dei comuni leggi il primo articolo “Il riordino degli enti locali attraverso le fusioni dei comuni

Andrea Amiranda

Andrea Amiranda è un Avvocato d'impresa specializzato in Risk & Compliance, con esperienza maturata in società strategiche ai sensi della normativa Golden Power. Dal 2020 è Responsabile dell'area Compliance di Ius in itinere. Contatti: andrea.amiranda@iusinitinere.it

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