martedì, Dicembre 3, 2024
Di Robusta Costituzione

Garantire i diritti nella pandemia tramite i dati: considerazioni costituzionali

L’eccezionale limitazione di numerosi diritti fondamentali che si è registrata nel corso della pandemia da Covid-19, dai primi mesi del 2020 ai giorni odierni, non ha probabilmente precedenti nella storia Repubblicana.

Le nuove tecnologie offrono molte opportunità, sul piano tecnico, sicuramente efficaci per il monitoraggio dei contagi e la regolamentazione dell’afflusso di utenti ai servizi pubblici e privati: esse vanno dunque colte, anche in vista di una gestione più differenziata sul piano locale, senza oltretutto che a tal fine sia inevitabile compromettere il diritto alla privacy.

Il breve contributo che segue intende offrire alcuni spunti sulle concrete possibilità di sfruttamento dei dati urbani per finalità di interesse pubblico, con particolare riferimento all’emergenza in corso, in considerazione dei principi in tema bilanciamento e giudizio di proporzionalità.

 

  1. Bilanciamento e compressione dei diritti in situazioni eccezionali.

 

I diritti di rango costituzionale gravemente sacrificati durante la pandemia, come ormai noto, sono molteplici. Al riguardo, nel corso degli ultimi mesi si sono susseguiti numerosi studi[1]; è indubbio, d’altra parte, che le misure restrittive – culminate nella chiusura di tutte le attività giudicate non essenziali in considerazione del momento storico eccezionale, il c.d. lockdown – impattino seriamente sulle libertà e sui diritti fondamentali[2].

Peraltro, anche nella progressiva fase di riapertura e nel tentativo di mantenere la ritrovata quasi-pienezza dei diritti nel contesto di una pandemia che pare andare verso l’esaurimento, ma tuttora incombe, il tema del bilanciamento e delle misure di contrasto al contagio continua a porsi.

Per riprendere una brevissima, quanto sommaria, ricognizione, rimandando per quant’altro agli studi citati, tra gli aspetti più colpiti dalla normativa emergenziale vi sono senz’altro la libertà di circolazione – la cui limitazione, d’altra parte, trova fondamento espresso nei “motivi di sanità o di sicurezza”[3] -, il diritto di riunione – che, specularmente, può essere compresso per “comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica[4] -, nonché, di conseguenza, tutte le forme di manifestazione del pensiero[5] ed espressioni della libertà di religione[6] che li presuppongono.

In parte direttamente e in parte di riflesso, delle misure restrittive hanno risentito inoltre il diritto-dovere al lavoro[7], con le inevitabili conseguenze in termini di disponibilità e adeguatezza della retribuzione, richieste dall’art. 36 della Costituzione, condizioni di svolgimento della prestazione lavorativa e dignità umana, l’iniziativa economica privata – sulla base del fatto che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana[8] – e il diritto all’istruzione[9].

Persino il diritto di difesa, ai sensi dell’art. 24, e la funzione rieducativa della pena, principio di civiltà previsto dall’art. 27 co. 3 della Costituzione, hanno conosciuto delle modificazioni procedurali e delle limitazioni strutturali tali da aver messo talvolta a repentaglio la loro stessa effettività[10].

Il bilanciamento – è stato al di là di ogni evidenza argomentato – è in senso lato, con il diritto – fondamentale (l’unico ad esser qualificato tale dalla Costituzione) – alla salute[11].

La condizione sanitaria emergenziale, dunque, ha comportato un’inedita situazione di sacrificio improvviso e perdurante di una pluralità di diritti costituzionali: i diritti sacrificati per salvaguardare la salute – dei singoli e della collettività – e la vita dei cittadini, come emerge da qualsiasi ricognizione come quella sopra riportata, sono infatti trasversali alle tradizionali categorie: diritti positivi e mere libertà, diritti civili e sociali[12].

Non solo, però, essi hanno conosciuto una compressione a favore del tentativo di salvaguardare la salute e l’incolumità di molti, ma i diritti compromessi hanno dovuto trovare nuovi assetti anche tra di essi, nelle rispettive limitate possibilità di esercizio, reggendo su un complesso bilanciamento reciproco la loro possibilità di graduale riespansione, in funzione anche del miglioramento della situazione sanitaria.

La Corte costituzionale, che si è occupata di bilanciamento proprio con riferimento ad uno dei più noti casi di conflitto tra il  diritto alla salute e quello al lavoro – il caso Ilva[13] – non più di un decennio fa, ha espresso con chiarezza i criteri da tenere in considerazione: “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione – si legge in sentenza – si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre ‘sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro’ […]. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe ‘tiranno’ nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona”[14].

All’interno di un problema di bilanciamento delineato in questi termini, di fronte alla pandemia, è particolarmente coinvolto il diritto alla c.d. privacy[15], in virtù dei molteplici tentativi di ridurre i contagi mediante strategie di tracciamento del virus e dei possibili contatti del soggetto contagiato.

“Il bilanciamento – si è detto – si pone quindi inevitabilmente allorquando si ragiona di tracciamento dei dati personali, che sia a fini di prevenzione, per mappare i contatti di un eventuale ‘positivo’ al virus[16], o che sia a fini di controllo del rispetto delle misure adottate. È una questione di confini, di evitare lo scivolamento verso l’autocrazia digitale o il capitalismo della sorveglianza; restando peraltro tutt’altro che indifferente che gli strumenti utilizzati e i soggetti coinvolti, siano i colossi del web o, comunque, imprese private, piuttosto che istituzioni e infrastrutture pubbliche”[17].

 

  1. La protezione dei dati personali, tra approccio contestuale e bilanciamento.

 

La privacy è ormai da tempo un diritto dotato di propria autonomia e confini definiti sia – soprattutto – nell’ordinamento europeo, che in quello italiano.

Affermato in primis dalla giurisprudenza della CGUE e delle corti italiane, prima di merito e poi di legittimità, a partire dagli artt. 15 e 21 della Costituzione, il diritto alla riservatezza è stato configurato anzitutto come “right to be let alone[18].

In tempi più recenti, ma pur sempre agli esordi della rivoluzione digitale che è esplosa nell’ultimo decennio, l’evoluzione normativa ha prodotto, in Italia, il Codice della Privacy e le successive modifiche; in Europa, come da tradizione in prima linea sul fronte della protezione dei diritti individuali, dapprima si è ottenuta l’espressa previsione del diritto alla protezione dei dati personali, all’art 8 Carta di Nizza, infine, nel 2016, il GDPR[19].

Quest’ultimo, in particolare, nel predisporre una disciplina protettiva del dato personale particolarmente stringente, anche al fine di garantire l’affidabilità del trattamento e dunque incentivare la spontanea condivisione dei dati da parte degli utenti, pone quel presupposto metodologico di qualsiasi iniziativa fondata su dati anche personali il principio di privacy by design e by default, previsto dall’art. 25.

Esso impone, essenzialmente, di predisporre le migliori misure tecniche e organizzative per garantire la massima protezione nel trattamento del dato – in particolare, misure di pseudonimizzazione, anonimizzazione e sintesi – e di limitare il trattamento solo ai dati necessari e per il tempo necessario alla finalità presupposta.[20]

Su questo principio si deve dunque fondare un nuovo approccio al trattamento di dati personali anche per ragioni di pubblica utilità, come richiesto dalle moderne esigenze e stili di vita più interconnessi emergenti insieme all’evolversi rapidissimo delle nuove tecnologie, di cui la legislazione fatica comprensibilmente a tenere il passo, ma avvertito con particolare urgenza nel corso della pandemia non ancora esaurita.

Una certa compromissione della privacy, connessa alla più ampia restrizione della sfera di libertà e riservatezza, è stata infatti sperimentata in vari contesti durante il periodo emergenziale, dall’intromissione tramite webcam nelle abitazioni private alle modalità di controllo del lavoro da remoto, sino alla necessità di fornire giustificazioni per i propri spostamenti.

Più o meno tangibili, più o meno intrusive, le limitazioni della sfera di riservatezza, contestualmente alla contrapposta sfera di estrinsecazione pubblica e collettiva della personalità, è stata una costante delle misure di contenimento del virus.

E tuttavia – osserva Antonello Soro, già presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali – benché non desiderabili, anche le limitazioni del diritto alla protezione dati, se proporzionate e temporanee, rappresentano in questo momento il prezzo da pagare per tutelare l’incolumità di tutta la collettività e, in particolar modo, delle sue frange più vulnerabili”. Non si pone dunque, com’è evidente in un contesto di diritti fondamentali concorrenti e parimenti tutelati, una questione sull’an di questa limitazione, ma piuttosto sul quantum e soprattutto sul quomodo: la vera difficoltà, infatti, è individuare “il grado di limitazione dei diritti strettamente necessario a garantire tale scopo, comprimendo le libertà quel tanto (e nulla più) che sia ritenuto indispensabile”[21].

Lo stesso Soro, con una considerazione di pura teoria costituzionale, conclude che “entro questo confine, nel doveroso e costante bilanciamento tra diritti contrapposti, si realizza la virtuosa sinergia tra le istanze personaliste e quelle solidariste[22] che sono tra le più nobili radici della nostra Costituzione”[23].

Ciò premesso, in generale, sul contemperamento e sul bilanciamento tra diritti diversi, con particolare attenzione alla privacy, vale la pena dedicare un ultimo cenno alla teoria della contextual integrity[24], elaborata ormai in tempi non così recenti – ma i cui fondamenti paiono tuttora condivisibili[25] – da Helen Nissenbaum, proprio con riferimento alla sorveglianza pubblica, o meglio all’opportunità di proteggere la “privacy in pubblico”.

La tesi in questione, fondata sulla teoria filosofico-giuridica delle “sfere di giustizia” di Michael Walzer[26], muove dal presupposto che ogni ambiente, luogo, tempo, situazione possieda determinate regole – non necessariamente di fonte legislativa – che richiedono un adeguato standard di protezione: posta una determinata gerarchia di diritti fondamentali, l’operazione di contemperamento tra i medesimi potrebbe dunque produrre esiti differenti in funzione del contesto.

Unitamente alle considerazioni già svolte e alla dovuta attenzione ai principi espressi nel GDPR, sembra questo un approccio interessante tramite il quale guardare, nel caso di specie, al rapporto tra la protezione dei dati personali e le misure di monitoraggio volte a prevenire il diffondersi del contagio, da un lato, e a riespandere al più presto gli altri diritti compressi, dall’altro, senza compromettere la privacy oltre l’indispensabile.

 

  1. Soluzioni tecnologiche e proporzionalità.

 

Sullo sfondo delle considerazioni svolte in precedenza, vi è, come accennato, anzitutto la questione del contenimento dei contagi attuato mediante la geolocalizzazione e il sistematico tracciamento dei contatti dei soggetti positivi al coronavirus[27], mediante le raccolta di dati – anche personali – trattati con l’ausilio delle tecnologie digitali.

A tal fine si può comprendere l’importanza di disporre di dataset completi e diffusi sul territorio nazionale, ma anche riferibili a contesti più limitati, come quello circoscritto ai confini della città: vengono dunque in considerazione i dati urbani[28], le cui potenzialità – per lo più inespresse, soprattutto a causa della mancanza di strutture tecniche e giuridiche adeguate, nonché delle necessarie competenze anche in seno all’amministrazione pubblica – sono elevatissime per il perfezionamento di politiche pubbliche ad hoc[29].

Le comunità locali, durante la pandemia, in quanto teatro del quotidiano svolgersi della vita dei cittadini, e dunque inevitabilmente fulcro della limitata libertà di movimento e vita di relazione consentita durante i mesi di maggior durezza delle misure restrittive, hanno dato eccezionale prova di resilienza e capacità di sopportazione anche per mezzo di una importante componente tecnologica che coinvolge ogni sfera dell’esistenza pubblica, privata, lavorativa[30].

Tra le capacità dei dati urbani vi è senza dubbio quella di monitorare in tempo reale il distanziamento sociale e l’affollamento dei luoghi, il traffico di pedoni e di veicoli[31]: pare pertanto legittimo ritenere che l’impiego sistematico di tecnologie di tracciamento e monitoraggio – implicante il trattamento di dati sia personali che non personali – nelle città, finalizzato al controllo del contagio costante e localizzato, avrebbe consentito misure di contenimento decisamente meno restrittive, per quanto almeno parimenti efficaci.

Poste in luce alcune tra le grandi potenzialità delle soluzioni tecnologiche, sembra anzitutto ragionevole procedere secondo un criterio di gradualità, come suggeriva d’altra parte il Presidente dell’Autorità Garante[32]: dagli strumenti meno impattanti – quelli cioè che prevedono l’acquisizione di dati fin dall’origine anonimi – fino a quelli maggiormente delicati, che per la loro efficacia richiedono il conferimento di dati personali e, di conseguenza, una previsione normativa che ne circoscriva i tempi di conservazione e determini esaustivamente lo scopo.

Chiave di volta di quest’ultima previsione, e quindi del possibile perfezionamento e utilizzo dei suddetti strumenti, è dunque un criterio di proporzionalità: il medesimo che viene applicato dalle Corti[33], e che richiede – nella moderna teoria quadripartita – che la misura sia volta a perseguire un obiettivo legittimo, che concretamente persegua l’obiettivo, che essa rappresenti la soluzione meno impattante sugli interessi coinvolti, che infine il beneficio arrecato dalla misura sia superiore al sacrificio imposto alle altre situazioni giuridiche tutelate.

Il criterio di proporzionalità, in particolare, consente di analizzare “l’interfaccia che si instaura tra il vaglio giurisdizionale, le evidenze scientifiche e le opzioni tecnologiche disponibili”[34]: un intreccio non di poco conto, perché da un lato consente di giudicare la scelta di una determinata misura e di un certo strumento in rapporto agli altri disponibili e paragonabili[35] – operazione, questa, fondamentale non solo in sede di processo, ma ben prima, nel momento della decisione politica – e dall’altro apre la strada ad una giustiziabilità dell’algoritmo sempre più imprescindibile[36].

I tre passaggi essenziali del giudizio di proporzionalità, dunque, data per presupposta in ipotesi la legittimità degli interventi volti a contenere l’emergenza epidemiologica, permettono rispettivamente: di confrontare diverse policies[37]e diverse tecnologie, scegliendo la più adeguata ed evitando in nuce ogni soluzione concretamente non in grado di perseguire gli obiettivi; di adeguare gli esiti della fase precedente, anche con riferimento al profilo tecnico-algoritmico, preferendo la soluzione meno impattante di fronte a opzioni con efficacia non troppo dissimile[38]; infine, il conclusivo scrutinio sul sacrificio corrispettivamente imposto ad altre situazioni giuridiche riporta l’analisi alla questione del bilanciamento, affrontata in precedenza.

Alla luce dei principi esaminati, in conclusione, non mancano gli elementi in grado di suggerire un certo ottimismo sulle possibilità di sfruttare appieno le risorse tecnologiche a disposizione per finalità di pubblico interesse, scegliendo con cura le politiche pubbliche più adeguate sula base di criteri rigorosi, purché, naturalmente, si trovi quella convergenza tra elemento politico, giuridico-costituzionale e tecnologico-digitale che trasformi quest’ultimo, da fenomeno dirompente e incontrollabile, ad alleato.

 

[1] Ex multis: B. Raganelli, Stato di emergenza e tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, Il diritto dell’economia, n. 3/2020; su questa rivista: F. Cerquozzi, Stato d’emergenza ed economia, Ius in Itinere, 15/02/2021; F. M. Storelli, La graduale limitazione dei diritti e delle libertà fondamentali nella stagione del coronavirus, Ius in Itinere, 28/03/2020; con particolare riguardo alla tematica della protezione dei dati personali: C. Bergonzini, Non solo privacy. Pandemia, contact tracing e diritti fondamentali, Dirittifondamentali.it, n. 2/2020; C. Colapietro, A. Iannuzzi, App di contact tracing e trattamento dei dati con algoritmi: la falsa alternativa fra tutela del diritto alla salute e protezione dei dati personali, Dirittifondamentali.it, n. 2/2020.

[2] A. Algostino, Covid-19: primo tracciato per una riflessione nel nome della Costituzione, Osservatorio AIC, n. 3/2020.

[3] Art. 16 Cost.

[4] Art. 17 Cost.

[5] Art. 21 Cost.

[6] Art. 19 Cost.

[7] Quali fondamenti, si richiamano in particolar modo gli artt. 4 e 35 della Costituzione.

[8] Art. 41 Cost.

[9] Artt. 33 e 34 Cost.

[10] F. M. Storelli, Processo telematico e da remoto: l’udienza è smart, Ius in Itinere, 04/05/2020. Si veda in particolare il paragrafo relativo al giudice penale quanto alle considerazione sulla privacy e alle problematiche poste dalla gestione dei metadati.

[11] A. Algostino, Covid-19: primo tracciato per una riflessione nel nome della Costituzione, cit.

[12] R. Bin, Diritti e fraintendimenti, correttamente contesta il valore, se non meramente descrittivo, della distinzione tra diritti e libertà negative, che postulerebbe una presunta prevalenza di queste ultime poiché non necessitano di intervento, ma soltanto di astensione da parte dello Stato.

[13] C. Cost. n. 85/2013.

[14] Ibidem. Giurisprudenza richiamata anche da: A. Buratti, Quale bilanciamento tra i diritti nell’emergenza sanitaria? Due recentissime posizioni di Marta Cartabia e Giuseppe Conte, Diritti Comparati, 01/05/2020.

[15] L. Miglietti, Profili storico-comparativi del diritto alla privacy, Diritti Comparati, 04/12/2014. V. anche, su questa rivista: G. Cavallari, L’evoluzione del diritto alla riservatezza: il contesto italiano, Ius in Itinere, 13/11/2018.

[16]  Sul tema: Servizio studi del Senato, Tracciamento di contatti, dossier n. 242/1, 05/2020.

[17] A. Algostino, Covid-19: primo tracciato per una riflessione nel nome della Costituzione, cit.

[18] Assai più approfonditamente, su questo percorso evolutivo, legislativo e giurisprudenziale: G. Cavallari, L’evoluzione del diritto alla riservatezza: il contesto italiano, cit.

[19] Reg. UE 679/2016.

[20] Art. 25 co. 1 e 2 Reg. UE 679/2016: “tenendo conto dello stato dell’arte e dei costi di attuazione, nonché della natura, dell’ambito di applicazione, del contesto e delle finalità del trattamento, come anche dei rischi aventi probabilità e gravità diverse per i diritti e le libertà delle persone fisiche costituiti dal trattamento, sia al momento di determinare i mezzi del trattamento sia all’atto del trattamento stesso il titolare del trattamento mette in atto misure tecniche e organizzative adeguate, quali la pseudonimizzazione, volte ad attuare in modo efficace i principi di protezione dei dati, quali la minimizzazione, e a integrare nel trattamento le necessarie garanzie al fine di soddisfare i requisiti del presente regolamento e tutelare i diritti degli interessati.

Il titolare del trattamento mette in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire che siano trattati, per impostazione predefinita, solo i dati personali necessari per ogni specifica finalità del trattamento. Tale obbligo vale per la quantità dei dati personali raccolti, la portata del trattamento, il periodo di conservazione e accessibilità. In particolare, dette misure garantiscono che, per impostazione predefinita, non siano resi accessibili dati personali a un numero indefinito di persone fisiche senza l’intervento della persona fisica”.

[21] A. Soro, Soro: Tracciamento contagi coronavirus, ecco i criteri da seguire, Agenda Digitale, 29/03/2020.

[22] Sul tema: F. Pizzolato, Finalismo dello Stato e sistema dei diritti nella Costituzione italiana, Milano, Vita e Pensiero, 1999.

[23] Ibidem.

[24] H. Nissenbaum, Privacy as Contextual Integrity, Wash. L. Rev., vol. 79, n. 1/2004.

[25] Sulle distinzioni tra “tutela sistemica” e “tutela contestuale” e loro implicazioni sugli esiti del giudizio di bilanciamento, però, si veda: F. Cerquozzi, Stato d’emergenza ed economia, cit.

[26] M. Walzer, Spheres of justice: a defense of pluralism and equality, New York, Basic Books, 1983.

[27] Servizio studi del Senato, Tracciamento di contatti, cit. Tra la bibliografia ivi citata, con particolare riferimento al profilo tecnologico/algoritmico, destano particolare interesse: D. De Falco, M. L. Maddalena, La politica del tracciamento dei contatti e dei test per covid-19 alla luce delle ultime direttive OMS: nessun ostacolo giuridico impedisce di utilizzare il ‘modello coreano’ anche in Italia, Federalismi.it, 13/03/2020; G. De Minico, Virus e algoritmi. Impariamo da un’esperienza dolorosa, laCostituzione.info, 01/04/2020; G. Della Morte,  La tempesta perfetta Covid-19, deroghe alla protezione dei dati personali ed esigenze di sorveglianza di massa, SIDIBlog, 30/03/2020.

[28] F. Dughiero, A. Michieli, e. Spiller, D. Testa, Governing with urban big data in the smart city environment: an Italian perspective, Ius Publicum Network Review, n. 1/2021, pag. 10: “an amount of static and dynamic data that is generated both from things and from human beings, processed by public or private subjects through information technologies within the urban environment”. Si veda anche la bibliografia ivi citata, in particolare: Y. Pan – Y. Tian – X. Liu – D. Gu – G. Hua, Urban Big Data and the Development of City Intelligence, Engineering, 2.2, 2016; L. Kong – Z. Liu -J. Wu, A systematic review of big data-based urban sustainability research: State-of-the-science and future directions, Journal of Cleaner Production, 273, 2020.

[29] Ivi, p. 11.

[30] Ivi, p. 2: “The COVID-19 crisis has highlighted how cities and local communities can be stable and resilient human environments even in difficult times. Moreover, a considerable part of this resiliency is closely connected to the impressive technological components that permeate people’s daily lives and the places they live and work; their private dwellings and public spaces. Working from home, distance learning, telemedicine, and e-health services are simply the most immediate examples of the technological face of the urban experience.”.

[31] Ivi, p. 24.

[32] A. Soro, Soro: Tracciamento contagi coronavirus, ecco i criteri da seguire, cit.

[33] Da un punto di vista prettamente giurisprudenziale, si veda: M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, Roma, Conferenza trilaterale delle Corte costituzionali italiana, portoghese e spagnola, 24-26/10/13.

[34] A. Pin, Giudicare la pandemia con la proporzionalità. Le misure anti-Covid-19, il vaglio giudiziario e il diritto comparato, DPCE online, n. 2/2020, p. 2591.

[35] Ivi, p. 2590-2591: “In termini generali, la proporzionalità presenta il vantaggio, soprattutto nella fase iii), di poter confrontare diverse ipotesi di policies. Ciò è già utile nel valutare in termini generali il passaggio da un sistema di distanziamento sociale pervasivo e fortemente impattante sulle attività economiche a forme digitali, basate  sul  monitoraggio  e  l’individualizzazione  del  distanziamento  sociale, anziché sulla sua generalizzazione”.

[36] A tal proposito, su questa rivista si è in precedenza commentato uno dei più rilevanti casi giudiziari concernenti le caratteristiche intrinseche di un algoritmo: D. Testa, La discriminazione degli algoritmi: il caso Deliveroo, Trib. Bologna, 31 dicembre 2020, Ius in Itinere, 26/01/2021.

[37] A. Pin, Giudicare la pandemia con la proporzionalità. Le misure anti-Covid-19, il vaglio giudiziario e il diritto comparato, cit, p. 2592-2593: con riferimento alle app di tracciamento personale, l’autore confronta le tecnologie Bluetooth e GPS.

[38] Ibidem: posti diversi profili di maggiore o minore efficacia delle tecnologie Bluetooth e GPS, è con riguardo alla protezione della riservatezza che la prima sembra maggiormente compatibile.

Davide Testa

Davide Testa è dottorando di ricerca presso la LUISS - Guido Carli e City Science Officer a Reggio Emilia, cultore della materia in Diritto Costituzionale e avvocato nel Foro di Padova. Dopo aver conseguito gli studi classici presso il Liceo Marchesi,  ha studiato Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova, svolgendo un periodo di mobilità di due semestri presso l’University College Dublin. Nel 2019 si laurea in Diritto Costituzionale con una tesi intitolata “Fondata sul lavoro: dall’Assemblea costituente alla gig economy”. A partire dallo stesso anno, collabora con l’area di Diritto Costituzionale della rivista Ius in Itinere e partecipa ai lavori del gruppo di ricerca "Progetto Città", promosso dal Dipartimento di Diritto Pubblico, Internazionale e Comunitario dell'Università di Padova. Nel 2020-2021 è inoltre stato titolare di un assegno di ricerca FSE intitolato "Urban Data Regulation – Best practices locali per un uso condiviso" presso il medesimo ateneo. Dal 2022 è dottorando di ricerca industriale presso LUISS - Guido Carli e, nell'ambito del dottorato, svolge attività di ricerca applicata presso il City Science Office attivato presso l'amministrazione di Reggio Emilia, nell'ambito della City Science Initiative promossa dal JRC della Commissione Europea. È inoltre avvocato presso il Foro di Padova.

Lascia un commento