giovedì, Aprile 18, 2024
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Garantire la qualità del prodotto? Niente paura, ci pensa il marchio!

È un dato di fatto, nonché motivo di orgoglio nazionale, che il made in Italy è da sempre associato all’alta qualità delle materie prime e delle maestrie adoperate nella lavorazione delle stesse (specie nel settore agroalimentare). Dato che, però, risulta difficile fidarsi sulla parola, specie quando si tratta di compravendita, e che l’attività legislativa non cessa mai di stupirci per la sua alacrità, ecco che il marchio di qualità “scende in campo” per colmare la carenza di fiducia, in particolare, dei consumatori.

Tale istituto giuridico, infatti, è un segno distintivo la cui funzione principale è quella di garantire al consumatore la provenienza originale del prodotto, nonché che il processo di produzione avvenga secondo modalità legate a una tipicità territoriale nel rispetto della disciplina relativa al marchio stesso.

Il principale marchio di qualità è (al di fuori del contesto nazionale) il marchio CE, o, più correttamente, marcatura CE, ovvero il simbolo che deve essere obbligatoriamente apposto dal produttore (se ha la sede in Europa) o dall’importatore (se il produttore ha sede fuori della Unione Europea) oppure dal mandatario, nominato dal produttore, che attesta che il prodotto che ne fa mostra presenta i requisiti previsti dall’UE in materia di sicurezza, salute e tutela dell’ambiente.

Tale marcatura è valida per i prodotti realizzati sia all’interno che all’esterno dello Spazio Economico Europeo e commercializzati all’interno del suo territorio. Con il Regolamento CEE n. 510/06 [1], l’Unione Europea ha creato i seguenti marchi [2]:
a) DOP – Denominazione di origine protetta (PDO – Protected Designation of Origin), identifica la denominazione di un prodotto la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengono in una specifica area geografica (es: mozzarella di bufala campana);
b) IGP – Indicazione geografica protetta (PGI – Protected Geographical Indication), identifica la denominazione di un prodotto di cui almeno uno degli stadi della produzione, trasformazione o elaborazione avviene in un’area geografica determinata (es: lardo di Colonnata);
c) STG – Specialità tradizionale garantita (TSG – Traditional Speciality Guaranteed), ha il compito di valorizzare una composizione tradizionale del prodotto o un metodo di produzione tradizionale, ma non fa riferimento ad un’origine (es: pizza napoletana).

La marcatura CE garantisce ai prodotti cui viene “apposta” una forte tutela contro :
         “a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di un nome registrato per prodotti che non sono oggetto di registrazione, qualora questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con tale nome o l’uso di tale nome consenta di sfruttare la notorietà del nome protetto, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente;
       b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera dei prodotti o servizi è indicata o se il nome protetto è una traduzione o è accompagnato da espressioni quali «stile», «tipo», «metodo»,  «alla maniera», «imitazione» o simili, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente;
        d) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull’imballaggio, nel materiale pubblicitario o sui documenti relativi al prodotto considerato nonché l’impiego, per il confezionamento, di recipienti che possano indurre in errore sulla sua origine;
          e) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.”[3]

In base a quanto stabilito dal combinato degli artt. 5, 6 e 7 del Regolamento CEE n. 510/06, nonché dal Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012 [4] (il quale, pur andando a modificare il primo, ne ha “confermato” numerosi punti), la domanda di registrazione deve comprendere:

1) il nome e l’indirizzo del richiedente;
2) il disciplinare (documento su cui vengono riportati tutti gli elementi relativi alla prova dell’origine per quanto riguarda il prodotto, le materie prime, i mangimi e gli altri elementi che, secondo il  disciplinare,  devono provenire dalla zona geografica delimitata.);
3) un documento unico limitato agli elementi seguenti:
4) gli elementi principali del disciplinare: la denominazione, la descrizione del prodotto, incluse eventualmente le norme specifiche applicabili al suo condizionamento e alla sua etichettatura, e la descrizione  concisa della delimitazione della zona geografica;
5) la descrizione del legame del prodotto con l’ambiente geografico o con l’origine geografica di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a) o b) a seconda dei casi, inclusi, eventualmente, gli elementi specifici  della descrizione del prodotto o del metodo di ottenimento che giustifica il legame.

Tale domanda dovrà, quindi, essere inviata allo Stato membro in cui è situata la zona geografica, il quale dovrà verificare che il prodotto e la domanda presentino i requisiti previsti dal regolamento in oggetto procedendo, al contempo, ad avviare una procedura nazionale di opposizione per fare sì che sia garantita l’adeguata pubblicazione della domanda. Tutto ciò è volto a garantire ad ogni persona fisica o giuridica avente un interesse legittimo e stabilita o residente sul suo territorio la possibilità di opporsi alla domanda stessa. Nel caso in cui lo Stato decida di accogliere la domanda, questa verrà inviata dallo stesso alla Commissione dell’UE, cui spetterà la decisione definitiva.

Una volta che la domanda è stata trasmessa alla Commissione, lo Stato membro che ve l’ha inviata ha la possibilità di accordare (ma sempre in via transitoria) alla denominazione una protezione a livello nazionale o, nel caso in cui le imprese interessate abbiano legalmente commercializzato i prodotti in oggetto usando continuativamente la denominazione oggetto della domanda per almeno cinque anni prima della presentazione della stessa ed abbiano fatto apposita domanda nel corso della predetta procedura nazionale di opposizione, un periodo di adattamento.

Ovviamente, tale protezione nazionale cesserà dalla data dell’adozione di una decisione da parte della Commissione che, in base al disposto dell’art. 6 del regolamento in oggetto, dovrebbe terminare l’esame della domanda entro il termine di sei mesi dalla ricezione della stessa. Nel caso in cui il giudizio della Commissione rivelasse avere un esito positivo, sarà cura della stessa rendere pubblica la notizia nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea [5].

Entro tre mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, hanno la possibilità di presentare una notifica di opposizione:

1)  le autorità di uno Stato membro o di un paese terzo;
2) ogni persona fisica o giuridica avente un interesse legittimo e stabilita in un paese terzo (entro un termine che consenta di presentare un’opposizione).

La notifica di opposizione contiene (rectius, deve contenere, a pena di nullità) una dichiarazione secondo la quale la domanda potrebbe non essere conforme alle condizioni stabilite nel presente regolamento. Una volta ricevuta tale notifica, la Commissione provvede subito ad inoltrarla all’autorità o all’organismo che ha presentato la domanda contestata.

Nell’eventualità in cui alla Commissione, a seguito della trasmissione di una notifica di opposizione, fosse presentata, entro due mesi, una dichiarazione di opposizione motivata (ritenuta ricevibile dalla Commissione), entro due mesi dalla ricezione di quest’ultima, la “contromossa” della Commissione sarebbe l’invitare l’autorità o la persona che ha presentato opposizione e l’autorità o l’organismo che ha presentato la domanda ad intraprendere (senza indebiti ritardi) un periodo di consultazione di ragionevole durata, non superiore, in ogni caso, a tre mesi (prorogabile, al massimo, di altri tre mesi solo su richiesta del richiedente).

Con “consultazione” si intende la reciproca trasmissione delle informazioni utili alla valutazione della conformità della domanda di registrazione alle condizioni del regolamento comunitario (ovviamente il più recente, ovvero il Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012). Nel caso in cui non si riuscisse a raggiungere un pacifico accordo tra le parti, tali informazioni andranno ad essere trasmesse alla Commissione.

Dato il livello di protezione da essa accordata, la marcatura CE, pur se obbligatoria, costituisce di certo un vantaggio, anche da un punto di vista semplicemente idealistico, visto che, in base alla modesta opinione di chi scrive, a nessuno risulta gradito vedere in vendita prodotti con sembianze improponibili che nulla hanno a che fare con quelli tipici del proprio paese/area geografica.

 

[1] Regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari, disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32006R0510 

[2] “La marcatura CE ha inteso rimuovere le barriere alla libera circolazione dei prodotti all’interno del Mercato Unico Europeo determinate dai diversi sistemi di qualificazione dei prodotti contenuti nelle Legislazioni nazionali riferibili ai singoli stati membri”, da “Guida all’attuazione delle Direttive fondate sul nuovo approccio”, Commissione Europea, disponibile qui: http://ec.europa.eu/docsroom/documents/18027/attachments/1/translations/it/renditions/native 

[3] Art 13 Regolamento (CE) n. 510/2006

[4] Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, disponibile qui:

[5] “L‘unico periodico pubblicato ogni giorno lavorativo in tutte le lingue ufficiali dell’Unione europea (UE), si articola in due serie collegate tra loro (L per gli atti legislativi e C per comunicazioni e informazioni) e un supplemento (S per i bandi di appalto). Esiste anche una sezione elettronica della serie C, nota come GU CE” definizione disponibile qui: http://www.gazzettaeuropea.com/

Valentina Ertola

Dott.ssa Valentina Ertola, laureata presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma 3 con tesi in diritto ecclesiastico ("L'Inquisizione spagnola e le nuove persecuzione agli albori della modernità"). Ha frequentato il Corso di specializzazione in diritto e gestione della proprietà intellettuale presso l'università LUISS Guido Carli e conseguito il diploma della Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l'Università degli Studi di Roma3. Nel 2021 ha superato l'esame di abilitazione alla professione forense. Collaboratrice per l'area "IP & IT".

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