giovedì, Aprile 18, 2024
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Genesi ed evoluzione della “Legge cinema”

Lo Stato italiano non si è certo mai fatto scrupoli ad intervenire nel settore cinematografico. Nell’arco temporale che va dall’inizio degli anni venti fino alla fine della prima metà del ventesimo secolo, nell’intervento statale sono ravvisabili due obiettivi:

  1. promuovere la produzione nazionale privata;
  2. favorire la partecipazione diretta all’attività cinematografica tramite la creazione di enti e società sotto il controllo statale.

Nonostante tale animus del legislatore dell’epoca, il nostro cinema, specie agli inizi, ha sempre incontrato delle difficoltà di carattere economico. È in ragione di ciò che lo Stato optò per un finanziamento diretto dell’industria cinematografica. In tal senso, da un lato, al fine di dare un maggior livello di garanzia al recupero delle somme anticipate dallo Stato, la riscossione dei diritti di sfruttamento, sia nazionali che esteri venne affidata alla Società Italiana Autori ed Editori (S.I.A.E.) e, dall’altro, al fine di favorire uno sviluppo maggiore al credito cinematografico, fu previsto che potesse essere costituita una Sezione Autonoma per il Credito Cinematografico presso la Banca Nazionale del Lavoro S.A.C.C. – B.N.L., per la concessione diretta di mutui, ad interessi di particolare favore, per la produzione di pellicole cinematografiche (ed infatti, nel 1935, con il r. d. l. n. 2504 [1] venne costituita, appunto presso la B.N.L., la Sezione Autonoma per il Credito Cinematografico).

Tale Sezione aveva, tuttavia, un limite, concedeva sì finanziamenti per il commercio di pellicole internazionali ed estere, l’esercizio di sale cinematografiche, anticipazioni su premi ed ogni altro diritto di spettanza, ma solo del produttore. Sarà solo nel 1965, con l’emanazione della legge 4 novembre n. 1213 [2], conosciuta come Legge Cinema (la prima in assoluto), che l’intervento di sostegno economico dello Stato finì per coprire l’intera gamma delle attività connesse al settore cinematografico, dalla produzione all’esercizio effettivo.

Come si suol dire, la storia non finì lì, infatti lo sviluppo sempre più intenso del settore cinematografico rese necessario ulteriori cambiamenti i quali, però, questa volta non si concretarono in una riforma vera e propria, quanto in alcune modifiche alla predetta legge n. 1213, che si concretarono nel d.l. n. 26 del 1994 [3], convertito, in seguito, nella legge n. 153 [4] dello stesso anno. Di seguito le modifiche più rilevanti:

  • l’istituzione di un Fondo di Garanzia per garantire gli investimenti sia nel settore della produzione che della distribuzione, nonché esportazione, delle opere cinematografiche italiane ritenute di “più alto livello culturale”;
  • l’assegnazione a tali opere di un mutuo a tassa agevolato assistito, per l’appunto, dal detto fondo per una misura pari al 90% dell’importo massimo ammissibile.[5]

Il “regno” di questo combinato normativo ebbe vita breve, dieci anni per la precisione, visto che il 22 gennaio 2004 [6] vi fu l’emanazione del decreto legislativo (n. 28) che sarebbe diventato la “nuova” Legge Cinema.

In esso è bene, anzitutto, notare che viene espressamente fatto riferimento alla Costituzione e, in specie, agli articoli:

  • 21, in base al quale “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione….[…]”;
  • 33, che stabilisce che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento […]”, ciò in quanto il cinema è riconosciuto dallo Stato italiano quale fondamentale mezzo di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale.

Spostandoci, poi, sul lato più “corposo”, è doveroso analizzare quelli che sono stati i cambiamenti più significativi apportati, essendo esso una risposta al problema sempre più grave della mancanza/esiguità delle risorse economiche a disposizione del settore cinematografico (il fondo statale era, all’epoca, a serio rischio prosciugamento), ovvero:

  • Una diminuzione del finanziamento statale destinato dal 75% ad un massimo del 50%, con il conseguente trasferimento dell’onere di reperire il restante importo a carico dei produttori (l’ottenimento dell’assistenza finanziaria pubblica dipende anche dall’origine del prodotto: il film infatti deve possedere il requisito della nazionalità italiana, la quale va cercata nelle componenti artistiche e tecniche dell’opera cinematografica);
  • La costituzione del Reference System (sistema di riferimento), “nuovo sistema destinato a supportare le tradizionali commissioni nella scelta dei soggetti e dei progetti meritevoli di finanziamento” [7] basandosi sia sull’affidabilità economica della produzione che sulla base di parametri definiti (risultati artistici conseguiti dal regista, etc.);
  • Previsione di un meccanismo di tassazione agevolata volto a favorire gli investimenti nel settore cinematografico, il Tax Shelter, già presente in Germania, Olanda, Gran Bretagna e Lussemburgo;
  • La previsione della possibilità di aiuti economici da parte di enti pubblici (in species, le Regioni);
  • Previsione della possibilità di inserire marchi e prodotti all’interno dei film (detto product placement [8]) al fine di ottenere, in cambio, introiti pubblicitari;
  • Abolizione della censura preventiva con contestuale sostituzione della stessa con un sistema di auto classificazione che lo stesso produttore [9] dovrà effettuare (dovrà indicare le caratteristiche del film, con particolare riferimento alle tematiche della violenza e della sessualità). Onde, poi, evitare di attribuire un eccessivo potere discrezionale al produttore, tale auto classificazione dovrà essere sottoposta all’esame di un’apposita commissione (i cui membri sono iscritti al c.d. albo dei garanti), la quale deciderà, in definitiva, se il film potrà avere accesso alle sale o meno(sappiamo quindi chi incolpare per i film orribili che talvolta compaiono nei nostri cinema).

Ulteriore merito da riconoscere al decreto legge del 2004 suddetto, detto anche decreto “Urbani”, è quello di aver “influenzato e favorito”, unitamente alla direttiva comunitaria 2004/48/CE, emanata al fine di rendere maggiormente incisivi gli strumenti legislativi predisposti per la lotta alla “pirateria” intellettuale ed alla contraffazione dei prodotti industriali in ambito comunitario, la predisposizione del Decreto legge n. 42 del 23 marzo 2004 (convertito nella legge del 21 maggio 2004 n. 128 [10]),  con il quale il Governo si è posto l’obbiettivo di contrastare il fenomeno dell’illecito scambio via internet di opere tutelate dal diritto d’autore, noto come “peer to peer” (P2P) o “file sharing”. In particolare, il file sharing (scambio di film e canzoni tramite internet) sarebbe stato consentito solo per i file corredati da un marchio “rispettoso” degli obblighi di legge. In caso di download pirata, poi, venne previsto il pagamento di una multa di importo pari ad €154,00 o, in caso di reiterazione di reato, ad € 1.032,00. In ultimo, con esso si previde l’introduzione di un risarcimento per gli autori con una tassa del 3% sui masterizzatori, da destinare alla S.I.A.E..

Come sopra detto, anche questa volta la vicenda poteva dirsi tutto tranne che conclusa. Facendo, infatti, un salto temporale di 12 anni, “entrò in scena” un nuovo disegno di legge sul cinema, presentato dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Franceschini il 16 marzo 2016, poi definitivamente approvato a novembre dello stesso anno. La legge 14 novembre 2016, n. 220 [11], di riforma della “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo“, ha il merito di aver fornito soluzioni ad alcune questioni sorte dall’entrata in vigore del decreto legge del 2004 (decreto “Urbani”), quali, ad esempio, il problema di individuare sedi presso le quali fosse possibile raggiungere un effettivo coordinamento tra gli interessi dei soggetti coinvolti nella promozione delle attività di spettacolo;  la polemica da alcuni proposta sull’aver previsto un sistema di tutela “preferenziale”, che andasse, quindi, a riguardare solo determinati soggetti “di successo” a svantaggio di altri o, anche, la critica per la presenza di un alto numero sale cinematografiche dismesse per mancanza di fondi [12].

Esaminando le novità introdotte dalla legge 220 del 2016, è opinione di chi scrive che a meritare la prima menzione sia l’istituzione del “Consiglio superiore del cinema e dell’audiovisivo”. L’art. 11 della succitata legge, infatti, ha previsto l’istituzione di tale Consiglio in sostituzione della pre-esistente “Sezione Cinema” della “consulta per lo Spettacolo”, attribuendogli compiti sia di consulenza che di supporto nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche di settore, nonché per quel che riguarda la predisposizione di indirizzi/criteri generali per la determinazione della destinazione delle risorse economiche pubbliche in tale settore, ciò avvalendosi delle analisi di settore, delle risultanze dell’attività di monitoraggio delle politiche pubbliche e degli esiti delle consultazioni periodiche avviate con gli operatori di settore [art. 11, co. 3, lett. a) ed f)]. Tale organismo, con carica triennale, è composto da 11 membri, di cui tre scelti dal Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (tra una selezione di nomi proposta dalle associazioni di categoria “maggiormente rappresentative” e otto personalità del settore cinematografico ed audiovisivo con comprovata qualificazione professionale e capacità.

Altri punti dotati di maggior rilevanza nella riforma in oggetto sono, certamente:

  1. L’eliminazione definitiva della c.d. “censura di Stato” e limitazione all’intervento statale ai soli casi di abuso;
  2. L’abolizione delle Commissioni Ministeriali per l’attribuzione dei finanziamenti in base al c.d. “interesse culturale” [13];
  3. La possibilità che sale cinematografiche, teatri e librerie storiche vengano riconosciute di interesse culturale e ricevere, quindi, il vincolo di destinazione d’uso;
  4. La previsione [art. 13] dello stanziamento di un nuovo Fondo per il cinema e l’audiovisivo di capitale annuo pari a € 400.000,00 per il finanziamento di tutti gli strumenti finanziari a sostegno del settore, dagli incentivi fiscali in forma di credito d’imposta ai contributi automatici, nonché alle agevolazioni per la promozione cinematografica. Tale Fondo, sul modello francese, è stato destinato ad essere alimentato direttamente dagli introiti erariali già derivanti dalle attività di: programmazione e trasmissione televisiva; distribuzione cinematografica; proiezione cinematografica etc.;
  5. La previsione di apposite sezioni del suddetto Fondo destinate a finanziare, rispettivamente, il Piano straordinario per il potenziamento del circuito delle sale cinematografiche ed il Piano straordinario per la digitalizzazione del patrimonio cinematografico e audiovisivo;
  6. La previsione, sempre nello stesso Fondo, di una serie di contributi di diverso genere: automatici (art. 23 ss.), destinati allo sviluppo, alla produzione ed alla distribuzione delle opere cinematografiche e audiovisive riconosciuti per opere già realizzate o distribuite, in base ai risultati economici, culturali e artistici, e condizionati al reinvestimento del settore; selettivi (art. 26 e ss.) destinati in particolare alle opere prime e seconde, nonché a quelle realizzate da giovani autori ,proprie del settore cinematografico; destinati alle attività ed alle iniziative di promozione cinematografica ed audiovisiva (art. 27) finalizzati, ad esempio, a promuovere le attività di internazionalizzazione del settore;
  7. Una completa revisione dell’intero sistema del tax credit:
    • un credito d’imposta per le imprese di produzione, in misura non inferiore al 15% e non superiore al 30% del costo complessivo per la produzione di opere cinematografiche e audiovisive;
    • un credito d’imposta per le imprese di distribuzione cinematografica, in misura non inferiore al 15% e non superiore al 30% delle spese complessivamente sostenute per la distribuzione nazionale e internazionale di opere cinematografiche e audiovisive;
    • un credito d’imposta per le imprese dell’esercizio cinematografico, le industrie tecniche e di post-produzione, in misura non inferiore al 20% e non superiore al 49% delle spese complessivamente sostenute per la ristrutturazione e l’adeguamento strutturale e tecnologico delle sale cinematografiche e dei relativi impianti e servizi accessori, per la realizzazione di nuove sale o il ripristino di sale inattive;
    • un credito d’imposta per il potenziamento dell’offerta cinematografica italiana ed europea, commisurato alla programmazione delle opere italiane ed europee effettuate nelle rispettive sale dagli esercenti;
    • un credito d’imposta per l’attrazione in Italia di investimenti cinematografici ed audiovisivi, quindi con riferimento alle opere cinematografiche e audiovisive o a parti di esse realizzate sul territorio nazionale, utilizzando mano d’opera italiana, su commissione di produzioni estere, con entità compresa tra il 20% e il 30% del costo di produzione della singola opera;
    • un credito d’imposta per le imprese non appartenenti al settore della produzione cinematografica e audiovisiva associate in partecipazione ai sensi dell’articolo 2549 del codice civile, applicando un’aliquota massima del 30% dell’apporto in denaro effettuato da tali imprese per la produzione e distribuzione in Italia e all’estero di opere cinematografiche e audiovisive.

Questa “Nuova Legge Cinema” nasce, ricapitolando, con l’intento di riorganizzare e migliorare il settore cinematografico ed audiovisivo e, in particolare, la previsione di questo Fondo per gli investimenti nel Cinema e nell’Audiovisivo è stato creato con l’animus di offrire una sicura “base economica” al settore. In base al dettato della legge 220 del 2016 il detto Fondo è destinato a “nutrirsi” delle imposte IRES ed IVA versate proprio nei settori del cinema, delle televisioni etc., tanto che, in pratica, lo si potrebbe definire un sistema di autofinanziamento. Sorge, però, il dubbio sul se sia stato o meno saggio associare un simile sistema di finanziamento ad un settore in cui le entrate non sono assolutamente regolari, che sia stato un azzardo?. Una la certezza, il percorso che ha portato all’emanazione di questa norma del 2016 è stato lungo e travagliato proprio perché l’evoluzione del settore cinematografico e le influenze sia interne al territorio nazionale che estere non hanno mai mancato di “farsi sentire”, nulla quindi fa dubitare che il legislatore si tirerà indietro nell’apportare ulteriori cambiamenti in seguito se ne ravviserà la necessità.

 

[1] R.d.l. n. 2504, disponibile qui: http://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1936-02-22&atto.codiceRedazionale=035U2504;

[2] Legge 4 dicembre 1965, n. 1213, disponibile qui: http://www.prassicoop.it/Norme/L%201213_65%20A.pdf;

[3] D. l. n. 26 del 1994, disponibile qui: http://www.librari.beniculturali.it/export/sites/dgbid/it/documenti/Eventi/2014/12.Decreto-legge_14_gennaio_1994__n._26.pdf;

[4] legge n. 153 del 1 marzo 1994, disponibile qui: http://www.librari.beniculturali.it/export/sites/dgbid/it/documenti/Eventi/2014/14inverti_con_13._legge_1_marzo_1994_conversione_del_decreto_26.pdf;

[5]Cfr. B. Corsi, “Con qualche dollaro in meno. Storia economica del cinema italiano”, 2001;

[6] Decreto legislativo n. 28 del 22 gennaio 2004, disponibile qui: http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/04028dl.htm;

[7] Cit. articolo “Cinema italiano nell’era del Reference System”, disponibile qui: ;

[8] Con l’espressione product placement, in italiano pubblicità indiretta, ci si riferisce a quel tipo di pubblicità che compare in spazi non prettamente pubblicitari, senza essere segnalata come tale, definizione disponibile qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Pubblicit%C3%A0_indiretta;

[9] ricordiamo che, per produttore, si intende, ai sensi della Legge sul Diritto d’autore  n. 633 del 22 aprile del 1941 “chi ha organizzato la produzione” definizione applicabile a opere audiovisive o cinematografiche.

[10] legge 21 maggio 2004 n. 128, disponibile qui: ;

[11] legge n. 220 del 14 novembre 2016, disponibile qui: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/11/26/16G00233/sg;

[12] Cfr. A.Santini, articolo, “Viva il cinema italiano!” Peccato sia nella merda” del 06/02/2015, disponibile qui: http://dailystorm.it/2015/02/06/viva-il-cinema-italiano-peccato-sia-nella-merda/;

[13] L’art 12 del decreto legge n. 42 del 2004 prevedeva che tutti i beni che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, se mobili, o ad oltre settanta anni, se immobili, siano sottoposti all’accertamento dell’interesse culturale attraverso una procedura che prevede l’invio dei dati identificativi e descrittivi delle cose immobili e/o mobili ai fini della valutazione di merito da parte di competenti uffici del Ministero;

Valentina Ertola

Dott.ssa Valentina Ertola, laureata presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma 3 con tesi in diritto ecclesiastico ("L'Inquisizione spagnola e le nuove persecuzione agli albori della modernità"). Ha frequentato il Corso di specializzazione in diritto e gestione della proprietà intellettuale presso l'università LUISS Guido Carli e conseguito il diploma della Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l'Università degli Studi di Roma3. Nel 2021 ha superato l'esame di abilitazione alla professione forense. Collaboratrice per l'area "IP & IT".

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