sabato, Novembre 9, 2024
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Gli Ainu: un popolo (quasi) dimenticato

Carnagione leggermente più scura rispetto al resto dell’arcipelago e corporatura più bassa ma ben più robusta. Sono gli Ainu – “uomini” –, popolazione di 12.000 individui residente nel nord estremo del Giappone, divisa tra l’isola di Hokkaido, le isole Curili e l’isola russa di Sachalin. Dopo più di mezzo secolo di discriminazioni, l’etnia Ainu potrebbe finalmente essere riconosciuta dalla Dieta – il parlamento nipponico – come indigena.

Infatti, il 5 febbraio scorso la proposta di legge è stata discussa in una riunione del Partito liberaldemocratico di maggioranza. Un decisivo passo avanti, poiché la nuova normativa darebbe maggiori diritti alla popolazione, ne accetterebbe le peculiari tradizioni, migliorerebbe il turismo nella zona d’origine oltreché garantirebbe l’apertura di un museo nazionale e parco a Shiraoi, nell’Hokkaido.

L’atto significherebbe, inoltre, il termine di un’epoca di discriminazione, povertà e politiche di assimilazione forzata che hanno messo a rischio la sopravvivenza stessa di questa particolare cultura. Le terre di origine degli Ainu sono diventate parte del Giappone solo con la Restaurazione Meiji nel 1868, a causa della colonizzazione imperiale (kaitaku). Nel 1899 fu introdotta una legge che ne negava la cultura (l’ex legge sulla protezione degli aborigeni) e avviava le politiche di assimilazione alla maggioritaria etnia giapponese. La norma fu abolita solo nel 1997, quando si scelse di promuovere le minoranze. Ora, forse grazie alle prossime Olimpiadi di Tokyo del 2020 e al flusso turistico previsto, la legge nazionale in discussione potrebbe costituire una svolta nella storia tormentata di questo popolo.

Comunque, da sempre il Giappone ha cercato l’estirpazione delle minoranze: il popolo deve considerarsi omogeneo e unito. Ne sono esempio i nippocoreani, discendenti di immigrati dalla vicina penisola, che nel 1939 hanno dovuto rinunciare persino ai loro nomi in favore dell’adozione di uno tsumei, ossia un nome giapponese. Il caso Ainu è ancora più grave: per il loro stile di vita, legato alla caccia e alla pesca e in stretto rapporto con la natura, erano considerati dei barbari. Derisi per il loro aspetto “selvaggio”, anche la loro lingua, incomprensibile alle orecchie nipponiche, li faceva percepire come elemento estraneo. Gli Ainu sarebbero, dunque, dovuti diventare giapponesi tramite la cancellazione della loro lingua madre, della religione animista e delle tradizioni popolari. La situazione cominciò a cambiare quando, nel 1994, Shigeru Kayano, portavoce dell’etnia di Hokkaido, fu eletto in parlamento. Tuttavia, nell’ultima indagine del 2017, il numero ufficiale di Ainu in Hokkaido è di 13.118, meno 3668 unità in quattro anni. A causa delle discriminazioni subite nel corso degli anni, alcuni tra loro sono addirittura riluttanti a rivelare la propria etnia. Perciò, i giapponesi hanno ancora scarsa conoscenza della storia degli Ainu e delle discriminazioni perpetrate contro questo gruppo etnico – secondo un sondaggio del marzo 2016, il 74% dei cittadini non è mai venuto a contatto con questa cultura folkloristica.

Oltre alla scarsa conoscenza, si aggiunge la questione dei diritti. Il Giappone ha sottoscritto la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, ma non ne avrebbe, poi, tutelati alcuni fondamentali agli Ainu. Invece di praticare la conservazione e la promozione delle tradizioni e della loro cultura, il governo avrebbe trascurato la protezione dei diritti individuali e collettivi – diritto all’autodeterminazione e diritto collettivo di vivere in libertà. Dappiù, il Giappone non ha mai eseguito misure per l’applicazione dell’articolo 26 della Dichiarazione, garante del diritto di possedere, utilizzare, sviluppare e controllare la terra e le risorse tradizionali.

Ora, la nuova legge dovrebbe portare a un’eliminazione delle discriminazioni, proteggendone “l’onore e la dignità, per poterli trasmettere alle future generazioni e realizzare una società vivace, con una diversità di valori”, come dichiarato da un portavoce governativo. Nel bilancio 2019, il governo prevede uno stanziamento di 1 miliardo di yen (circa 8 milioni di euro) per finanziare progetti di promozione della cultura locale e per lo sviluppo del turismo. A Shiraoi sarà inaugurato nell’aprile 2020 un museo nazionale Ainu e un parco, con l’ambizioso obiettivo di attrarre un milione di visitatori all’anno.

Ma si tratterà di un autentico riconoscimento dei diritti degli Ainu? Per Tokyo, ancora indietro nel trattamento delle minoranze, questo potrebbe essere un buon banco di prova, al fine di riconoscere anche altri gruppi minoritari e marginalizzati, dai nippocoreani ai burakumin.

 

Sabrina Certomà

Classe 1996, laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università degli studi di Trieste. Studentessa presso la Scuola di giornalismo Lelio Basso a Roma. Collaboratrice dell'area di diritto internazionale con particolare interesse per i diritti umani.

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