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Gli aspetti criminologico-fenomenologici della violenza di genere

La violenza di genere è un fenomeno estremamente complesso, influenzato da molteplici fattori. Tale fenomeno integra una tipologia di violenza (fisica, sessuale, psicologica, economica) rilevante nella sfera privata come nello spazio pubblico e significativa, soprattutto, nelle fattispecie che colpiscono esclusivamente le donne. È un fenomeno che si atteggia con modalità eterogenee e che racchiude al suo interno una serie di fatti di reato di diverso tipo, accomunati dal contesto e dal soggetto passivo cui sono diretti.

Si può dire che la causa di tale fenomeno, o una delle sue molte cause (trattandosi, appunto, di un fenomeno multifattoriale che non ha un’unica causa diretta), sia radicata nella condizione specifica della donna e, segnatamente, nelle condizioni gerarchiche che la circondano, ossia, nelle discriminazioni sistemiche tra i generi determinate da fattori di ordine sociale, culturale, storico e criminologico, che si risolvono in ostacoli al riconoscimento dell’uguaglianza sostanziale tra i sessi e al pieno sviluppo della personalità e delle capacità umane delle donne1.

L’appartenere ad un sesso, quello femminile, è invero uno dei fattori socio-ambientali che può dar luogo ad una predisposizione specifica delle donne a subire certe aggressioni e a diventare soggetti passivi di certi reati. Per questo motivo, la violenza di genere può essere definita sia come fenomeno sociale, legato a ruoli e comportamenti che la società stabilisce per i due sessi, sia come fenomeno culturale, in quanto la cultura contribuisce all’accettabilità sociale della violenza sulle donne ed, in particolare, al modo di percepire e stabilire il rapporto tra i sessi. L’impatto della violenza di genere, peraltro, come anticipato, è riscontrabile non solo sul piano sociologico e culturale, ma anche nelle scienze psicologiche, storiche, criminologiche, giuridiche e antropologiche.

Analizzando il fenomeno da un punto di vista storico, può sostenersi che non si tratta di una violenza nata attualmente, ma di un fenomeno latente nella nostra società come nelle altre; un fenomeno culturale e stratificato, alimentato dalla religione, dalle ideologie e dalla stessa politica dei governi. A titolo di esempio, si pensi al Medioevo, epoca in cui la donna tentatrice veniva identificata come “strega”. È plausibile ipotizzare che si trattasse solo di donne che, già allora, rifiutavano di essere inquadrate nel ruolo che la società attribuiva loro. Proprio questa loro ribellione, però, non poteva essere tollerata. Ogni qual volta, quindi, la donna rifiutava il ruolo che la società le attribuiva, – sia quello di madre amorevole, impegnata nell’accudire i figli e nell’educarli a quelli che un giorno sarebbero stati i loro doveri, sia quello di moglie accondiscendente verso il marito e i suoi desideri, obbligata a rendersi desiderabile oltre che nell’aspetto anche nell’atteggiamento, reprimendo i propri fastidi, istinti e necessità – si rivelava eversiva, sovversiva dell’ordine costituito, in altri termini una “strega”. La donna diventava così un essere demoniaco da punire ed estirpare, come un germe pericoloso che poteva diffondersi a macchia d’olio e contaminare tutto il genere femminile. La violenza, in questo contesto, diveniva come uno strumento di persuasione, di accettazione del ruolo imposto dalla società; come strumento di dissuasione2.

In termini criminologici, la violenza di genere è un fattore di vittimizzazione della donna rispetto ai reati a vittima personalizzata, perpetrati nel circoscritto ambito del rapporto intersubiettivo tra autore e vittima. In quest’ottica, la violenza di genere può collocarsi nella categoria dei reati nella cui motivazione rientra il soggetto passivo per i suoi persistenti rapporti con l’autore3.

Dal punto di vista criminologico, in particolare, tra gli aspetti criminologico – fenomenologici della violenza di genere Mantovani evidenzia, come primo dato, la globalità, in quanto, come risulta dal rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità, essa interessa tutti i continenti: in tutto il mondo, circa un terzo delle donne (ossia oltre un miliardo) ha subito episodi di violenza.

Il secondo dato fenomenologico – criminologico individuato da Mantovani è costituito dall’essere la violenza di genere ed, in particolare il femminicidio, un delitto nel più dei casi non a dolo d’impeto, bensì a dolo di proposito o ancor più spesso, a dolo di premeditazione, in quanto costituisce il tragico epilogo di un percorso di atti persecutori, che sono l’anticipazione di più gravi reati. Secondo la visione dell’autore, non ci si trova quasi mai di fronte ad eventi episodici che culminano immediatamente in atti estremi. Per Mantovani, infatti, gli omicidi di genere, quando vengono perpetrati, sono spesso pianificati e caratterizzati da un dolo di proposito o addirittura di premeditazione. Ad esempio, gli omicidi – suicidi sono spesso delitti che si manifestano in forma apicale, ma che nel tempo sono stati annunciati da quelli che la dottrina definisce “reati spia”: maltrattamenti, atti persecutori, violenza e abuso sessuale. Di fronte alla denuncia di tali crimini sarebbe necessario innescare dei meccanismi di controllo, quanto meno assistenza e recupero, in modo tale da scongiurare gli esiti irreparabili a cui l’omicidio porta.

Un altro dato criminologico – fenomenologico individuato dall’autore riguarda il contesto in cui si scatena la maggior parte della violenza di genere. Esso è costituito da una relazione sentimentale in atto o cessata, nell’ambito cioè di una famiglia legale o di fatto, di una coppia convivente o meno.

Il contesto della violenza, ancora, è la disparità tra uomo e donna, la loro fisiologica differenza negata in sé, nel suo valore e coltivata come disuguaglianza.

Si può, inoltre, sostenere che il contesto della violenza è anche la stratificazione politica, culturale e sociale dove donne e uomini si trovano per lo più parte su fronti contrapposti, comunque diversi.

Il contesto della violenza, infine, è anche quello relazionale. Dentro il sistema di genere, le forme violente si rivolgono con elevata probabilità contro le parti che di volta in volta presentano vulnerabilità e debolezza. Le indagini dell’EURES e dell’ANSA, in particolare, hanno messo in evidenza cinque fattori di vulnerabilità che rendono la donna più esposta alla violenza:

1) comportamento contraddittorio o ambivalente della donna;

2) terrore, inteso come paura di intraprendere un percorso per uscire dalla violenza. Per poter, effettivamente, distaccarsi dalla violenza, occorre la volontà di uscirne fuori, una volontà che è prima di tutto un obiettivo e una responsabilità politica;

3) assenza di servizi e strutture alle vittime;

4) elementi oggettivi che costringono le donne a rivedere chi esercita la violenza;

5) una disabilità fisica o psichica4.

Sul punto, è opportuno evidenziare che l’Italia è ai primi passi della comprensione di tale fenomeno che, citando Arendt, è così scontato da non risultare degno di attenzione5. Allo stesso modo, il nostro è anche un paese in cui le asimmetrie di genere segnano tutti i settori della vita sociale, lavorativa, privata, politica e di partecipazione sociale. Posto questo, risulta chiaro che la rimozione del valore dell’uguaglianza tra i sessi a cui si assiste negli ultimi anni e la diffusione di un linguaggio sessista6 dominante la sfera pubblica lasciano chiari segni di recessione su quella che è apparsa una raggiunta parità formale7.

Altro dato criminologico – fenomenologico riguarda proprio la vittima della violenza di genere che è, generalmente, una donna compresa fra i 35 e i 54 anni, istruita. Le donne che subiscono violenza tendono ad attivare inconsciamente dei meccanismi difensivi di negazione, scissione e rimozione: la donna tende a negare i comportamenti violenti, giustificandoli consequenziali ai propri comportamenti inappropriati; successivamente, tende a tenere separata la sfera emozionale che subisce la violenza, fino ad arrivare a rimuoverla.

La vittima di violenza di genere è, peraltro, ad alto rischio di vittimizzazione secondaria a causa dell’inadeguatezza delle strutture predisposte dal nostro ordinamento a rispondere alle istanze di tutela di questi soggetti passivi. Secondo la vittimologia8, il meccanismo di vittimizzazione secondaria comprende le conseguenze negative derivanti sia dalla relazione che la vittima si trova costretta a intrattenere con le istituzioni e le strutture della giustizia e sia dall’impatto con i giudizi dell’opinione pubblica che si interessa delle vicende giudiziarie tramite le notizie fornite dai mass media, i quali alimentano non solo i sentimenti di insicurezza, ma anche giudizi affrettati. La vittimologia ha operato una distinzione su un piano generale, ma applicabile in qualche misura anche in materia di atti persecutori, tra: 1) vittime reali, quelle, cioè, che hanno subito effettivi atti di persecuzione; 2) vittime false, che dichiarano di aver subito atti persecutori in realtà non subiti. Queste, a loro volta, si distinguono in: a) vittime simulatrici, che per vendetta, ricatto, discolpa, sostengono falsamente di aver subito atti persecutori. Esiste anche il fenomeno dell’inversione dei ruoli, per cui i molestatori, per spirito di vendetta, accusano le vittime di essere autrici di atti persecutori verso di loro; b) vittime immaginarie (rare), che sono convinte di essere vittime di altrui comportamenti persecutori, per disturbi psicopatologici o per la tendenza a fraintendere eventi o incontri, di per sé neutri, come prova della continuazione di molestie subite in passato, a causa di intensi livelli di ansia o di ipervigilanza, provocati dalla precedente esperienza.

Mantovani, a sua volta, distingue le vittime tra:

1) vittime primarie o dirette, che hanno avuto cioè una relazione intima con il molestatore;

2) vittime secondarie o indirette, costituite da persone che hanno rapporti con la vittima (familiari, amici) che subiscono atti persecutori, perché considerate dal molestatore un ostacolo a costruire o a continuare la relazione con la vittima primaria9.

Sulla base di quanto appena esposto in ordine alla vittima si può, quindi, evincere che la violenza è un evento talmente traumatico da produrre importanti conseguenze nell’area cognitiva, emotiva, comportamentale e corporea del soggetto. Per questo motivo, si rende necessario un approccio multilivello da attuare anche mediante gruppi di sostegno e aiuto alle vittime.

L’ultimo dato criminologico – fenomenologico individuato da Mantovani è l’autore di queste violenze. Trattasi di mariti, conviventi, ex partner, persone mature tra i 35 e i 45 anni, non primitive, rozze, psicopatiche ma istruite. Sotto il profilo psichiatrico, gli autori di reati di genere sono normalmente soggetti capaci di intendere e di volere, quindi imputabili, e perciò punibili. Rari sono i casi di stalker soggetti a disturbi psichiatrici o con anomalie patologiche della personalità, trattandosi in genere di soggetti che agiscono per motivazioni relazionali quali, ad esempio l’incapacità di accettare ed elaborare cognitivamente l’abbandono di persone significative o il desiderio di vendetta. Questi soggetti presentano quasi sempre una mentalità e uno strato educativo di stampo maschilista e patriarcale, tale per cui considerano inaccettabile che la compagna o la moglie possa aspirare ad avere un’indipendenza sul piano economico, sociale e lavorativo. Essi cercano di gestire in modo paranoico e maniacale ogni aspetto della vita della compagna attraverso continui controlli sui suoi movimenti, frequentazioni e su ogni tipo di attività svolta in assenza dell’autore stesso. L’eventuale perdita di controllo ha come conseguenza la violenza.

Rilevanza psichiatrica, invece, presenta il delirio eteromaniacale, consistente nell’erronea convinzione del soggetto di essere amato o addirittura di vivere una relazione amorosa con persone che non hanno mai manifestato alcun sentimento amoroso verso di lui. Tale delirio si sviluppa in tre fasi:

1) speranza che l’amato dichiari il proprio amore;

2) delusione del riscontro dell’inesistenza dell’amore da parte dell’amato, con caduta in depressione, sviluppi di aggressività e, talora, con tendenze suicide;

3) rancore, con aggressività verso la persona amata, fino, anche se in casi più rari, all’omicidio.

Gli autori di tali violenze possono essere anche soggetti affetti da un disturbo della personalità ed, in particolare, dal disturbo borderline, o dal disturbo paranoideo.

Il primo è caratterizzato da una penetrante influenza in tutti gli aspetti della vita: il soggetto ha un’altalenante opinione di sé e degli altri, con tendenze repentine all’iperidealizzazione e alla svalutazione. Tali soggetti soffrono di sindrome dell’abbandono e sono instabili emotivamente e a livello affettivo.

Il secondo disturbo caratterizza soggetti particolarmente diffidenti nei confronti degli altri. L’autore di violenza di genere affetto dal disturbo paranoide pensa continuamente di aver subito tradimenti, ha pensieri negativi e di persecuzione e cova rancore nei confronti di chi gli ha rivolto un’offesa. Tale soggetto ritiene che la compagna sia ingrata nei suoi confronti e vede nell’omicidio lo strumento per far cessare queste macchinazioni a suo sfavore. La violenza è, quindi, uno strumento liberatorio e di punizione per le umiliazioni che crede la compagna gli abbia inflitto.

In conclusione, nel fenomeno della violenza di genere sono comprese tutte le forme di violenza: non solo quelle commesse sulla donna dall’uomo “perché donna”, ma anche quelle sociali, economiche e istituzionali volte al suo annientamento fisico o psicologico, che non necessariamente si concludono con la morte e quindi con il femminicidio. Tale termine, invero, compare soltanto in epoca recente, ma è una parola che in realtà indica un fenomeno vecchio, profondamente radicato nella storia e spesso legittimato a livello culturale; un fenomeno sempre esistito, in tutte le culture, soprattutto in ambito familiare, ignorato o sottovalutato e solo da poco percepito come intollerabile e oggetto di denuncia sociale in tutta la sua diffusione e drammaticità.

1 A. Merli, Violenza di genere e femminicidio, articolo pubblicato su “Diritto Penale Contemporaneo”, 10 gennaio 2015, pag. 14, disponibilie qui: . La Raccomandazione Rec (2002) 5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri sulla protezione delle donne dalla violenza ribadisce che “la violenza contro le donne deriva da rapporti di forza impari tra uomini e donne, e costituisce un attacco ai loro diritti di persone umane e alle loro libertà fondamentali e impedisce loro, in parte o totalmente, di esercitarli”.

2 La violenza di genere, pagg. 6-7, disponibile qui https://core.ac.uk/download/pdf/79617553.pdf.

3Sul concetto di vittimizzazione, cfr. F. Mantovani, Diritto penale, CEDAM, 2013, p.335: “La vittimizzazione è la nuova branca che si propone di stabilire l’incidenza della vittima, per ciò che essa è o per ciò che essa fa, nella genesi e dinamica del delitto”.

4 La violenza di genere, cit., pagg.38-39.

5 H. Arent, Sulla violenza, Guanda, Parma, 2001.

6 Farina F., “Ruby und die andern: Die italienische Politik in den Zeiten der Ver-Marktung”, Homme European Review of Feminist History on “Spektakel “vol.23, n. 1 ,2012 , pagg. 123-127.

7 F. Farina, Sulla violenza di genere. Esperienze e rappresentazioni delle universitarie dell’ateneo di Urbino, articolo pubblicato su “Vittimologia.it”, 2013, pag. 47, disponibile qui: https://www.vittimologia.it/rivista/articolo_farina_2013-02.pdf .

8 La vittimologia è la scienza che attraverso ricerche empiriche studia le caratteristiche, i rapporti, le interazioni tra vittima e autore di reato. Ivi, p. 36.

9 F. Mantovani, La violenza di genere sotto il profilo criminologico-penale, articolo pubblicato su “Edizione ETS”, p. 62, disponibile qui: in http://www.edizioniets.com/criminalia/2013/pdf/01-4-Mantovani2.pdf,. (Il presente scritto è il testo della relazione tenuta al convegno su “Violenza e femminicidio: diritto vigente?”, Firenze 20 Novembre 2013, organizzato da Avvocatura Indipendente).

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Claudia Graziano

Avvocato penalista, esperta in scienze forensi Claudia Graziano nasce a Catanzaro il 18/07/1989. Si laurea in Giurisprudenza presso l'università "La Sapienza" di Roma il 16/06/2015 con una tesi in criminologia dal titolo:" Evoluzione storico-criminologica dei metodi d'indagine investigativa nel sistema penale italiano". Sia durante il percorso di studio che successivamente ha approfondito le sue passioni seguendo vari corsi di formazione in ambito criminologico ed in particolare: sulle tecniche di identificazione di un soggetto nel processo penale, sull'analisi della scena del crimine, sui serial killer e molti altri ancora. Dopo la laurea decide di svolgere il tirocinio per lo svolgimento della pratica forense presso uno studio legale, occupandosi sia di diritto civile che di diritto penale. Quasi al termine del tirocinio, Claudia ha voluto approfondire le materie di suo interesse. Ha, così, iniziato un Master di II livello Scienze forensi (criminologia, investigazione, intelligence, security) presso l'università "La Sapienza" di Roma . Ha concluso tale percorso il 17/02/2018 con una tesi in intelligence dal titolo:" Cyber Humint: il quadro normativo e l'applicabilità nel sistema penale italiano" e con una votazione di 110/110. Nello stesso anno in data 6.12.2018 sostiene l'esame di abilitazione alla professione forense presso la Corte d'Appello di Catanzaro risultando idonea con una votazione di 270/300. Dal 1.07.2019 ha iniziato a collaborare presso uno studio legale sito in Roma occupandosi della redazione di atti giuridici, svolgendo sia attività amministrativa che di organizzazione dello studio. Dal 23.01.2020 è iscritta all'ordine degli avvocati di Roma. Attualmente svolge la professione di avvocato presso uno studio legale sito in Roma. Collabora per l'area di criminologia di Ius in Itinere.

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