venerdì, Marzo 29, 2024
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Gli atti di liberalità non negoziali

Oggi, dottrina e giurisprudenza prevalenti ammettono, nell’ambito delle liberalità, l’esistenza di liberalità di natura non negoziale che si compiono attraverso la predisposizione di atti in senso stretto o meri fatti giuridici o persino comportamenti positivi o negativi, volti al raggiungimento del medesimo risultato che si ottiene mediante una liberalità di tipo negoziale.

   Le fattispecie tradizionalmente inquadrate sotto l’ambito delle liberalità non negoziali sono:

  1. costruzione, semina o piantagione su suolo altrui ex art. 936 c.c., in modo che il proprietario del suolo acquisti la proprietà dell’edificio o della piantagione per accessione;
  2.  astensione volontaria dall’esercitare un diritto al fine di permettere che maturi l’usucapione a vantaggio del possessore;
  3. lasciar decorrere la prescrizione a favore del debitore;
  4. l’ipotesi disciplinata dall’art. 179, 1° comma, lett. f), c.c., in tema di comunione legale: il coniuge che acquista un bene con «il prezzo del trasferimento dei beni personali o col loro scambio», se omette di dichiarare espressamente – all’atto di acquisto – che tale bene rientra tra quelli personali, è acquisito in comunione, ricavandone l’arricchimento in capo all’altro coniuge.

   Nelle ipotesi di cui sopra, la liberalità si delinea attraverso un effetto legale che consiste nell’acquisto di un diritto, spesso un diritto reale o di un’eccezione da parte di un soggetto la cui sfera giuridico-patrimoniale risulta accresciuta. Dunque, il risultato finale, empiricamente inteso, è analogo a quello delle liberalità negoziali.

   In dottrina, tuttavia, vi sono orientamenti contrastanti in merito alla questione della natura giuridica di tali casi.

   Un’autorevole dottrina esclude che suddette ipotesi siano riconducibili nell’ambito delle liberalità non negoziali, inquadrandole, viceversa, nell’ambito delle liberalità negoziali, e specificamente in quello della rinunzia: a seconda dei casi, rinunzia all’indennità o al rimborso previsto dall’art. 936 c.c., rinunzia al diritto di interrompere l’usucapione o ad esercitare il diritto soggetto a prescrizione [1].

   Tuttavia, il ricorso alla rinunzia è apparso forzato e poco aderente con il reale intento delle parti; a tal proposito, si è detto che colui che costruisce su un terreno altrui, nella maggior parte dei casi, vuole che il proprietario del suolo si avvantaggi della costruzione e non dell’importo dell’indennità considerata nell’art. 936 c.c.

   Un secondo orientamento ritiene che un atto non negoziale possa avere luogo donationis causa perché questa possibilità risulta contemplata dal tenore letterale dell’art. 809 c.c. che parla genericamente di atti. Tali comportamenti rientrerebbero a far parte delle liberalità in quanto «preordinati al fine di determinare arricchimento e tenuti per spirito di liberalità»[2], dotati, quindi, dei caratteri essenziali delle liberalità tutte.

   Un’ultima soluzione dottrinale è quella fatta propria da chi sostiene che le fattispecie esaminate possono considerarsi delle rinunce e quindi, di conseguenza, identificare la liberalità con queste ultime; si ammette, però, la possibilità che nell’attività delle parti la liberalità «si sostanzi in un accordo, determinante ai fini della liberalità, tra beneficiante e beneficiato che investe l’oggetto immediato dell’implantatio o dell’inaedificatio, in altri termini delle piante o dei materiali»[3]. La volontà in capo ad entrambi i soggetti, proiettata al risultato liberale, si somma alla condotta tenuta – compresa quella omissiva idonea a far maturare l’usucapione o la prescrizione – alla quale è collegata un “effetto acquisitivo legale”, tale da far apparire l’attribuzione liberale come la risultante di un fenomeno complesso.

   Questo effetto si risolve in un acquisto prodotto per volontà legislativa da una fattispecie, appunto, non negoziale. Il comportamento che conduce alla fattispecie acquisitiva legale, deve essere sostenuto dal profilo della volontarietà e del c.d. animus donandi.

   Tuttavia, la suddetta fattispecie acquisitiva legale, in sé considerata, non trova totalmente corrispondenza nella liberalità: un contegno umano incosciente o involontario potrebbe concorrere al perfezionarsi dell’accessione o al maturarsi dell’usucapione, ma non integra elemento di un’ipotesi qualificabile come atto di liberalità. Non si può escludere affinità di situazioni, tra chi dona ad altri un proprio bene e chi, ad esempio, immette qualcheduno nel possesso di un proprio bene, concedendogliene l’acquisto per usucapione al termine del periodo previsto dalla legge: l’omogeneità di intenti e risultato sono i medesimi, sia che si parli di donazione vera e propria, sia nel caso delle ipotesi in questione.

   Dunque, se la volontà non è essenziale per il perfezionamento dell’accessione, dell’usucapione o della prescrizione, risulta invece imprescindibile affinché possa parlarsi di atto di liberalità e possa applicarsi, di conseguenza, la disciplina dell’art. 809 c.c.

   L’ipotesi ordinaria è quella in cui la liberalità emerge da un accordo sulla natura dell’operazione e sul significato (liberale) da attribuirle. Il problema si pone quando lo spirito di liberalità non è stato esternato e risulta ignoto, perché anche in questo caso se tutti gli elementi della fattispecie legale si realizzano, si produce, comunque, anche l’effetto acquisitivo in favore del beneficiario.

   È chiaro che l’effetto acquisitivo può essere considerato un effetto liberale solo in quanto quegli stessi comportamenti, necessari a produrlo, siano tenuti volontariamente e siano deliberatamente volti a realizzare un interesse liberale[4].

   A monte della qualificazione in termini di liberalità di tali fattispecie legali, vi è una manifestazione di autonomia privata sottesa all’interesse delle parti ad attribuire per loro volontà il valore di atto di liberalità all’acquisto ex lege.

   Tale “attribuzione di significato” rievoca la figura del c.d. accordo configurativo, considerato espressione massima del potere di autonomia privata, in cui le parti concordemente definiscono la ragione giustificativa in merito ai futuri comportamenti da attuarsi liberamente, essenziali in vista del conseguimento di un risultato inteso come arricchimento del beneficiario.

   Al di là di questo, si consideri che se l’acquisto è qualificato in termini di liberalità, resterà assoggettata a tutta la disciplina che risulterà propria delle liberalità (come ad esempio quella in materia di riduzione ex art. 809 c.c.), eventualmente adattata alle peculiarità delle fattispecie non negoziali. Inoltre, la qualifica liberale al complesso dell’operazione non determina l’elusione di alcuna norma, solo l’aggiunta di una ulteriore disciplina a tutela delle parti e dei terzi[5].

[1] A. TORRENTE, La donazione, cit., p. 23 ss.; U. CARNEVALI, Le donazioni, in AA.VV., in P. Rescigno (a cura di), Trattato di diritto privato, Torino, 1997, vol. VI, t. II  p. 448.

[2] B. BIONDI, Le Donazioni, in Trattato di diritto civile, diretto da F. Vassalli, XII, 4, Torino, 1961, p. 1011.

[3] A. PALAZZO, Le donazioni, in Il codice civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, 2ª ed., Milano, 1996, p. 643.

[4] V. CAREDDA, Le liberalità diverse dalla donazione, Torino, 1966, p. 223.

[5] Ivi, p. 232.

Dott.ssa Vincenza D'Angelo

Vincenza ha conseguito a pieni voti la Laurea magistrale in Giurisprudenza nel 2016 presso l'Università degli Studi "Roma Tre", discutendo una Tesi in Diritto delle Successioni dal titolo "Liberalità indirette e tutela  dei legittimari". Ha svolto la pratica forense e collaborato proficuamente negli studi legali nell'ambito del diritto civile, occupandosi prevalentemente di contenzioso. Nel 2021 ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della Professione forense. Contatti: vincenzadangelo@yahoo.it

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