giovedì, Aprile 18, 2024
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Gli atti gestori con interessi primordiali: verso il riconoscimento (o la negazione) di competenze assembleari implicite

a cura di Simone D’Alessandro

1. Introduzione

Le disposizioni che permettono di tracciare il confine tra le competenze dell’organo amministrativo e dell’assemblea dei soci, nell’ambito delle società per azioni, sono gli att. 2364 co. 1° n. 5 cc. e 2380-bis co. 1° cc.[1]. La prima prevede che l’assemblea sia legittimata a pronunciarsi su tutte le altre materie attribuite alla sua competenza dalla legge nonché sulle autorizzazioni, da rendere agli amministratori, su questioni gestorie in conformità allo statuto, ferma restando la responsabilità per gli atti posti in essere dall’organo amministrativo; la seconda sancisce il principio secondo cui la gestione della società spetti esclusivamente agli amministratori. Al fine di comprendere al meglio la portata di dette disposizioni, non si può prescindere dall’analisi della previgente disciplina: l’art. 2364 co. 1° n. 4 cc. prevedeva infatti tanto la possibilità per lo Statuto di indicare materie gestorie attribuite alla competenza dell’assemblea, quanto la facoltà degli amministratori di rimettere alla decisione dei soci questioni gestorie[2]. Ne discende che, ad oggi, né lo statuto né gli amministratori, possono più rimettere all’assemblea la competenza di decidere il compimento di atti gestori[3]. L’unico caso in cui, invece, ciò potrà accadere sarà per espressa previsione legislativa: di conseguenza la regola generale è la rigida divisione di attribuzioni, le eccezioni sono le singole deroghe legislative.

Elemento qualificante della riforma è l’impego del termine “autorizzazione”, in luogo del precedente “decisione”. Da ciò ne derivano due conseguenze: i) viene preservata la discrezionalità degli amministratori, i quali saranno liberi di decidere se concretizzare o meno l’atto per il quale abbiano ottenuto l’autorizzazione, ii) anche laddove l’autorizzazione sia stata concessa permane la responsabilità degli amministratori[4].

In questo contesto normativo ci si chiede se sia possibile immaginare delle fattispecie in cui gli amministratori siano obbligati a coinvolgere l’assemblea dei soci prima di compiere atti gestori, in particolare le cd. operazioni con interessi primordiali.

Si tratterebbe di operazioni che, se da un punto di vista meramente qualitativo sono qualificabili come gestorie, in quanto funzionali al compimento dell’oggetto sociale, da quello qualitativo incidono così profondamente sulla struttura o sull’organizzazione della società, da non poter dipendere dalla mera decisione degli amministratori[5]. In questo caso, quindi, parte della dottrina prospetterebbe un obbligo per il cda o per l’amministratore unico di rimettere la questione all’assemblea, al fine di ottenere debita autorizzazione.

In realtà l’istituto delle competenze assembleari implicite è stato dapprima teorizzato dalla giurisprudenza tedesca. Nel panorama ermeneutico nostrano non troviamo univocità sul punto, ed entrambe le tesi, favorevole e contraria, sono autorevolmente sostenute. Di conseguenza, dopo aver analizzato l’ambito in cui si iniziò a parlare di interessi primordiali dei soci, verranno riportati i principali argomenti addotti da entrambe le parti (pro e contro), dai quali poi trarre una serie di conclusioni.

2. La giurisprudenza tedesca in materia di competenze assembleari implicite

Prima di addentrarci nell’analisi del dibattito dottrinale interno, sembra utile dedicare qualche parola al contesto in cui per la prima volta si parlò di competenze assembleari implicite. Queste nascono per soddisfare due esigenze: attenuare la rigida separazione tra competenze della proprietà e dei gestori della società e coinvolgere i soci nelle decisioni più importanti. L’ordinamento di riferimento è quello tedesco, il quale è caratterizzato, nell’abito delle società azionarie, del modello dualistico. La legge azionaria prevede la compresenza di un consiglio di gestione e di un consiglio di sorveglianza, nel quale sono rappresentati anche i lavoratori della società (cd. cogestione) e che, oltre a svolgere le funzioni di vigilanza interna, compartecipa alla gestione[6].

In Germania la fattispecie in esame è stata il frutto di una lenta evoluzione, la quale è stata così ricostruita in dottrina[7]: la prima fase prende abbrivio dalla cd. dottrina Holzmüller, sorta in seguito a una pronuncia del BGH. In questa sentenza si disponeva che tutte le volte in cui il consiglio di gestione avesse dovuto decidere su questioni strutturali (in questo caso una scissione), avrebbe dovuto previamente richiedere l’autorizzazione dell’assemblea dei soci. La pronuncia in esame non fu tuttavia priva di conseguenze pratiche: gli amministratori di S.p.A. assunsero condotte difensive per evitare di incappare in responsabilità[8]. Alla luce di dette prassi seguì la seconda fase, nella quale si tentò di limitare l’ambito operativo della dottrina Holzmüller. Se ne statuì  l’applicazione alle sole operazioni che avrebbero inciso in modo non trascurabile sul patrimonio sociale e sulla struttura della società. Da ultimo, invece, con le Sentenze Gelatine veniva statuito che la competenza assembleare implicita dovesse trovare applicazione solo nei casi in cui l’operazione intaccasse una determinata percentuale del capitale sociale o il valore delle azioni o il loro rendimento.

Una precisazione è tuttavia necessaria: nell’ambito del diritto societario tedesco questi principi si pongono in linea di continuità con il dato positivo. Il §119 della legge azionaria prevede la competenza dell’assemblea a pronunciarsi, su richiesta degli amministratori, per rendere autorizzazioni su atti gestori, con esonero da responsabilità nel caso in cui dal compimento dell’atto autorizzato ne derivi un danno alla società[9]. A differenza dall’ordimento italiano, quindi, in questo caso è il consiglio di amministrazione ad avere l’iniziativa (e non è richiesta una apposita previsione statutaria) ed inoltre una volta che l’autorizzazione sia resa gli amministratori non hanno alcuna discrezionalità, si stratta quindi di una decisione facoltativa ma vincolante. Nell’ordinamento interno, invece, anche qualora l’assemblea dovesse pronunciarsi per rendere una autorizzazione per il compimento di un atto gestorio, non solo il cda rimane libero di darvi o meno attuazione, ma qualora dovesse procedere rimarrebbe comunque responsabile per eventuali danni.

3. Il dibattito italiano sulle cd. operazioni con interessi primordiali

L’annosa questione delle competenze assembleari implicite sorge nel panorama dottrinale interno nella vigenza della vecchia formulazione dell’art. 2364 cc.. In particolare, ci si chiedeva se gli amministratori, oltre a poter decidere discrezionalmente se rimettere la decisone di una fattispecie gestoria all’assemblea, avessero anche l’obbligo di rimettere la scelta alla volontà dei soci in tutti quei casi in cui fossero coinvolti gli interessi primordiali[10]. In questo contesto si argomentò[11] nel senso della sussistenza dell’obbligo in parola. In particolare si sosteneva che così come l’institore, nell’ambito della rappresentanza commerciale dell’imprenditore, non potesse ipotecare o alienare i beni dell’imprenditore[12] (ex art. 2204. 1° co. Cc.) e di conseguenza compiere tutti gli atti che incidessero radicalmente sull’impresa, gli amministratori non potessero compiere atti che, per la portata o la natura, comportassero un mutamento sensibile della struttura o della organizzazione della società[13]. Si propone quindi una proporzione per cui i limiti ai poteri dell’institore stanno ai poteri dell’imprenditore come i limiti ai poteri degli amministratori stanno alla necessaria delibera assembleare.

La riforma del 2003, con le modifiche apportate all’art 2364 cc., ha fatto rinascere il dibattito sul punto, messo in crisi da un dato testuale che non si presta tanto facilmente a simili interpretazioni. La dottrina, tuttavia, si è dimostrata particolarmente audace, si cercherà quindi nel prosieguo della trattazione di individuare gli argomenti dedotti dagli autori che hanno sostenuto le diverse opinioni in materia.

3.1 La tesi contraria

Vari sono gli autori che si sono espressi contrariamente alla tesi che veniva autorevolmente sostenuta  prima della riforma del 2003, anche alla luce di un dato normativo permissivo in tal senso. Una prima interpretazione[14] nega la dottrina degli interessi primordiali non tanto sulla base dell’evoluzione del dato normativo, che non prevede più la possibilità di una remissione all’assemblea di decisioni gestorie (quantomeno discrezionalmente da parte degli amministratori), ma piuttosto tramite la disposizione cui all’art. 2380 bis cc. Si è già osservato come questa norma preveda l’esclusiva competenza degli amministratori nella gestione della società e ciò non lascerebbe alcun spazio per una competenza assembleare implicita in materie (sebbene solo qualitativamente) gestorie. L’autore quindi (con una chiarissima reductio ad absurdum) fa notare come se si procedesse diversamente l’obbligo di agire in forma diligente richiesto agli amministratori si ridurrebbe in un mero obbligo procedurale: rimettere le questioni più importanti nell’attività della società all’assemblea dei soci. Ciò non vuol dire, tuttavia, che gli interessi primordiali dei soci non debbano trovare alcuna forma di tutela, infatti  giungendo alla pars contruens, l’autore ritiene che il coinvolgimento dei soci possa avvenire qualora così si interpreti il dato normativo: i) ritenere che le operazioni che coinvolgano interessi primordiali non rientrino nella dizione gestione della società cui all’art. 2380 bis cc. ii) Ricercare la fonte di questo obbligo degli amministratori non già sulla base dell’art. 2364 5° co. Cc., ma piuttosto nell’interpretazione analogica di altre competenze assembleari esplicitamente previste. Così facendo gli interessi primordiali dei soci sarebbero tutelati sulla base di espresse previsioni normative, senza la necessità di ricorrere a ricostruzioni implicite.

A questa possiamo aggiungere un’altra interpretazione[15] che sembra invece assumere una posizione molto più radicale. Secondo questo autore, infatti, la teoria in esame da una parte renderebbe del tutto incerto il limite tra le competenze dell’assemblea e quelle del cda (d’altra parte fu questo il motivo che portò in Germania al superamento della teoria Holzmüller), dall’altro non gioverebbe né ai soci di maggioranza, né ai soci di minoranza, né ai terzi. I soci di maggioranza, infatti, potrebbero sanzionare l’eventuale gestione sgradita con la revoca degli amministratori. Se si ritenesse invece che l’istituto in esame sia posto a tutela dei soci di minoranza, ebbene questi non sarebbero tutelati neanche da una previa delibera dell’assemblea, in quanto l’assemblea decide sempre e comunque con le maggioranze previste agli artt. 2368 ss. cc. Da ultimo anche volendo riconoscere la prerogativa assembleare, l’eventuale violazione dell’obbligo porterebbe ad una tutela meramente risarcitoria, visto il regime di favor dettato per i terzi dall’art. 2384 cc[16].

In un’ottica sistematica è stato notato come, la riforma del 2003, nell’ambito delle S.p.A., abbia deciso di sottrarre, al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge, qualsiasi decisione gestoria all’assemblea dei soci (a differenza di quanto avvenuto per le S.r.l. dove i confini assemblea/ amministrazione sembrano essere assai labili). Questa lettura complessiva porterebbe dunque a concludere per un tramonto della teoria delle operazioni con interessi primordiali[17].

 3.2 la tesi favorevole

La tesi favorevole alle competenze assembleari implicite viene autorevolmente sostenuta anche da autori[18]  che, seguita l’evoluzione normativa del diritto societario, non ritengono siano intervenute modifiche tali da giustificare un totale abbandono dell’istituto. La strategia che viene quindi seguita è quella di ricercare tra i meandri del diritto societario, quelle norme che farebbero trasparire una competenza assembleare ogniqualvolta siano rintracciabili degli interessi primordiali, per fare poi di ciò una regola generale. Tra queste rientrerebbe innanzitutto la disposizione cui all’art. 2446 1° co. cc., nel quale viene disciplinata la riduzione obbligatoria del capitale sociale per perdite. In questo caso gli amministratori (o in loro inerzia il collegio sindacale) devono convocare l’assemblea affinché questa adotti gli opportuni provvedimenti. Tra questi ultimi rientrerebbero anche atti gestori, in questo caso approvati dai soci (ad es. riduzione del personale, chiusura di uno stabilimento). Argomenti fondamentali sarebbero tuttavia i due commi dell’art. 2361 cc. il primo disciplina l’assunzione da parte di una S.p.A. di partecipazioni in altre società (vietata al primo comma se per la misura e per l’oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l’oggetto sociale), il secondo più nello specifico l’acquisizione di partecipazioni in altre società che comportino la responsabilità illimitata della società partecipante (deve essere autorizzata dall’assemblea).   Ebbene secondo questi autori si potrebbe addivenire ad una interpretazione analogica delle disposizioni in esame al fine di affermare che ogniqualvolta sia possibile riscontrare, nelle conseguenze di un atto gestorio, una modifica sostanziale dell’oggetto sociale o l’assunzione di un rischio potenzialmente illimitato, la decisione spetterebbe ai soci.

4. Riflessioni conclusive

Sebbene entrambe le teorie sopra riportate appaiano convincenti e sorrette da argomenti validi, ad avviso di chi scrive risulta più convincente la tesi negativa. La ragione di questa preferenza è ravvisabile nella lettura storica del dato normativo. Infatti, se prima del 2003 la discussione ruotava introno alla configurabilità dell’obbligo degli amministratori di rimettere decisioni gestorie all’assemblea, dopo la riforma si deve innanzitutto verificare se gli amministratori mantengano detta facoltà e solo dopo sarà possibile verificare se possa configurarsi un obbligo in tal senso. A tal proposito, argomento fondamentale sarebbe la circostanza per cui sebbene la dottrina ammetta la facoltà dei soci di rimettere questioni all’assemblea, la decisone dei soci costituirebbe un mero parere, né obbligatorio né vincolante, a differenza di come accadeva prima della riforma[19]. Non si capisce come quindi queste autorizzazioni possano passare da essere meramente indicative a vincolanti, sulla base di un criterio non tipizzato e del tutto arbitrario cioè quello degli interessi primordiali dei soci. Inoltre se proprio i soci volessero avere la garanzia, a fini di una maggiore tutela, di essere coinvolti nelle operazioni più importanti nella gestione della società potrebbero sfruttare pur sempre la disposizione cui all’art. 2364 1° co. n. 5, introducendo nell’atto costitutivo una clausola ad hoc, che obblighi gli amministratori alla previa richiesta di una autorizzazione.

In riferimento a quella parte di dottrina che deduce le competenze assembleari implicite sulla base di altre disposizioni di legge che attribuiscono funzioni gestorie all’assemblea, si può ritenere che operino un’inversione logica del dettato normativo. Infatti, tutte queste disposizioni, altro non sono che l’attuazione della disposizione dell’art. 2354 1° co. n. 5 cc., laddove prevede che l’assemblea sia comunque competente a pronunciarsi in tutti gli altri casi previsti dalla legge. Sebbene questa disposizione possa sembrare tautologica, in realtà nasconde un significato più profondo: al cda spetta esclusivamente il potere di gestire la società (in conformità all’art. 2380-bis cc.), salvo nel caso in cui non sia la legge a prevedere che decisioni gestorie vengano assunte dall’assemblea dei soci. Di conseguenza, ad avviso di chi scrive, dalle norme citate non si può indurre una regola generale implicita, ma, nella logica codicistica, rappresentano l’esplicazione di una regola di base. Pertanto, non si può ritenere che le norme in esame siano poste a fondamento di una regola generale implicita, ma al contrario siano delle deroghe che il legislatore appone a una regola esplicita: la gestione della società spetta esclusivamente agli amministratori[20].

Bisogna inoltre considerare la disciplina dettata in materia di S.r.l.: qui il legislatore ha appositamente previsto che l’assemblea sia inderogabilmente competente a decidere il compimento di operazioni che comportino una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale o una rilevante modificazione dei diritti dei soci (art. 2497, 2° co. cc.)[21]. In questa clausola troviamo la descrizione dell’oggetto della ricerca fino a questo momento condotta, con la differenza che è il legislatore a prevedere espressamente l’obbligo della decisone dell’assemblea dei soci. Se letto alla luce del noto brocardo Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, se ne deve dedurre che, non essendovi analoga disposizione in materia di S.p.A., non vi sarebbe spazio gli interessi primordiali dei soci[22]. Inoltre bisogna tenere in considerazione che questa disposizione si giustifica nell’ambito delle s.r.l. visto il rapporto molto più dinamico e molto meno rigido intercorrente tra i soci e gli amministratori. In particolare non troviamo una disposizione simile all’art. 2380-bis cc.[23]: con ciò non si esclude che i poteri gestori in generale spettino al cda, ma si sostiene che non viene prevista una esclusività di competenze in materia gestoria[24]. Basti pensare che è possibile che l’atto costitutivo preveda che su questioni gestorie competente a decidere sia l’assemblea dei soci (ex art. 2479 1° co. cc.), o un singolo socio (ex art. 2468 3° co. cc.)[25]. Proprio alla luce di questa flessibilità organizzativa si giustifica la differenza di disciplina tra S.r.l e S.p.A.

Si può dunque concludere affermando che, alla luce della riforma del diritto societario del 2003, non vi sarebbero elementi sufficienti per potere ritenere fondata una possibile competenza assembleare implicita, anzi nella sistematica complessiva, potrebbe leggersi un depotenziamento del ruolo dell’assemblea dei soci nella governance societaria[26].

[1] G. F. Campobasso, Diritto Commerciale, Diritto delle società, vol. 2, Utet, 2020, p. 356

[2] M. Irrera (diretto da), Diritto del governo delle società per azioni e delle società a responsabilità limitata, estratto da M. Irrera (diretto da), Diritto del governo delle imprese, Giappichelli, 2020 pp. 21-22

[3] G. Presti, M. Rescigno, Corso di diritto commerciale, Zanichelli, 2021, p. 481

[4] G. F. Campobasso, Diritto commerciale, Diritto delle società, vol.2, cit., p. 358 secondo il quale la discrezionalità degli amministratori a disattendere l’autorizzazione sarebbe limitata ai soli casi in cui questa possa comportare una violazione dei loro doveri. Più ampia è invece l’interpretazione in G. Presti, M. Rescigno, Corso di diritto commerciale, cit. p. 481, in cui si ritiene che anche quando l’autorizzazione sia stata resa la discrezionalità degli amministratori rimanga piena.

[5] M. Irrera (diretto da), Diritto del governo delle società per azioni e delle società a responsabilità limitata, cit., pp. 20-21

[6] E. Pederzini (a cura di), Percorsi di diritto societario europeo, Giappichelli, 2020, pp. 267 ss.

[7] Idem, pp. 313 ss.

[8] Cfr. M. Rondinelli, Il sistema dualistico in Germania e in Italia: il consiglio di gestione, in Contratto e impresa, vol. 22, fasc. 6, 2006, p. 1530, in cui l’autore, nella ricostruzione dello sviluppo giurisprudenziale in materia, osserva come la cd. dottrina Holzmüller non tipizzasse i casi in cui l’autorizzazione fosse necessaria. Così gli amministratori interessavano l’assemblea anche di questioni che, in modo manifesto, non comportavano in alcun modo una modifica rilevante della struttura societaria. Questo comportava un allungamento dei tempi necessari al fine di compiere gli atti gestori e un aumento dei costi sostenuti dalla società per lo svolgimento della seduta dell’assemblea straordinaria.

[9] Idem, pp. 1529-1530

[10] R. Lener, A. Tucci, Società per azioni, L’assemblea, Giappichelli, 2012, pp. 37-38

[11] P. Abbadessa, L’assemblea: competenza, in G. E. Colombo, G.B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, vol. 3*, UTET, 1994, pp. 11 ss.

[12] Sui limiti ai poteri dell’institore Cfr.  A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, 2019, p. 1015; M. Montanari, E. Pederzini, L’imprenditore e il mercato, Giappichelli, 2020, p. 100; G. Presti, M. Rescigno, Corso di diritto commerciale, cit., p. 46

[13] P. Abbadessa, L’assemblea: competenza, cit., p. 14

[14]  V. Pinto, Funzione amministrativa e diritti degli azionisti, Giappichelli, 2008, p. 40, nota 104

[15] M. Libertini, Scelte fondamentali di politica legislativa e indicazioni di principio nella riforma del diritto societario del 2003. Appunti per un corso di diritto commerciale, Riv. Dir. Soc., 2008, fasc. 2, nota 58

[16] Ad avviso di chi scrive sarebbe poi del tutto incongruo ritenere che la previa deliberazione dell’assemblea debba intendersi come un limite legale e in quanto tale sempre opponibile ai terzi. Così facendo si andrebbe chiaramente contro ai principi generali deducibili dalle norme dettate in materia di rappresentanza degli amministratori di S.p.A. ed inoltre alla prima direttiva societaria europea (Direttiva 151/68/CEE del 9 marzo 1868, di cui la disciplina ad oggi vigente costituisce attuazione).

[17] A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, commento sistematico al D. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 aggiornato al D. lgs. 28 dicembre 2004, n. 310, CEDAM, 2005, p. 447

[18] P. Abbadessa, G. B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 2, UTET, 2006, pp. 11 ss.

[19] Cfr. F. Bonelli, Gli amministratori di S.p.A. dopo la riforma delle società, Giuffrè, 2004, p. 11, in cui si afferma che indipendentemente dalle modifiche apportate dalla riforma del diritto societario, gli amministratori potrebbero comunque continuare a rimettere propria sponte questioni all’assemblea per la richiesta di meri pareri, anche se questi non libereranno gli amministratori stessi da responsabilità.

[20]Un simile modo di procedere non è d’altra parte del tutto estraneo alle tecniche argomentative della materia. Per fare un esempio cfr. M. Irrera (diretto da), Diritto del governo delle imprese, Giappichelli, 2020, p. 315 in cui in tema di limiti legali al potere di rappresentanza degli amministratori, si critica la tesi dottrinale secondo cui i limiti legali sarebbero opponibili solo ai terzi in mala fede. Questi, infatti, basano l’argomentazione sulla base di una serie di disposizioni che rendono comunque validi verso i terzi atti compiuti dagli amministratori in eccedenza a detti limiti. L’autore sottolinea tuttavia come da dette norme non si possa cogliere una norma generale ed implicita (ovvero che i limiti legali non siano opponibili ai terzi), ma semplici deroghe a una norma previa, ovvero l’opponibilità ai terzi, salvo i casi previsti dalla legge.

[21] Per sottolineare come le fattispecie che ricadono sotto l’ambito applicativo dell’art. 2479, 2° co. n. 5 siano del tutto analoghe alle cd. competenze assembleari implicite nella S.p.A., basti il richiamo alla Sent. Trib. Roma, 27 gennaio 2020. Nel caso in esame veniva dichiarata nulla la cessione dell’unica azienda da parte degli amministratori di una S.r.l. senza la previa deliberazione dell’assemblea dei soci (in particolare l’autorità giudiziaria ritenne l’operazione ricompresa tra quelle in cui, ai sensi dell’art. 2479 2° co. n. 5 cc., viene inderogabilmente richiesta la previa approvazione dei soci). A tal proposito si veda anche E. Pederzini, R. Guidotti (A cura di), La governance delle società a responsabilità limitata, CEDAM, 2022, pp. 269 ss.

[22] R. Lener, A. Tucci, Società per azioni, l’assemblea, cit., p. 40

[23] In realtà il D. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 aveva modificato l’art. 2475 cc. nel senso che la gestione della società spettasse esclusivamente agli amministratori. La disposizione è stata successivamente modificata ad opera del D. lgs 147/2020. Ad oggi prevede che spetti esclusivamente agli amministratori la cura degli assetti cui al 2086 cc. e non più l’intera gestione. Per ulteriori approfondimenti cfr. G. Presti, M. Rescigno, Corso di diritto commerciale, cit., p. 578

[24] E. Pederzini, R Guidotti (a cura di), La governance delle società a responsabilità limitata, cit., p. 209

[25] G. Presti, M. Rescigno, Corso di diritto commerciale, cit., p. 577

[26] G. Cavalli (a cura di), Assemblea e amministratori, UTET, 2013, pp. 36 ss.

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