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GPA all’estero e riconoscimento del legame di filiazione: il parere della Corte EDU

Il primo parare parere della Corte EDU – emesso in data 10 aprile 2019 in attuazione del Protocollo n. 16 – affronta il tema del riconoscimento, nel diritto nazionale, del legame di filiazione tra il figlio nato attraverso GPA (“gestazione per altri”, ovverosia maternità surrogata) all’estero e il genitore “intenzionale”. Il parere è stato reso all’unanimità ed è valido verso i 43 Stati membri della Convenzione EDU.

GPA e ordinamenti giuridici interni: il metodo comparativo della Corte

Ancor prima delle considerazioni preliminari, la Corte traccia un quadro complessivo della regolamentazione giuridica della pratica della gestazione per altri negli ordinamenti giuridici dei 43 Stati membri del Consiglio d’Europa[1] e della Convenzione EDU. La GPA consente ad una donna la possibilità di scegliere di portare avanti una gravidanza per conto di altre persone (single o coppie, sia eterosessuali sia omosessuali), a titolo gratuito o dietro remunerazione[2].

Solo 9 Stati membri permettono al loro interno di accedere a questa pratica, mentre altri 10 la tollerano e ben 24 Stati membri la proibiscono. Più interessante è il risultato, in termini quantitativi, che riguarda la possibilità di riconoscere il legame di filiazione tra genitore intenzionale (non biologico) e il figlio nato con GPA: ben 19 Paesi, inclusi 7 che proibiscono la pratica della GPA (Finlandia, Germania, Lussemburgo, Norvegia, Slovenia, Spagna, Svezia), ammettono questa possibilità.

Tale riconoscimento assume forme diverse di Stato in Stato: la più diffusa è la registrazione del certificato di nascita all’estero, seguita da adozione e procedimenti giudiziari che non culminano nell’adozione. Va aggiunto, per quanto riguarda il caso italiano, che la legge 40/2004 vieta la pratica della gestazione per altri all’interno dello Stato e prevede, in caso di trasgressione del divieto, sanzioni penali e amministrative in capo a medici, infermieri, avvocati che in qualsiasi modo favoriscano questa pratica. Tuttavia sono sempre più frequenti i casi di coppie (etero o omosessuali) italiane che ricorrono a questa pratica all’estero e chiedono la trascrizione dell’atto di nascita all’anagrafe italiana, al fine di ottenere un riconoscimento legale del legame di filiazione.

Il caso dei coniugi Menesson

Più approfonditamente, la Corte EDU è intervenuta su richiesta della Corte di Cassazione francese, in merito al caso dei due coniugi francesi Menesson, risalente al 2014. I due coniugi avevano fatto ricorso alla pratica della GPA in California: il padre ha dato il suo seme ad una terza donna, la madre surrogata, che ha portato avanti la gestazione. La madre – la moglie del padre biologico – non ha dunque alcun legame genetico e biologico con i figli, benché negli USA sia riconosciuta come madre a tutti gli effetti.

Le autorità francesi negarono il riconoscimento di entrambi i genitori. Ciò costò una condanna alla Francia da parte della Corte EDU, nell’aprile 2014, con la sentenza Menesson c. Francia, per violazione dell’art. 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare), in caso di rifiuto da parte delle autorità nazionali di riconoscere il valore legale del legame di filiazione tra padre e i suoi figli biologici, nati all’estero con la pratica della GPA[3]. In seguito alla condanna, la Francia riconobbe il legame solo tra il padre e i figli, escludendo la madre, che mancava del requisito necessario della sussistenza di legami biologici e genetici. Di fronte alla richiesta della madre di ottenere tale riconoscimento, la Corte di Cassazione ha chiesto un parere orientativo alla Corte EDU nel 2018.

Il contenuto del parere della Corte

Secondo l’orientamento della Corte, nel merito del caso Menesson, la necessità che sia riconosciuto legalmente il rapporto di filiazione tra figli nati attraverso GPA e madre intenzionale, non biologica, è motivata dal rischio che i bambini possano trovarsi in una situazione di incertezza giuridica, riguardo alla loro identità nella società: ad esempio, i bambini potrebbero vedere compromessi i propri diritti di successione; potrebbero vedere indebolito il loro diritto al mantenimento di un rapporto con la madre intenzionale in caso di separazione dei genitori o di morte del padre di intenti.

Nel discorso della Corte, l’interesse superiore del minore integra la disciplina del diritto al rispetto della vita privata, tutelato dall’art. 8 della Convenzione, il quale – secondo i giudici – esige che “la legge preveda la possibilità di riconoscere la relazione legale genitore-figlio con la madre intenzionale, indicata sul certificato di nascita estero come “madre legale””[4]. Dunque, il parere si traduce in un monito rivolto a tutti gli Stati affinché riconoscano i figli nati con la pratica della GPA all’estero, anche se proibita secondo taluni ordinamenti, nel rispetto esclusivo dell’interesse del minore e dei suoi legami con i genitori intenzionali.

Gli Stati sono lasciati liberi di definire la forma di tale riconoscimento, che potrebbe escludere la trascrizione del certificato di nascita all’estero ed implicare il ricorso all’adozione da parte della madre intenzionale, purché le procedure legali previste dai rispettivi ordinamenti interni garantiscano efficacia e rapidità della loro attuazione, nell’interesse esclusivo del minore.

[1] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, parere n. P16-2018-001, 10 aprile 2019

[2] Internazionale, “I Paesi in cui la gestazione per altri è legale e come funziona, marzo 2016, https://www.internazionale.it/notizie/2016/03/03/maternita-surrogata-dove-regole

[3] T. Trinchera, “Vìola l’art. 8 della cedu lo stato che non riconosce il rapporto di filiazione costituito all’estero ricorrendo alla surrogazione di maternità” , luglio 2014,

[4] E. Tebano, Maternità surrogata, la Corte europea: «Riconoscere i figli nati all’estero con la gpa»”, 10 aprile 2019, https://www.corriere.it/cronache/19_aprile_10/maternita-surrogata-corte-europea-riconoscere-figli-nati-all-estero-la-gpa-58e12f46-5b87-11e9-ba57-a3df5eacbd16.shtml

Giuseppe Saviotti

Dottore in scienze politiche, relazioni internazionali e studi europei presso l'Università di Bari, attualmente in fase di completamento degli studi di relazioni internazionali. Collaboratore dell'area di diritto internazionale, con particolare interesse per il diritto e le politiche dell'Unione Europea.

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