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Gravi illeciti professionali e estensione degli obblighi dichiarativi a carico dell’operatore economico

Il TAR Lombardia, Milano, Sez. I con la sentenza n. 2421 del 15 novembre 2019, ha riportato l’attenzione sulla questione dell’estensione degli obblighi dichiarativi in materia di “gravi illeciti professionali” ex art. 80 d.lgs. 50/2016[1] (cd. Codice degli appalti).

La massima

Con la sentenza in esame il Collegio milanese ha tentato di circoscrivere l’effettiva latitudine dell’obbligo dichiarativo in capo al concorrente, ribaltando il principio giurisprudenziale consolidatasi nel tempo, secondo cui gli operatori economici devono dichiarare ogni episodio della loro vita idoneo a valutare l’integrità professionale degli stessi da parte della stazione appaltante[2].

I Giudici meneghini legano indissolubilmente il limite temporale di cui all’art. 80, comma 10 alla potestà discrezionale di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c).

Il TAR Lombardia ha ritenuto contrastante con il principio di proporzionalità una esclusione che trovi fondamento in un provvedimento sanzionatorio in danno dell’impresa adottato più di tre anni prima della pubblicazione del bando di gara.

A coronamento di questo iter argomentativo il Collegio milanese ha chiarito che l’obbligo di dichiarare eventuali cause escludenti dovrebbe arrestarsi alla soglia della cd. “ragionevole esigibilità e non sussisterebbe ove un siffatto obbligo non sia chiaramente percepibile, individuato o lumeggiato né dalle norme di legge né, tantomeno, dalla lex specialis.

I principi di diritto

La sentenza in commento, accogliendo il ricorso di un’ATI aggiudicataria di una gara, ha enunciato alcuni principi di diritto.

  • Innanzitutto i Giudici milanesi hanno definitivamente statuito l’effettiva portata dell’ 80, comma 10, d.lgs. 50/2016 delimitando e circoscrivendo l’efficacia temporale della valenza ostativa delle sentenze di condanna e degli atti di “accertamento definitivo” posti a carico di un operatore economico; in questi casi, come ricordato dalla sentenza in commento, si è in presenza del fenomeno della cd. digressione dell’atto in fatto: la sentenza o il provvedimento amministrativo di accertamento della violazione sono presi in considerazione da altra norma, e ad altri fini, per dedurne un giudizio normativo di “incapacità o di inaffidabilitàper un determinato periodo temporale.

Il TAR Lombardia si è discostato dall’orientamento giurisprudenziale[3] in virtù del quale le pregresse condotte, accertate in provvedimenti amministrativi che non dispongono nulla in ordine allo spatium temporis di durata della “valenza” inibitoria e potenzialmente idonee ad integrare gravi illeciti professionali, hanno sempre rilevanza escludente e dunque i provvedimenti che le accertano sono soggette ad un obbligo dichiarativo senza limiti. I Giudici meneghini hanno riconosciuto piuttosto ai provvedimenti interdittivi amministrativi, salvo che essi rechino una maggiore durata della inibizione a contrarre” una “valenza ostativa per un periodo in ogni caso non superiore a tre anni, “decorrenti dalla data del suo accertamento definitivo, così accogliendo la tesi proposta da una sentenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, V Sez. n. 2895, 6 maggio 2019) che ha attribuito esplicitamente un termine di rilevanza (pari a tre anni) alle condotte integranti gravi illeciti professionali, circoscrivendo ratione temporis il conseguente obbligo dichiarativo.

  • Il TAR meneghino riporta all’attenzione la rilevanza dei principi di buona fede e correttezza che devono informare i rapporti tra le parti, sin dal momento del loro primo “contatto”, e che pongono a carico dell’operatore economico i cd. obblighi informativi affinché la stazione appaltante possa operare un’adeguata e ponderata valutazione sull’affidabilità e sull’integrità dell’operatore economico ai fini dell’esclusione dell’operatore dalla procedura ( 80, comma 5, lett c) d.lgs. 50/2016).

L’obbligo di clare loqui, come ci ricorda la sentenza in commento, è munito di espressa sanctio iuris per il tramite dell’art. 80, comma 5, lett.f-bis) d.lgs. 50/2016[4], il quale prevede che “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto (…) l’operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazioni o dichiarazioni non veritiere”.

  • Il problema che il TAR Lombardia si è ritrovato a fronteggiare ha riguardato l’esatta individuazione e delimitazione dell’obbligo dichiarativo a carico dell’operatore economico.

Si tratta di una questione di rilevanza fondamentale non tanto per quei casi in cui non esiste una previsione normativa che faccia dipendere ex lege l’esclusione dalla procedura di gara dal verificarsi di una determinata fattispecie, quanto piuttosto per quei casi in cui occorre individuare il contenuto dell’obbligo dichiarativo in relazione alla atipica e residuale clausola di esclusione contemplata dall’art. 80, comma 5, lett. c) d.lgs. 50/2016.

Il TAR meneghino non ha sicuramente ignorato la giurisprudenza costante secondo cui la violazione degli obblighi informativi può integrare, a sua volta, il “grave illecito professionale” endoprocedurale, indicato, nell’elencazione esemplificativa delle cause di esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c) d.lgs. 50/2016 come “omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”, con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare tale omissione o reticenza ai fini dell’attendibilità e dell’integrità dell’operatore economico[5].

In virtù di tale consolidato orientamento i concorrenti “devono dichiarare ogni episodio della vita professionale astrattamente rilevante ai fini della esclusione”[6]; infatti “affinché la valutazione della stazione appaltante possa essere effettiva è necessario che essa abbia a disposizioni quante più informazioni possibili, e di ciò deve farsi carico l’operatore economico, il quale se si rende mancante in tale onere può incorrere in un grave errore professionale endoprocedurale[7].

  • Tuttavia i Giudici meneghini hanno cercato di porre un limite operativo a un obbligo dichiarativo “generalizzato” e che tra l’altro potrebbe rilevarsi eccessivamente oneroso per gli operatori economici che si troverebbero a dover ripercorrere, a beneficio della stazione appaltante, vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di un’impresa.

Nella prospettazione dei giudici milanesi esiste un obbligo dichiarativo a carico dell’operatore economico nella misura in cui la stazione appaltante abbia assolto l’onere di chiarire nella disciplina di gara la effettiva portata e natura delle informazioni all’uopo richieste, in un’ottica di leale e reciproca collaborazione tra le parti.

La portata innovativa della sentenza consiste nell’aver statuito in maniera incontrovertibile che gli obblighi di collaborazione del partecipante alla gara non possono dunque che attestarsi alle soglie della “ragionevole esigibilità del contegno, da escludersi in nuce nel caso in cui la esistenza stessa dell’obbligo sia oggettivamente non percepibile, in quanto non discendente dalle norme né, tampoco, individuata o lumeggiata nella lex specialis.

Oltrepassata tale soglia si entra nel terreno:

– della scusabilità della condotta, in quanto indotta dalla scarsa chiarezza ovvero dalla equivocità delle prescrizioni di gara, suscettibili di diversa significanza e interpretazione;

– del potere-dovere per la stazione appaltante di consentire ai partecipanti, indotti in incolpevole errore dalla equivocità delle prescrizioni, di “presentare, integrare, chiarire, o completare le informazioni o la documentazione asseritamente incomplete, errate o mancanti entro un termine adeguato[8].

[1] Prima dell’intervento del D.L. 32/2019 (cd. Decreto Sblocca Cantieri) che ha modificato, per quanto di interesse in questa sede, l’art. 80 d.lgs. 50/2016 riformulando il comma 10, introducendo ex novo il comma 10bis. Per un approfondimento sulle modifiche apportate si rinvia a F. Caringella, M. Giustiniani, “Il decreto sblocca cantieri. Commento organico alle novità introdotte nei contrtatti pubblici dal D.L. 18 aprile 2019, n. 32, conv. dalla L. 14 giugno 2019, n. 55”, in Italiappalti, DIKE Editore, Roma, luglio 2019, pp. 118-119.

[2] CdS, sez. III, sentenza n. 3331, 22 maggio 2019; CdS, sez. V, sentenza n. 591, 24 gennaio 2019; CdS, sez. V, sentenza n. 5142, 3 settembre 2018.

[3] CdS, sez. V, sentenza n. 6530, 19 novembre 2018; in senso conforme anche TAR Lazio, Sez. I, sentenza n. 1695, 8 febbraio 2019 e TAR Puglia – Lecce, sez. I, sentenza n. 122, 25 gennaio 2019.

[4] La norma in esame è stata introdotta dall’art. 49, comma 1, lett. e) d.lgs. 56/2017 (cd. correttivo al codice degli appalti).

[5] CdS, sez. V, sentenza n. 2511, 17 aprile 2019, CdS, sez. V, sentenza n. 5142, 3 settembre 2018; CdS, sez. III, sentenza n. 5040, 23 agosto 2018.

[6] CdS, sez. III, sentenza n. 3331, 22 maggio 2019; CdS, V, 24 gennaio 2019, n. 591; Id. id., 3 settembre 2018, n. 5142.

[7] CdS, sez. V, sentenza n. 5142, 3 settembre 2018.

[8] Corte di Giustizia UE, 2 maggio 2019, C-309/18, § 23, con il richiamo ivi contenuto all’art. 56, par. 3, della direttiva 2014/24/UE.

Cristina Piccolo

Cristina Piccolo nasce a Foggia il 20 giugno 1994.  Nel 2018 si laurea in Giurisprudenza presso l'Università Lumsa di Roma con una tesi in diritto costituzionale dal titolo "Tutela giurisdizionale alla libera manifestazione del pensiero ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione” con la votazione di 110/110 e lode.  Da ottobre 2018 svolge il tirocinio formativo ex art. 73 D.L. 69/2013 presso la Terza Sezione del Consiglio di Stato. Da questa esperienza ha sviluppato l'interesse per il diritto amministrativo.  Ha inoltre svolto la pratica forense presso il Coordinamento Regionale INPS Lazio. 

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