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Guerre commerciali: da Ricardo-List a Xi-Trump

Huawei rischia di essere il primo obiettivo della guerra dei dazi doganali tra gli Stati Uniti di Donald Trump e la Cina di Xi Jinping. L’opinione pubblica si divide tra il partito del liberoscambismo e quello, crescente di mese in mese, del protezionismo. Eppure non si tratta di uno scontro nuovo, di una prima volta nella storia delle civiltà.

Sono trascorsi quasi due secoli dalla diatriba sulle teorie commerciali tra il britannico David Ricardo (Londra, 18 aprile 1772 – Gatcombe Park, 11 settembre 1823) ed il tedesco Friedrich List (Reutlingen, 6 agosto 1789 – Kufstein, 30 novembre 1846).

Il commercio è stato, da sempre, uno dei principali motori di sviluppo delle società.

A partire dalle colonie fenicie sino alle ultra-moderne metropoli del nuovo millennio, il poter decidere negli scambi significa porre l’accento sulla propria influenza (come società e/o nazione, a seconda dei casi) dinanzi al mondo intero. Eppure lo sviluppo di un’analisi sulle dinamiche commerciali è piuttosto recente. Bisogna riavvolgere il nastro alle celebri “corn laws” (leggi sul grano) inglesi della prima metà del diciannovesimo secolo[1]

Inghilterra, inizio ottocento.

I proprietari terrieri, produttori prevalentemente di grano, temono di essere colpiti dalla concorrenza estera. Il sistema di leggi delle “corn laws” va incontro alle loro esigenze , presentando una prima forma di dazio doganale sul grano importato dalle altri nazioni.

Va contemporaneamente rafforzandosi il fronte degli oppositori, costituito dagli industriali che vedono in queste leggi una causa del rincaro del pane e dell’elevato livello dei salari percepiti dai lavoratori. Sono proprio gli industriali, capitanati da Richard Cobden, a dar vita alla “Lega anti-corn laws”.

L’economista britannico David Ricardo partecipa a questo dibattito tra conservatori (sostenitori della corn laws) ed i liberali (contrari), analizzando tutti i vantaggi derivanti da una equilibrata azione commerciale all’interno del sistema del libero scambio.

“[…] Se, perciò, per l’ampliamento del commercio con l’estero, o per i progressi delle macchine, i viveri e i beni di prima necessità del lavoratore possono essere portati al mercato a prezzi ridotti, i profitti aumenteranno. […] Ma se le merci ottenute a prezzi più pazzi in seguito all’ampliamento del commercio con l’estero o per i progressi delle macchine, sono le merci consumate esclusivamente dai ricchi, non si avrà nessuna modificazione nel saggio del profitto.”[2]

In queste parole, Ricardo traccia la ”Teoria del vantaggio relativo”.

L’esempio portato dall’economista britannico per illustrarla utilizza lo scambio di vino e tessuti tra Inghilterra e Portogallo. Al netto della produzione del singolo Stato, il Portogallo ha un vantaggio assoluto nella produzione di entrambe le merci e, pertanto, non avrebbe alcuna convenienza ad intraprendere scambi con l’Inghilterra.

Tuttavia, l’Inghilterra ha un vantaggio relativo nella produzione di tessuti rispetto al Portogallo. Difatti, l’Inghilterra può rinunciare senza grosse perdite a parte della sua produzione di vino, così da avere più manodopera per la produzione di tessuti. Vantaggio relativo non consentito al Portogallo.

Ricardo sviluppa quantitativamente la sua teoria, cercando gli intervalli ottimali in cui lo scambio commerciale tra due nazioni risulti mutuamente conveniente. Le difficoltà di tali studi costringono Ricardo a riprendere la ”Teoria del riequilibrio automatico della bilancia commerciale” di Richard Cantillon (Ballyheigue, 1680 – Londra, 14 maggio 1734) e David Hume (Edimburgo, 7 maggio 1711 – Edimburgo, 25 agosto 1776).

L’incompletezza della teoria del vantaggio relativo di Ricardo non da risposte alle possibilità di forti disuguaglianze e di sovra-sfruttamento di un commercio “sregolato e sfrenato”[3]. Ed è su questi punti che muovono le critiche e le forti opposizioni dell’economista tedesco Friedrich List.

L’accusa di List è che la teoria di Ricardo è solo una “macchina da guerra” al servizio degli interessi della dominante potenza industriale britannica. Il commercio tra stati è visto a vantaggio degli interessi dei più forti, a danno di economie in espansione, come quella tedesca (seppur la Germania non sia ancora formalmente unificata) della prima metà dell’ottocento[4].

Partecipando alla Zollverein (unione doganale tedesca), List matura l’idea che lo sviluppo economico della futura Germania unificata debba passare necessariamente per la creazione di uno spazio economico nazionale unificato e protetto dalla concorrenza (soprattutto britannica) con severe misure doganali.

Solo respingendo l’idea di Ricardo, una nazione può difendere la sua economia crescente, riparata dalla concorrenza estremamente dannosa di altri competitor.

Sono trascorsi circa duecento anni dalla disputa Ricardo-List. Una disputava che fino a poca fa aveva il sapore solo del “richiamo storico”. Eppure, il palcoscenico internazionale ripone seriamente in primo piano la disputa tra libero-scambisti e conservatori.

Un gioco delle parti che ritorna. La Cina “reinterpreta” il pensiero di Ricardo, estremizzando l’aspetto del vantaggio relativo, attraverso un lavoro al minimo in termini di diritti e salario. Gli Stati Uniti indossano la “maschera doganale” di List, schiacciati dalla paura del “crescente dragone cinese” al grido di “make america great again”.

 

[1] J. Boncouer & H. Thouément, Le idee dell’economia, Edizioni Dedalo.

[2] G. Corò, Economia globale e cambiamento politico: imprese, istituzioni e società locali alla ricerca di nuove regole, Argomenti, 2001.

[3] T. Piketty, Disuguaglianze, Egea spa, 2018.

[4] F. List et al., Il sistema nazionale di economia politica, Istituto Editoriale Internazionale, 1972.

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