domenica, Settembre 15, 2024
Criminal & Compliance

I confini artistici del delitto di diffamazione: commento ad una recente ordinanza del tribunale di Civitavecchia

A cura di Paolo Mendolicchio

 

Sommario: 1. L’interazione della scriminante prevista dall’art. 51 c.p. con il quadro costituzionale in tema di libertà di espressione artistica – 2. Una recente applicazione dei principi costituzionali del Tribunale di Civitavecchia – 3. Considerazioni finali sull’evoluzione giurisprudenziale

 

La libertà di manifestazione del pensiero artistico trova il proprio fondamento normativo nel perimetro delineato dagli artt. 9, 21 e 33 della Costituzione.

La ricezione dei suddetti principi in sede di applicazione della legge penale è garantita dal disposto di cui all’art. 51 c.p., in virtù del quale la punibilità è esclusa nel caso dell’esercizio di un diritto.

Benché la giurisprudenza di legittimità non abbia trattato, nello specifico, l’operatività della scriminante de qua nell’ipotesi di manifestazione del pensiero che si sostanzi nella creazione di un’opera d’arte – intesa quale prodotto dell’ingegno in campo teatrale, letterario, musicale o cinematografico –, ha approfondito la tematica dalla prospettiva dell’analisi del diritto di satira, evidenziandone i tratti distintivi rispetto al diritto di cronaca.

In particolare, nel definire il diritto di satira “una declinazione particolare del diritto di critica”, connotato da modalità corrosiva e dall’impiego di forme di comunicazione distorsive della realtà storica da cui trae ispirazione, la Suprema Corte ha argomentato che “Diversamente dalla cronaca e dalla stessa critica, la satira è sottratta al parametro della verità, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su un fatto […].Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui […] In proposito si è altresì rilevata la necessità che la satira non si proponga alcuna funzione informativa e non divenga lo schermo strumentale per veicolare fatti storicamente non corrispondenti al vero, quantomeno nel loro nucleo essenziale, ancorché presentati in veste ironica e scherzosa […] E’ infatti evidente l’intento satirico degli scritti, enfatizzato dalla struttura in versi dei componimenti oggetto dei volantini e dei manifesti diffusi dall’imputato e dal marcato carattere canzonatorio del loro contenuto[1].

Pertanto, alla luce delle coordinate ermeneutiche richiamate supra, l’elemento peculiare che contraddistingue il diritto di libera manifestazione del pensiero artistico (nel caso poc’anzi evidenziato, sub specie di satira) e che renderebbe possibile l’operatività dell’art. 51 c.p. risulta costituito dall’assenza di alcuna necessità che l’esercizio del diritto sia ancorato ad un principio di verità, differentemente da quanto imposto dai più rigorosi standard del diritto di cronaca.

***

Ciò posto, declinando i principi generali enucleati dalla Corte di Cassazione (cfr. supra), una recente ordinanza di archiviazione[2] del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Civitavecchia ne ha fornito un’applicazione in ordine alla specifica ipotesi di testi di brani musicali, che, seppur astrattamente lesivi dell’onore e della reputazione altrui, si pongano nell’alveo del legittimo esercizio del diritto di espressione artistica.

La vicenda trae origine dalla denuncia-querela presentata da un ente nei confronti di un artista musicale, esponente del genere rap, che, all’interno di propri brani, aveva inserito espressione quali “Fanculo lo stato fanculo gli sbirri. Mi faccio saltare dentro una caserma”, “Fanculo lo Stato, fanculo l’Italia. Fanculo ogni membro della polizia”; tali espressioni erano state dal querelante originariamente sussunte sotto gli artt. 595 c.p. ovvero 290 c.p., che puniscono rispettivamente le fattispecie di “Diffamazione” e “Vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze armate”.

La Procura, senza neppure entrare nel merito in ordine all’operatività della scriminante dell’esercizio del diritto di manifestazione del pensiero (sub specie libertà di espressione artistica), ha ritenuto non integrato il delitto di diffamazione, non essendo individuabile il soggetto destinatario delle presunte frasi offensive, né quello di vilipendio, non essendo la Polizia ricompresa nella categoria delle “Forze armate”.

In vista dell’udienza camerale fissata a seguito di opposizione presentata dalla persona offesa, la difesa dell’indagato aveva insistito nella richiesta di archiviazione, evidenziando, oltre a quanto argomentato dal requirente che, in ogni caso, il fatto risultasse scriminato per essere le espressioni adoperate il frutto di una insindacabile critica artistica, massima espressione del diritto, incoercibile e non censurabile, di manifestare liberamente il proprio pensiero.

Ebbene, a tali argomentazioni ha ritenuto di aderire il Giudice per le Indagini Preliminari nel disporre l’archiviazione del procedimento nei confronti dell’indagato, osservando anzitutto che “Le censure di parte opponente si appuntano su singole frasi (“Fanculo lo stato fanculo gli sbirri. Mi faccio saltare dentro una caserma”; “Fanculo lo Stato, fanculo l’Italia. Fanculo ogni membro della polizia”) che, effettivamente, se avulse dal contesto, possono prima facie apparire offensive e denigratorie nei confronti del Corpo di polizia.

Tale approccio non appare tuttavia metodologicamente corretto, poiché la valutazione dell’effettiva portata offensiva di un testo non può essere operata sulla base sulla base di una lettura atomistica dello stesso, dovendosi, invece, giudicare la portata complessiva dell’opera e non solo delle singole espressioni in esso contenute.

Il carattere offensivo va perciò escluso non solo alla stregua della valutazione di una singola espressione, ma anche del rapporto di essa con il contenuto dello scritto.

Di conseguenza, il vaglio circa la sussistenza di eventuali profili diffamatori deve essere operato muovendo da una lettura globale del testo e del significato che esse assumono nell’economia complessiva dell’opera […] Già da una prima lettura & agevole comprendere come, attraverso il testo, permeato da invettive e espressioni corrosive, l’autore dà sfogo al risentimento coltivato dai soggetti relegati ai margini, svolgendo una critica veemente nei confronti della società moderna, a suo dire contraddistinta dall’addomesticamento delle masse e dalla repressione del dissenso da parte di coloro che la rappresentano.

Entro tale cornice devono essere lette i pesanti anatemi lanciati contro le istituzioni dello Stato.

Non può, peraltro, trascurarsi che tali frasi sono inserite in due canzoni che, per quanto discutibili, costituiscono comunque una forma di manifestazione artistica”.

Tanto premesso in fatto, l’ordinanza si è poi occupata di delineare le peculiarità proprie dell’esercizio del diritto di critica “artistica”, nonché le sue differenze con quella “giornalistica”, che – come si è osservato – deve essere connotata dal requisito della verità.

In particolare, ha argomentato il Giudice “Occorre innanzitutto rilevare la profonda diversità esistente tra la notizia giornalistica, l’attività saggistica o documentaristica, da una parte, e l’opera artistica, sia essa teatrale, letteraria, musicale o cinematografica, dall’altra.

Le prime hanno lo scopo di offrire informazioni, notizie, fatti, vicende, esposte nel loro nudo contenuto o ricostruite attraverso collegamenti e riferimenti vari, al solo scopo di rendere edotto il lettore o lo spettatore di determinati avvenimenti, oppure di ricostruire attraverso di essi un discorso che abbia un tessuto politico, narrativo, giornalistico o storico.

L’opera artistica se ne differenzia per l’essenziale connotato della creazione, ossia di quella particolare capacità dell’artista di manipolare materiali, cose, fatti e persone per offrirli al fruitore in una visione trascendente gli stessi, tesa all’affermazione di ideali e di valori che possano trovare riscontro in una molteplicità di persone.

Per raggiungere questo fine l’opera artistica si sviluppa attraverso toni a volta elegiaci, altre volte drammatici o comici, ed adopera gli strumenti della metafora, del paradosso, dell’iperbole; comunque, esagera nella descrizione della realtà tramite espressioni che l’amplificano, per eccesso o per difetto.

Difatti, ogni opera artistica, in quanto tale, è inevitabilmente caratterizzata dall’idealizzazione della realtà od espressa mediante varie figure retoriche tendenti ad una trasfigurazione creativa.

Siffatta peculiare caratteristica dell’opera artistica e soprattutto l’imprescindibile deformazione della realtà in essa impressa, impone al giudice, chiamato a delibare sulla sussistenza di possibili contenuti diffamatori, un accertamento diverso rispetto a quello comunemente svolto con riguardo all’esercizio dell’attività giornalistica e documentaristica. Diverso sia quanto alla reale volontà, da parte dell’artista, di ledere l’altrui dignità, sia, soprattutto, quanto all’effettiva portata diffamatoria dell’opera in quanto tale”.

Tracciati i tratti salienti della vicenda, nell’ordinanza si è poi argomentato che “Tale giudizio deve essere, peraltro, compiuto partendo dalla premessa, il sindacato del giudice su una manifestazione artistica in quanto tale, potendo potenzialmente costituire una ingerenza nel diritto di un artista ad esprimersi, deve essere improntato al massimo rigore (Corte europea diritti dell’uomo sez. IL, 20/10/2009, n.41665).

Il fondamento normativo di ogni manifestazione artistica è stato individuato negli art. 9, 21 e 33 della costituzione, di guisa che si ritengono inapplicabili ad essa i paradigmi di valutazione della liceità della cronaca: questa forma d’espressione, infatti, non può rispondere ad esigenze informative; non può «avere un rapporto di coincidenza con la verità del fatto, né conformarsi a parametri di equilibrata espressione» (cosi, Trib. Roma 13 febbraio 1992).

Di queste esigenze s’è già accorta la giurisprudenza di legittimità, la quale, pur non essendosi espressa in ordine al generale problema della diffamazione da opera d’arte, ha specificamente trattato della satira, definendola una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, che può realizzarsi anche mediante l’immagine artistica, come accade per la vignetta o per la caricatura, consistenti nella consapevole ed accentuata alterazione dei tratti somatici, morali e comportamentali delle persone ritratte. Ed ha ritenuto che, nell’esercizio del diritto di satira e, dunque, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive dell’immagine altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato (Cass. 28 novembre 2008, n. 28411; 8 novembre 2007, n. 23314).

Peraltro, il diritto di critica, pur se imperniato di aspetti valutativi, mantiene comunque un addentellato oggettivo con riferimento ai fatti su cui le opinioni critiche si fondano, a differenza della critica artistica che, per sua natura, prescinde da ogni fondamento di realtà.

Da ciò deriva che neppure i limiti enucleati con riferimento al diritto di critica possono essere aprioristicamente esportati per sindacare il contenuto di una manifestazione artistica che, per sua natura, può essere contrassegnata anche dall’utilizzo di una modalità corrosiva e spesso impietosa.

Nella formulazione di un testo artistico possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, purché strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato.

Allora, perché possa dirsi verificata la diffamazione è necessario accertare che l’offesa sia arrecata al di fuori di ogni sforzo creativo e che l’espressione sia percepita dal fruitore come vera e, dunque, offensiva della dignità, dell’onore e dell’altrui reputazione. Diversamente, vien meno l’esistenza stessa della diffamazione”.

Da ultimo, il provvedimento ha concluso “In altri termini, l’unico limite che incontra una rappresentazione di tipo artistico, per quanto discutibile, è costituito dal rispetto dell’onore e della reputazione personale dei consociati, giacché, laddove la manifestazione della libertà artistica si traduca nella gratuita denigrazione del prossimo, nella ridicolizzazione e nel disprezzo degli altri, e, in definitiva nella mortificazione dell’altrui dignità e reputazione, non può l’agente invocare il proprio diritto di liberta sancito dall’art. 33 cost., il cui esercizio, in tale ipotesi, si rivela arbitrario ed illecito ai sensi dell’art. 595 c.p.

Ne consegue che, salvo il caso in cui la libertà artistica si traduca in una gratuita denigrazione del prossimo e conseguentemente nella lesione dell’altrui dignità, l’artista potrà sempre invocare l’esercizio del proprio diritto di creazione artistica sancito dall’art. 33 Cost.

Alla stregua di tali premesse, i brani musicali qui censurati, per quanto opinabili nella scelta dei toni e del linguaggio che può sicuramente definirsi aspro, brutale e, per certi versi, crudele, costituiscono comunque espressione artistica e di commento sociale che, tramite la deformazione e l’esagerazione della realtà, ha come finalità naturale la provocazione e l’agitazione.

Questa considerazione è rafforzata dalla rivisitazione della frase nel contesto dell’intero brano musicale.

Non può peraltro dubitarsi, tenuto conto della natura e del contenuto del brano musicale, che le allusioni dell’indagato nei confronti delle forze dell’ordine non avrebbero dovuto essere prese alla lettera.

L’atmosfera descritta nelle due canzoni da esprimere un atteggiamento evidentemente finalizzato, più che a comunicare contenuti o a lanciare invettive, a suscitare, innanzitutto, stupore, rabbia e indignazione nell’ascoltatore.

Per tali ragioni, non potrebbe comunque essere ravvisato, in capo all’indagato, l’animus diffamandi, inteso come volontà, da parte dell’artista, di ledere l’altrui dignità.

Alla stregua di tali premesse, la notizia di reato appare infondata non ravvisandosi elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.

***

Come evincibile dall’impianto motivazionale del provvedimento richiamato supra, il Giudice per le Indagini Preliminari ha valorizzato il quadro dei parametri costituzionali in tema di libertà di manifestazione del pensiero artistico, ponendosi nell’alveo di un orientamento giurisprudenziale dai tratti fortemente innovativi.

Si osservi che il procedimento de quo era stato incardinato dinnanzi al Tribunale di Civitavecchia a seguito di sentenza di incompetenza territoriale pronunciata dal Giudice dibattimentale di Roma, davanti a cui l’imputato era stato tratto a giudizio per effetto di ordinanza con cui il Giudice per le Indagini Preliminari, ai sensi dell’art. 409, comma 5 c.p.p., non accogliendo la richiesta di archiviazione già formulata, aveva ordinato la formulazione dell’imputazione a carico dell’allora indagato.

Nell’ambito del provvedimento in questione, il giudicante aveva espresso un orientamento di segno diametralmente opposto rispetto a quello che ha ispirato l’ordinanza del GIP di Civitavecchia, che, fondando le proprie premesse sul solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità sopraesposto, lo ha ampliato nel segno di un’applicazione alla libertà di manifestazione del pensiero artistico.

In particolare, aveva ritenuto il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Roma che “La normativa costituzionale, i principi elaborati dalla CEDU ed enucleabili dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, letti ed analizzati anche alla luce degli input interpretativi offerti dalla giurisprudenza di legittimità, impongono, ai fini del riconoscimento della scriminante del diritto di manifestazione del pensiero, sub specie libertà di espressione artistica, il rigoroso rispetto di una sequenza dinamica in ipotesi prevedente in via preliminare, in combinazione sinergica con l’impiego di moduli espressivi aggressivi, provocatori e irriverenti, la rappresentazione di un dato fattuale e lo sviluppo di un’argomentazione critica apprezzabili in termini di antecedente logico e “spunto” atti a giustificare il ricorso a formule lessicali in astratto censurabili sotto il profilo della continenza espositiva.

Nel caso in trattazione, l’esternazione verbale consta unicamente della enunciazione di frasi gratuitamente volgari e sprezzanti, recanti finanche esaltazione della violenza e incitamento alla stessa, non evincendosi alcun antecedente logico atto a supportare, e, per ciò stesso, a contenere entro i limiti di configurabilità della scriminante, la liceità dell’espressione “artistica”, la cui valenza di odioso attacco al corpo di Polizia risulta, peraltro, amplificata dalla peculiare diffusività del mezzo digitale utilizzato.

In buona sostanza, a fronte di una generica e roboante manifestazione di disagio esistenziale, evincibile dal testo dei brani musicali censurati, investente plurimi settori dell’attuale contesto socio-culturale, sfugge la percezione di qualsivoglia nesso pertinenziale valevole a supportare la stessa comprensione, in chiave di dissenso critico, del violento e riprovevole attacco alla Polizia di Stato insito nelle espressioni «fanculo lo Stato, fanculo l’Italia, fanculo ogni membro della Polizia, fanculo gli sbirri, mi faccio saltare dentro una caserma».

Vanno, dunque, disattese le argomentazioni svolte dal Pubblico Ministero nel testo della sua richiesta definitoria”.

Il tenore delle argomentazioni svolte dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Roma, oltre a porsi in insanabile antitesi con il provvedimento del GIP di Civitavecchia, segnala un “giudizio di merito” sul contesto dell’espressione artistica, denunciandone l’assenza di qualsivoglia “nesso pertinenziale” rispetto alle finalità di critica sociale cui la medesima avrebbe dovuto essere preordinata.

Pertanto, rispetto all’impostazione adottata dal GIP di Civitavecchia, il provvedimento richiamato supra tradisce la medesima “ingerenza nel diritto di un artista ad esprimersi” che, in armonia con le coordinate ermeneutiche dettate dalla Corte europea diritti dell’uomo (cfr. supra), esorbita dal controllo improntato al massimo rigore cui deve attenersi l’organo giudicante nella valutazione di un’opera artistica.

In ultima analisi, è in quest’ottica che deve intendersi la rilevanza del provvedimento emesso dal GIP di Civitavecchia, che ha avuto il pregio di tradurre in sede penale i principi costituzionali e convenzionali nello specifico campo della libertà di espressione artistica.

[1] Cass. Pen., Sez. 5, Sentenza n. 12101 del 2 febbraio 2023;

[2] Ordinanza di archiviazione emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale Ordinario di Civitavecchia, dott. Marreo Ferrante, in data 24 maggio 2024;

Lascia un commento