venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

I criteri di valutazione di cui all’art. 133 c.p.

Il codice penale prevede che il Giudice, nell’ambito del proprio potere discrezionale nella valutazione sul reo e sulla gravità dei fatti deve fare riferimento all’art. 133 c.p.

L’art. 133 c.p. introduce sia i criteri di valutazione della gravità dei fatti oggetto del procedimento penale che i criteri di valutazione inerenti la condotta passata, presente e futura dell’imputato.

Per quanto attiene ai criteri di valutazione sulla gravità dei fatti gli stessi hanno ad oggetto: 1) la natura, la specie, i mezzi, dall’oggetto, dal tempo e dal luogo e da ogni modalità dell’azione; 2) dalla gravità del danno e dal pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) dall’intensità del dolo e dal grado della colpa.

Con riferimento ai criteri sulla gravità del fatto rappresentati al n. 1) dell’art. 133 c.p. si evidenzia che gli stessi sono funzionali alla valutazione del Giudice sul disvalore dell’azione perpetrata dal reo che può desumersi, ad esempio, dalla natura, dalla specie del reato in esame e/o dai mezzi utilizzati.

Una volta analizzati i fatti oggetto della contestazione, il Giudice dovrà valutare in danno ed il pericolo cagionato alla persona offesa del reato con particolare riguardo al bene giuridico leso dalla condotta criminosa.

Infine, la valutazione sulla gravità dei fatti sarà completa a seguito dell’analisi sull’intensità del dolo e del grado della colpa.

Relativamente a tale giudizio, si rappresenta che il Giudice è tenuto a valutare l’intensità del dolo, in virtù del grado di adesione volontaristica dell’agente al fatto criminoso, della complessità del processo deliberativo, nonché del grado di consapevolezza del disvalore penale del fatto.

Invece, per quanto attiene al grado della colpa, rilevano il livello di prevedibilità dell’evento criminoso e il grado di esigibilità del modello comportamentale dovuto dall’agente.

Alla luce di ciò si può quindi affermare che tali parametri hanno una rilevanza fondamentale nella valutazione dei fatti di reato in quanto consentono al Giudice di poter valutare in maniera differente medesimi reati commessi in situazioni ed in modalità diverse tra loro, permettendo allo stesso giudicante di poter esprimere una valutazione più obiettiva possibile sulle circostanze del fatto di reato.

In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che “…in tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 c.p., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio…”[1].

Il principio giurisprudenziale sopra riportato esprime in maniera intrinseca la ratio della norma che impone al Giudice di specificare la propria valutazione sui fatti in ragione dei criteri di cui all’art. 133 c.p.

Oltre a ciò, ad avvalorare l’importanza della norma oggetto di trattazione, si porta all’attenzione una risalente pronuncia della Corte di Cassazione ha stabilito che: “…L’adempimento dell’obbligo della motivazione in ordine alla determinazione della pena ed alla scelta della sanzione non può essere assolto con il mero richiamo all’art. 133 c.p. (gravità del reato: valutazione agli effetti della pena) ma è necessario che siano enunciati, seppur sinteticamente, gli elementi giustificativi della scelta. Deve peraltro aggiungersi che l’uso di espressioni sintetiche quali «alla luce dei criteri ex art. 133 c.p.» o «pena congrua» è giustificato quando viene irrogata una pena molto vicina al minimo edittale, giacché non essendo, in tale caso, necessaria una analitica enunciazione dei criteri…[2].

In ragione della massima giurisprudenziale sopra riportata, appare evidente che i criteri di cui all’art. 133 c.p. impongono al Giudice di “dare conto” dell’esercizio del proprio potere di valutazione discrezionale in ambito di applicazione della pena in danno all’imputato.

Di diversa tipologia sono i parametri individuati dal comma n. 2 dell’art. 133 c.p. in quanto attengono alla personalità del reato con particolare riferimento alla capacità di delinquere di quest’ultimo.

Difatti al secondo comma dell’art. 133 c.p. vengono rappresentati i seguenti parametri attinenti alla situazione personale del reo: 1) dei motivi a delinquere e del carattere del reo; 2) dei precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo antecedenti al reato; 3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; 4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

Tali criteri servono per individuare la capacità di delinquere del reo ossia, nello specifico, l’attitudine dello stesso a commettere nuovi reati.

Per quanto riguarda i motivi a delinquere ed il carattere del reo, il legislatore, ha inteso che la valutazione del Giudice deve avere ad oggetto sia gli impulsi di natura psichica che determinano l’agire dell’uomo (motivi a delinquere), e che le diverse componenti della personalità umana, siano esse biologiche, etiche o psichiche (il carattere del reo).

Di diversa rilevanza sono i parametri di cui ai numeri 2) e 3) dell’art. 133 c. 2 c.p. i quali attengono ai comportamenti passati, presenti e futuri del reo, rispetto ai fatti contestati.

Infatti, secondo quanto previsto dai parametri sub. 2) e 3, la valutazione diretta alla quantificazione della pena da irrogare può quindi prende in considerazione condotte e situazioni diverse da quelle strettamente inerenti al reato.

Sul punto si rappresenta che si può far riferimento alle generiche manifestazioni di devianza (come ad esempio l’alcolismo), ai precedenti giudiziari (come ad esempio possono essere i provvedimenti di interdizione o inabilitazione, dichiarazioni di fallimento), nonché la sussistenza di eventuali procedimenti penali, con specifico riguardo alla gravità degli stessi.

Oltre a ciò, per quanto attiene alle valutazioni di cui al numero 3) si analizza il comportamento tenuto dall’imputato nel momento della commissione del delitto (ossia, ad esempio una lunga esitazione prima del delitto quale indice di una minor pericolosità dell’agire criminoso, o ad un atteggiamento particolarmente cinico nella perpetrazione di un delitto contro la persona quale indice di maggiore gravità della condotta), e/o alla successiva collaborazione processuale del reo che si estrinseca nei comportamenti tenuti nel periodo successivo al fatto di reato oppure durante il processo.

In proposito, la Cassazione, nel valutare la rilevanza dei suddetti criteri in sede di applicazione delle attenuanti generiche ex art 62 bis c.p., ha stabilito che: “…ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche basta che il giudice del merito prenda in esame quello tra gli elementi indicati nell’articolo 133 c.p. che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti stesse…”[3].

Alla luce di quanto sopra riportato si ritiene che i parametri di cui all’art. 133 c.p. siano uno strumento molto utile al Giudice funzionale alla motivazione di sentenza di condanna sia per quanto attiene al fatto di reato, come già detto, ma soprattutto, con particolare riferimento alla personalità dell’imputato al fine di individuare la pena corretta nella cornice edittale prevista dalla singola fattispecie criminosa.

Infine, ulteriore elemento sulla base del quale può essere valutata l’entità della pena da applicare al caso concreto, riguarda quanto previsto dal numero 4) dell’art. 133 c. 2 c.p. il quale chiede l’analisi delle condizioni di vita, familiari e sociali del reo al fine di determinare, eventualmente, una prognosi sui comportamenti futuri del reo e sulla pericolosità sociale dello stesso.

In conclusione si ritiene che le disposizioni contenute nell’art. 133 c.p. siano uno strumento essenziale per il Giudice al fine di qualificare in maniera più corretta possibile la gravità dei fatti ed il comportamento del reo al fine di individuare la corretta sanzione da applicare.

[1] Cass. Sez. I, sentenza del 4 giugno 2013, n. 24213

[2] Cass. Sez. III, sentenza del 28 novembre 1995, n. 11513

[3] Cass. Sez. II, sentenza del 1° febbraio 2005, n. 3288

Avv. Roberto Tedesco

Sono un Avvocato iscritto all’Ordine degli Avvocati di Monza dal 15.10.2014. Ho maturato un’importante esperienza in ambito di diritto penale con particolare riferimento, oltre ai reati contro la persona ed il patrimonio, ai reati di carattere tributario e fallimentare. Sono iscritto nella lista dei difensori d’ufficio ex art. 29 comma 1 bis norme attuazione c.p.p. Durante la mia attività professionale ho avuto modo di affrontare anche problematiche di natura civilistica in ambito di diritto di famiglia e contenzioso civile. Credo molto nella mia professione, mi ritengo fortemente motivato a svolgere con la massima professionalità ciascun incarico, anche in situazioni di urgenza ed emergenza che mi venga assegnato. Mi reputo una persona seria ed affidabile; capace sia di eseguire la propria attività in autonomia che di interagire e collaborare nell'ambito di un lavoro di team. Visita il mio sito web https://avvrobertotedesco.it/

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