I delitti dichiarativi nel D.Lgs. n. 74/2000: omessa dichiarazione, dichiarazione infedele, dichiarazioni fraudolente, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
I delitti dichiarativi nel D.Lgs. n. 74/2000: omessa dichiarazione, dichiarazione infedele, dichiarazioni fraudolente, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
A cura di Gennaro Vergara, partecipante dell’Executive Master in Diritto Tributario e Contenzioso.
I reati relativi alle imposte sui redditi e all’imposta sul valore aggiunto, previsti dal D.Lgs. n. 74/2000[1], possono essere distinti tra reati fraudolenti e quelli non fraudolenti. I primi sono la dichiarazione fraudolenta (art. 2), l’emissione di fatture false (art. 8), l’occultamento e la distruzione della contabilità (art. 10) e la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11). Quello non fraudolenti sono la dichiarazione infedele (art. 4), l’omessa dichiarazione (art. 5), l’omesso versamento di ritenute (art. 10 bis) e dell’IVA (art. 10 ter), l’indebita compensazione (art. 10 quater) ed il reato di false dichiarazioni e di esibizione di documenti falsi[2].
Tutti i reati hanno natura di delitti, in quanto la sanzione prevista dalla legge è quella della sola reclusione; non è mai comminata la sanzione dell’ammenda. Il Dlgs. n. 74/2000 mira a punire con la sanzione penale solo gli illeciti più gravi, vi sono soglie specifiche di punibilità per quasi tutte le fattispecie previste.
Esaurita questa premessa generale, il presente lavoro tratterà, seppur brevemente, soltanto i delitti dichiarativi:
- la dichiarazione fraudolenta (art. 2);
- la dichiarazione infedele (art. 4);
- l’omessa dichiarazione (art. 5);
- l’emissione di fatture false (art. 8);
I reati relativi alla dichiarazione sono tre: dichiarazione fraudolenta, infedele ed omessa[3]. La dichiarazione viene detta “infedele” quando un reddito netto è indicato nel suo esatto ammontare; è “incompleta” quando è omessa l’indicazione di una fonte reddituale; le due fattispecie sono comunque trattate allo stesso modo dal punto di vista della sanzione amministrativa[4].
La dichiarazione è omessa, invece, solo quando la stessa non è stata presentata ovvero è stata presentata oltre 90 giorni dalla scadenza[5]. È opportuno rappresentare che la normativa non qualifica come reato le violazioni tributarie commesse “a monte” della dichiarazione, come, a titolo esemplificativo, il non fatturare o il non registrare i corrispettivi, o il non tenere in modo regolare le scritture contabili. Ciò che rileva, dunque, è la violazione dell’obbligo di dichiarazione: i fatti prodromici non sono puniti, neppure a titolo di tentativo[6].
Tra il reato di dichiarazione fraudolenta e quello di truffa ai danni dello Stato vi è concorso apparente di norme, ossia un rapporto di specialità, rilevante ai sensi dell’art. 15 c.p., per cui chi commette il reato fiscale non realizza anche il reato di truffa di cui all’art. 640 c.p[7].
La dichiarazione fraudolenta, prevista dall’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000, è data dall’indicazione, in una delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o all’IVA, di costi fittizi, sulla base di fatture o altri documenti che si riferiscono ad operazioni inesistenti[8]. Il reato è commesso se una o più fatture o altri documenti (ricevute fiscali, schede carburanti, scontrini fiscali), relativi ad operazioni inesistenti, siano registrati nelle scritture contabili obbligatorie o detenuti a fini di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. L’utilizzazione fraudolenta di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, con riguardo all’IVA, è costituita sia dall’inesistenza oggettiva che in quella soggettiva dell’operazione rappresentata; di converso, ai fini delle imposte dirette, il reato è integrato solo dall’inesistenza oggettiva[9].
L’accertamento dell’elemento oggetto del reato si articola in due fasi:
- la prima è l’annotazione o detenzione di documenti falsi;
- la seconda è l’utilizzo di tali documenti nella dichiarazione dei redditi o IVA.
La pena prevista è individuata nel minimo di quattro a un massimo edittale di otto anni di reclusione; è ridotta da un minimo di un anno e sei mesi ad un massimo di sei anni qualora l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a € 100.000,00. Si prevede sia la possibilità di intercettazioni telefoniche che l’applicazione di custodia cautelare, rispettivamente ai sensi dell’art 266 e 280 c.p.
La seconda ipotesi di dichiarazione fraudolenta, prevista dall’art. 3 “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifizi”, si verifica quando nella dichiarazione sono omessi elementi attivi, o sono indicati elementi passivi fittizi o crediti e ritenuti fittizi, “compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria”[10]. Occorre, per configurare tale fattispecie delittuosa, che all’omissione di elementi attivi e all’indicazione di elementi passivi fittizi, si integri la presenza di dati falsi o fraudolenti. La norma, in virtù della clausola di riserva “fuori dei casi previsti dall’art. 2”, non prevede per la commissione del reato l’utilizzazione di fatture false, bensì altre falsità, a titolo esemplificativo: operazioni simulate, documenti falsi diversi dalle fatture, altri mezzi fraudolenti in genere, che siano tali da ingannare il fisco[11]. Il reato è commesso se i documenti falsi sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti ai fini della prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.
La normativa prevede una duplice soglia di punibilità, qualora: l’evasione è superiore, per singola imposta, a € 30.000,00; l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a € 1.500.000,00, o l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta è superiore al 5% dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a € 30.000,00. La pena è rappresentata da un minimo di tre anni ad un massimo edittale di otto anni di reclusione; sono possibili, quindi, intercettazioni telefoniche e la custodia cautelare[12].
Il reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, è realizzato dall’indicazione di elementi attivi inferiori a quelli reali, o di elementi passivi fattizi, per importi superiori a determinate soglie. In particolare, la fattispecie de qua viene commessa quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento ad una delle singole imposte, a € 100.000,00; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fattizi, è superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a € 2.000.000,00.
Il reato de quo può essere commesso anche dal soggetto non tenuto agli obblighi di contabilità. La norma prevede espressamente, al comma 1 bis dell’art. 4, che “non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali”.
Il comma 1 ter dell’art. 4 prevede che non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che, complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette; degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità.
La dichiarazione infedele è punita con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi e le soglie di punibilità sono elevate. Non sono possibili né le intercettazioni telefoniche né la custodia cautelare.
L’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000 regolamenta la dichiarazione omessa, la quale è punita nel caso in cui la singola imposta non dichiarata è superiore a € 50.000,00. Non è configurabile una soglia basata sul rapporto tra elementi attivi da dichiarare ed elementi dichiarati, in quanto, nel caso di specie, l’agente ha omesso la dichiarazione. È esclusa la rilevanza penale di un ritardo nella presentazione della dichiarazione contenuto nel limite di novanta giorni, inoltre, non è considerata omessa, ai fini penali, la dichiarazione non sottoscritta o non redatta su un uno stampato conforme al modello prescritto. La pena prevista è quella della reclusione da due a cinque anni. Il comma 1 bis della norma de qua prevede la configurazione del reato anche nel caso di omessa dichiarazione del sostituto d’imposta, il quale è punito con l reclusione da due a cinque anni se, essendovi obbligato, non presenta la dichiarazione, ma solo quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad € 50.000,00[13].
L’art. 8 del D.Lgs. n. 74/2000 prevede la configurazione del reato in capo a “chiunque” emette o rilascia fattura o altri documenti per operazioni inesistenti, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto[14]. La norma de qua prevede la sanzione della reclusione da quattro ad otto anni.
Il comma 2 bis dell’art. 8, stabilisce che se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo d’imposta, è inferiore a € 100.000,00, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. Le fatture false possono riguardare operazioni “oggettivamente” inesistenti, cioè cessioni non effettuate o servizi non resi; mentre quanto alle operazioni “soggettivamente” inesistenti, queste possono riguardare beni ceduti o servizi resi da un soggetto diverso da chi emette la fattura[15].
L’emissione di fatture false è un reato di pericolo astratto, per cui per l’integrazione del reato è sufficiente il mero compimento dell’atto tipico[16]; non ha rilievo se il destinatario utilizzi le fatture false, cioè se questi presenti una dichiarazione in cui sono indicati elementi passivi fittizi, basati su fatture false[17].
L’emissione di false fatture è considerata e punita in modo autonomo rispetto al reato dell’utilizzatore, infatti sono due delitti previsti in modo separato: chi emette e chi utilizza fatture false non sono puniti a titolo di concorso nell’altro delitto, come previsto dall’art. 9 Dlgs. 74/2000[18].
Nel caso in cui tra emittente ed utilizzatore vi sia un “intermediario”, quest’ultimo è punito per un solo reato e non a titolo di concorso in due reati.
L’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti, nel corso del medesimo periodo d’imposta, si considera come un solo reato; analogamente, è un solo reato il comportamento del soggetto che utilizza più fatture o documenti falsi (emessi dallo stesso o più soggetti), come supporto della stessa dichiarazione.
Per approfondire tutti i temi legati ai reati relativi alle imposte sui redditi e all’imposta sul valore aggiunto, potete affidarvi al Master in Diritto Tributario e Contenzioso di Meliusform Business School.
[1] Il D.gs. n. 74/2000, che ha attuato la delega prevista dall’art. 9, Legge n. 205/1999, è stato modificato dal D.Lgs. n. 158/2015. Caraccioli, I nuovi reati tributari – commento al d.leg. 24 settembre 2015 n. 158, Milano, 2016; Id., Processo penale tributario e difficile individuazione dei soggetti responsabili dei reati fiscali, in Riv. Dir. trib., 2017, III, p. 9; Dorigo, Reati Tributari, in Digesto comm. Agg. Vol. VIII, Milanofiori-Assago, 2017, p. 368; Mazza, I controversi rapporti fra processo penale e tributario, in Rass. Trib., 2020, p. 233; Flora, Dalla “Spazzacorrotti” alla “Spazzaevasori”. Brevi note critiche sulle recenti innovazioni legislative in materia di reati tributari, in Rass. Trib., 2020, p. 252. In precedenza, con il D.L. n. 429/1982, conv. con Legge n. 156/1982, fu soppressa la pregiudiziale tributaria (ossia la regola in base alla quale il processo penale, per i reati in materia di imposta dirette e di IVA, non poteva aver corso, se non quando era divenuto definitivo l’accertamento del tributo), e le norme incriminatrici furono congegnate in modo da punire la commissione di fatti prodromici o strumentali all’evasione (ossia alla dichiarazione). Il D.Lgs. n. 74/2000 ha abbandonato questo modello.
[2] Gli altri reati fiscali riguardano i tributi doganali e le accise (contrabbando).
[3] Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Parte Genarle, Utet Giuridica, Milano, 2020, p. 160.
[4] D.Lgs. n. 471/1997, art. 1, comma 2 (sanzione dal 90 al 180 per cento della maggiore imposta non dichiarata).
[5] D.Lgs. n. 471/1997, art. 1, comma 1 (sanzione dal 120 al 240 per cento della maggiore imposta dovuta).
[6] Da ciò deriva che l’utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, e le altre condotte fraudolente, non sono punibili come delitti tentati. In altre parole, se, prima della presentazione della dichiarazione, viene alla luce che un contribuente ha registrato in contabilità fatture false, non è applicabile l’art. 56 c.p. e non commette reato il contribuente che, nella compilazione della dichiarazione, non si avvalga di dati falsi.
[7] Cassazione penale, SS.UU., sentenza n. 1235 del 2011.
[8] Cassazione penale, sentenza n. 6360 del 2018 afferma che “Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 rileva non soltanto la falsità ideologica, ma anche quella materiale delle fatture o documenti posti a sostegno della dichiarazione falsale”.
[9] Cassazione penale, sentenza n. 6935 del 2017.
[10] Cassazione penale, sentenza n. 18698 del 2014, afferma che “la differenza tra l’imposta delittuosa dell’art. 2 e quella dell’art. 3 risiede nella natura del documento usato per commettere la frode fiscale. Ai fini dell’art. 2 deve trattarsi di fatture o altri documenti ad esse equiparati, mentre l’art. 3, occorrono una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie ed il fatto di avvalersi di mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento”.
[11] Cassazione penale, sentenza n. 1402 del 2005 “Il reato può essere realizzato con violazioni sistematiche e continue delle regole contabili, o con la tenuta di una contabilità “in nero”, o con l’utilizzo di conti correnti bancari per operazioni destinate a non essere contabilizzate; Cassazione penale, sentenza n. 1200 del 2011 “Il reato può essere realizzato con comportamenti maliziosamente tesi all’evasione ed accompagnati da una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie”; Cassazione penale, sentenza n. 42147 del 2019 “Integra il reato anche l’impiego del c.d. regime del margine nella colpevolezza dell’assenza dei presupposti normativi, realizzato mediante l’apposizione sulle fatture della dicitura prescritta dalla legge, con la conseguente annotazione di tali documenti contabili e delle relative operazioni nei registri fiscali, costituendo un mezzo fraudolento idoneo ad ostacolare l’accertamento ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria”.
[12] Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Parte Genarle, Utet Giuridica, Milano, 2020, p. 338-339.
[13] Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Parte Genarle, Utet Giuridica, Milano, 2020, p. 340.
[14] Aldrovandi, La nozione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti nel diritto vivente ed il nuovo volto del diritto penale tributario, in Indice penale, 2012, p. 217.
[15] Cassazione penale, sentenza n. 42147 del 2019 “Il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti si configura anche nell’ipotesi di fatture emesse a favore di ditte “cartiere”, sul presupposto della falsa dichiarazione di intento per l’esportazione e con la consapevole finalità di consentire a terzi di evadere le imposte o di conseguire un indebito rimborso o un inesistente credito d’imposta”.
[16] Cassazione penale, sentenza n. 1235 del 2010.
[17] Cassazione penale, sentenza n. 1028 del 2012 “Il reato di emissione e quello di utilizzazione di fatture false hanno momenti consumativi diversi. L’autore del falso è punibile immediatamente; l’utilizzatore quando presente la dichiarazione”.
[18] Cassazione penale, sentenza n. 3052 del 2007 “In deroga all’art. 110 c.p.: a) l’emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti non è punibile a titolo di concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta; b) chi utilizza fatture o altri documenti per operazioni inesistenti non è punibile a titolo di concorso (nel reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti). L’utilizzatore è punito solo per la dichiarazione falsa, e non per i reati prodromici, pur se, normalmente, l’utilizzatore di fatto partecipa al delitto di emissione, in quanto è intercorso un accordo tra emittente e beneficiario.”