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I diritti (reali) “fluttuanti”: tra prassi e diritto

A cura dell’Avvocato Alessio De Rita

L’attuale crisi economica, causata dalla pandemia di Covid-19, ha reso ancor più importante il ricorso a strumenti giuridici flessibili, in grado di conciliare la garanzia del creditore con la libertà commerciale del debitore. È innegabile infatti, la tendenza – invalsa soprattutto nella prassi bancaria – a creare una normazione secondaria, almeno in apparenza inconciliabile con i principi del nostro ordinamento e l’inidoneità delle garanzie mobiliari del credito – così come concepite dal legislatore del 1942 – a soddisfare le attuali esigenze di finanziamento esterno all’impresa.

La necessità di adattare il tradizionale istituto giuridico del pegno, alle rinnovate esigenze del ceto imprenditoriale e creditizio ha portato, sul finire degli anni novanta, gli operatori del diritto a teorizzare – sulla scorta dell’esperienza giuridica di altri ordinamenti[1]- l’edificazione di diritti reali “rotativi o fluttuanti”che insistono su beni fungibili, suscettibili di immediata successione in funzione sostitutiva con altri beni di valore equivalente.

La surrogazione reale dell’oggetto del pegno, dedotta nella convenzione costitutiva della garanzia, attribuisce a una o entrambi le parti del rapporto obbligatorio, il potere o la facoltà di sostituire i beni originariamente costituiti in garanzia con altri di equivalente valore, senza effetti novativi sulla genesi del rapporto di garanzia.

Nella delineata prospettiva, il bene pignoratizio verrebbe quindi in rilievo per il suo valore economico, c.d. “componente di valore”, e non per la sua individualità, sicché la sua sostituzione, in costanza di rapporto, con altri di equivalente valore, non sarebbe incompatibile con il diritto positivo, volto alla salvaguardia dell’interesse del ceto creditorio.

Il ragionamento su cui poggia tale ricostruzione, presuppone una specifica volontà negoziale che esclude qualsiasi effetto novativo del vincolo, a seguito della sostituzione totale o parziale della cosa oggetto di pegno e rappresenta l’intenzione delle parti di rendere unitaria l’operazione economica, i cui effetti risalgono alla consegna dei beni originariamente conferiti in garanzia[2].

Oltre all’equivalenza di valore, il percorso giurisprudenziale sviluppatosi a partire dalla sentenza n. 5264/1998, con la quale i giudici di legittimità riconobbero – per la prima volta – la piena “cittadinanza giuridica” al pegno rotativo, ha condotto all’individuazione dei requisiti di validità ed efficacia del “patto di rotatività”, costituito a latere di un’operazione di credito. In particolare, è richiesta a) l’esplicita previsione che le future ed eventuali sostituzioni avvengano nel rispetto dei limiti del valore dei beni originariamente costituiti in pegno; b) la sostituzione reale dei beni mediante spossessamento (quest’ultimo, da intendersi come vincolo di indisponibilità sui beni); c) la scrittura avente data certa con sufficiente indicazione della cosa e del credito (sul punto, i giudici di legittimità, con la sentenza n. 10685/1999, hanno statuito la riferibilità della scrittura avente data certa all’atto costitutivo del pegno originario).

Sul tema dei requisiti di validità ed efficacia del patto rotativo è intervenuta nuovamente la Suprema Corte, con la pronuncia n. 1526/2010, con la quale, i giudici di legittimità, hanno escluso dal novero degli elementi essenziali del patto richiesti a pena di nullità, la previsione della parità di valore tra bene sostitutivo e bene sostituito e la specificazione che la sostituzione dei beni oggetto di garanzia debba essere accompagnata dalla consegna. Detti requisiti rilevano infatti solo ai fini dell’opponibilità ai terzi del diritto di prelazione vantato dal creditore sui beni pignorati.

Alla luce di queste premesse, la struttura del pegno così delineato non pare derogare di per sé agli elementi immanenti l’istituto, e in particolare, alle caratteristiche di immediatezza, assolutezza ed inerenza riconosciute in generale ai diritti reali.

D’altra parte, è noto che il legislatore ha riservato a sé stesso il potere di qualificare, in relazione agli interessi positivi sottesi, le situazioni giuridiche meritevoli di tutela. Nell’ambito dei diritti reali di garanzia, la riserva di legge è declinata secondo i noti principi del numerus clausus e della tipicità, attenendo il primo all’esclusività della fonte, ed il secondo alla determinazione del contenuto. Entrambi i principi suesposti, costituiscono una limitazione all’autonomia privata nella scelta di schemi negoziali alternativi, quali mezzi di realizzazione di garanzie reali. Al riguardo, basti qui rilevare, la natura accessoria del patto di rotatività, trattandosi “del separato accordo con il quale il creditore e il debitore hanno convenuto che i beni oggetto della garanzia potessero essere in un secondo momento sostituiti, in tutto o in parte”[3]il quale, pertanto, non si porrebbe in contrasto con i predetti principi, costituendo fattispecie “anomala” di realizzazione della causa del contratto costitutivo di pegno.

Orbene, procedendo da simili premesse, va tuttavia evidenziato che nel nostro codice civile sono già presenti specifiche disposizioni volte proprio a salvaguardare la continuità della garanzia patrimoniale, nonostante il variare dei beni gravati da vincolo. Così, nel caso dell’indennità dovuta dall’assicuratore per il perimento o il deterioramento delle cose soggette a privilegio, pegno o ipoteca (art. 2742 c.c.); nel caso di deterioramento o diminuzione del valore del bene oppignorato è fatta salva la facoltà del costituente di evitare la vendita offrendo altra garanzia reale ritenuta dal giudice all’uopo idonea (art. 2795 c.c.); ed ancora, con riferimento alla disciplina dell’ipoteca, nel caso di devoluzione o cessazione dell’enfiteusi o del diritto di superficie, secondo le diverse ipotesi disciplinate dagli artt. 2815 – 2816 c.c. e, nel caso di ipoteca su beni indivisi, dove, se nella divisione sono assegnati al partecipante beni diversi da quello da lui ipotecato, l’ipoteca si trasferisce su questi altri beni, con il grado derivante dall’originaria iscrizione e nei limiti del valore del bene in precedenza ipotecato (art. 2825 co. 2 c.c.); ed infine, nel caso del pegno di crediti avente a oggetto beni non fungibili (art. 2803 c.c.), dove, nell’ipotesi in cui il credito garantito risulti essere già scaduto, il diritto di pegno insiste sul ricavato della vendita forzata, ai sensi dell’art. 2797 c.c.[4]

Le fattispecie testé delineate, pur nella diversità delle ipotesi regolate, presentano una caratteristica comune: il bene vincolato viene ora in rilievo per la sua componente di valore, in piena adesione all’interesse del titolare del diritto a veder soddisfatte le proprie ragioni creditorie, indipendentemente dalla stabilità del bene vincolato in funzione di garanzia.

Esistono inoltre forme di garanzia reale, disciplinate da leggi speciali, che consentono la trasformazione ovvero la sostituzione totale o parziale del bene oggetto di convenzione. In particolare, la L. n. 401/1985 recante “Norme sulla costituzione di pegno sui prosciutti a denominazione di origine tutelata”, con la quale il legislatore ha introdotto nell’ordinamento una ipotesi di pegno rotativo sui prosciutti a denominazione di origine tutelata, onde contemperare le peculiari esigenze produttive con l’operatività delle forme di finanziamento. In tal modo, il pegno costituito su una certa quantità di beni (nella fattispecie prosciutti) a garanzia di un credito, permane identico nel corso dell’intero processo produttivo, fino a trasferirsi automaticamente sul prodotto finale.

La L. n. 122/2001 recante “Disposizioni modificative e integrative alla normativa che disciplina il settore agricolo e forestale”, con la quale si è inteso estendere anche ai prodotti lattiero-caseari a denominazione di origine a lunga stagionatura, la predetta normativa in materia di pegno sui prosciutti a denominazione di origine tutelata.

La recente normativa, di cui al D.Lgs n. 59/2016 recante “Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione”[5]con il quale è stato introdotto nel nostro ordinamento la figura del “pegno mobiliare non possessorio”, avente a oggetto beni aziendali (es. i macchinari aziendali o le materie) suscettibili di trasformazione o alienazione nel corso del processo produttivo, ovvero crediti inerenti all’esercizio dell’impresa, con l’esplicita previsione che, in tal caso, il diritto reale di garanzia si trasferisce automaticamente al prodotto risultante dalla trasformazione o al corrispettivo della cessione del bene gravato ovvero al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che ciò comporti effetti novativi sull’originario rapporto di garanzia.

Oltre a ciò, è utile infine ricordare l’art. 87 del D.Lgs n. 58/1998 contenente il Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria; l’art. 34 co. 2 del D.Lgs 231/1998 recante “Disposizioni per l’introduzione dell’Euro nell’ordinamento nazionale a norma dell’art. 1, comma 1, della Legge 17 dicembre 1997 n. 433”; e da ultimo, l’art. 7 del D.Lgs n. 70/2004, con cui è stata recepita la direttiva 2002/47/CE in materia di contratti di garanzia finanziaria.

Alla stregua delle considerazioni suesposte e delle ipotesi di surrogazione ex lege enunciate, è quindi evidente che l’esigenza di “superare nella garanzia reale l’immobilità dell’oggetto e la sua fissità in funzione di garanzia del credito quando l’oggetto, per le sue caratteristiche ontologiche, assuma un ruolo importante sia nell’ambito del processo produttivo dell’impresa, sia nel mercato dei capitali”[6]fosse fortemente avvertita dal mercato. Per di più, le fattispecie introdotte dal legislatore dimostrano la compatibilità del modello di “garanzia rotativa” con i principi del nostro ordinamento giuridico e trovano, oggi, conforto e completezza nella moderna elaborazione dottrinale, a cui va imputata la costruzione teorica e formale del pegno rotativo, accolta successivamente dalla giurisprudenza delle Corti.

Ora, valorizzando simili premesse, autorevole dottrina, nel tentativo di armonizzare la prassi negoziale con la tipicità della disciplina legale, ha individuato ulteriori ipotesi di surrogazione reale rispetto a quelli astrattamente previste dalla legge. Così, la speculazione teorica ha volto l’attenzione all’ambito dei diritti reali che conferiscono un godimento al loro titolare, interrogandosi sulla configurabilità giuridica dell’“usufrutto rotativo”[7].

Come è noto, la disciplina del codice civile del 1942 è permeata sulla “fissità” del bene su cui insiste il diritto, il quale, al termine dell’usufrutto, deve essere restituito al nudo proprietario. Lo schema tradizionale di usufrutto delineato dal legislatore ben si presta dunque a qualunque specie di bene durevole – mobile o immobile – suscettibile di un godimento successivo e continuato[8].

Quanto ai tratti caratterizzanti, l’usufrutto consiste nel diritto di godere della cosa altrui con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica (art. 981 c.c.). Il contenuto del diritto coincide dunque con la facoltà dell’usufruttario di trarre dalla cosa ogni utilità e di percepirne i frutti.

Ora, con riferimento a beni individuati nel genus(ad es. un portafoglio di strumenti finanziari), sembra ragionevole ritenere che la surrogazione dell’oggetto su cui l’usufrutto insiste, lasci inalterata la funzione di godimento tipica dell’istituto e persegua ugualmente la realizzazione della causa del contratto.

Ebbene, muovendo da queste considerazioni, è stato quindi osservato, sulla scorta delle osservazioni svolte nell’ambito delle garanzie mobiliari del credito, che la previsione convenzionale della fungibilità dell’oggetto dell’usufrutto, in costanza di rapporto, sarebbe compatibile con il diritto positivo, in quanto “il divieto di costituire diritti in re aliena diversi da quelli previsti dal codice limita la libertà contrattuale in relazione alla struttura del diritto reale, non al contenuto dello stesso”[9]cosicché, fermi i suoi caratteri essenziali[10], le parti ben potrebbero mutarne l’oggetto per il perseguimento di interessi riconosciuti leciti dall’ordinamento.

Ad avallare ulteriormente detta constatazione, occorre sottolineare che nel codice civile del 1942, sono espressamente disciplinate alcune ipotesi particolari di usufrutto che consentono la trasformazione ovvero la sostituzione totale o parziale del bene oggetto di convenzione.

A titolo meramente esemplificativo, basti qui annoverare, l’usufrutto di universalità di mobili (di cui sono espressione gli artt. 989 – 994 – 2555 -2561 c.c.) costituito sul complesso unitario di beni e non solo sulle singole parti, le quali possono quindi subire variazioni senza che venga alterata l’unitarietà funzionale dell’intero aggregato. Ciò in quanto, l’universalità rimane sempre tale, “come oggetto di diritti, nonostante il mutare dei singoli elementi che la compongono”[11]. Ed ancora, nell’usufrutto di partecipazioni sociali (in caso di scioglimento della società) e nell’usufrutto di capitale (art. 1000 c.c.) opera parimenti un meccanismo di surrogazione reale, per cui il diritto si traferisce ipso iure, rispettivamente, sulla quota corrispondente in sede di riparto dell’attivo e sul capitale riscosso. Oltre a ciò, occorre menzionare gli artt. 1017 – 1019 – 1020 c.c., i quali delineano altrettante ipotesi di surrogazione reale, nel caso in cui il bene su cui insiste l’usufrutto perisca ovvero venga interessato da un provvedimento amministrativo: il diritto in questi casi si trasferisce, rispettivamente, sull’indennità dovuta dal responsabile del danno, dall’eventuale assicurazione ovvero dalla pubblica amministrazione, qualora quest’ultima abbia requisito o espropriato per pubblico interesse la cosa oggetto di usufrutto. L’art. 1018 c.c. disciplina, infine, il diritto dell’usufruttario di godere dell’area e dei materiali in caso di perimento dell’edificio oggetto di usufrutto.

In definitiva, alla luce delle considerazioni suesposte, può quindi concludersi che l’usufrutto rotativo – così come osservato per il pegno rotativo – non solo è compatibile con la disciplina sostanziale di cui agli artt. 978 e ss c.c., ma dimostra altresì familiarità con il nostro ordinamento, il quale prevede espressamente specifiche disposizioni coerenti con il meccanismo della surrogabilità reale dell’oggetto su cui insiste il diritto di usufrutto.

Osservazioni

In conclusione, alcune osservazioni di carattere generale sul patto di rotatività a latere di un negozio giuridico.

La configurabilità, nel nostro sistema, di diritti “fluttuanti”, aventi cioè a oggetto un bene “dinamico”, suscettibile di trasformazione o alienazione, senza riverberi novativi sull’identità del rapporto giuridico, induce a riflettere se la precipua caratteristica di detti diritti sia riproducibile in altri ambiti, oltre quelli strettamente inferenti con la presente trattazione.

Ora, a me sembra, che il concetto di floating rights, con il quale si indica, appunto, quei diritti che insistono su beni che possono mutare nel tempo, ben possa trovare applicazione, ad esempio, in materia successoria. Si pensi alla facoltà del testatore di nominare uno o più esecutori testamentari(artt. 700 e ss c.c.), i quali, salva diversa volontà del de cuius, subentrano a quest’ultimo nella titolarità del patrimonio ereditario, con l’obbligo di compiere tutti gli atti di gestione occorrenti, ivi compresa l’alienazione di beni inerenti la massa ereditaria, con l’effetto di sostituire ai beni ereditari il loro equivalente economico. Orbene, l’aspetto che qui rileva, è la mutabilità della composizione del patrimonio ereditario su cui insiste il diritto dei designati alla successione del defunto. Così ricostruita, la surrogabilità reale dell’oggetto su cui insiste il diritto successorio, pare una conseguenza naturale dell’attività gestoria dell’esecutore testamentario, il quale – per far fronte alle funzioni del suo ufficio (es. estinguere le passività ereditarie, alienare beni deperibili o la cui custodia e manutenzione risulti particolarmente onerosa) – può modificare la consistenza patrimoniale e, di conseguenza, anche la natura dei beni spettanti ai chiamati all’eredità.

Ed ancora, la categoria dei floating rights è suscettibile di applicazione anche con riferimento all’istituto del trust. Quest’ultimo, come è noto, rappresenta uno strumento giuridico tipico del diritto anglosassone, ormai da tempo riconosciuto anche nell’ordinamento italiano[12], connotante una peculiare operazione negoziale, attraverso cui un soggetto (c.d. settlor) trasferisce la titolarità legale di determinati beni – con atto inter vivos o mortis causa– a un altro soggetto (c.d.trustee) nell’interesse di uno o più beneficiari, i quali vantano dunque, un diritto personale all’adempimento del trustda parte del trustee.

Non è possibile, qui, fornire una ricostruzione sistematica dell’istituto, pertanto, mi soffermerò esclusivamente sull’aspetto più rilevante ai fini della presente trattazione: la possibilità di surrogazione reale dei beni costituenti il trust fund.

È ben noto, che i beni conferiti in trust costituiscano un “universitas facti”, in cui le singole cose corporali componenti l’universalità (le quali vengono in rilievo esclusivamente per il valore economico) possono formare oggetto di disposizione da parte del trustee, cosicché il diritto dei beneficiari “fluttua” sul prezzo della cessione ovvero sul nuovo bene acquistato con il ricavato della vendita dell’altro[13].

In definitiva, non v’è alcuna ragione per negare la validità e l’efficacia di una manifestazione di volontà che dia origine a un diritto “fluttuante” ovvero insistente su beni determinati o determinabili con un intrinseco valore economicamente apprezzabile.

 

[1]Si pensi all’istituto anglosassone della floating charge. Sul punto, G. Terranova, “Dai floating rights all’usufrutto rotativo”, in Rivista di diritto bancario, fasc. 3, 2020; M. Magnano, “L’autonomia privata e le garanzie reali: il tentativo di un superamento del principio di tipicità”, in La Nuova giurisprudenza civile commentata, fasc. 6, pt. 2, 2002; E. Gabrielli, “Garanzie rotative, garanzie fluttuanti e trust. Problemi generali”, in Trusts e attività fiduciarie, fasc. 4, 2002.

[2]E. Gabrielli, “Il pegno anomalo”, Padova, 1990; C. Abatangelo, “La clausola di rotatività del pegno: requisiti di efficacia e profili di responsabilità”, in La responsabilità civile, fasc. 10, 2011; C. Scaroni, “Le garanzie rotative”, in La nuova giurisprudenza civile commentata, fasc. 6, pt. 2, 1999; M. Magnano, op. cit.; L. Ruggeri, “Il pegno rotativo”, in La nuova giurisprudenza civile commentata, fasc. 6, pt. 2, 2002; R. Dabormida, D. Pistone, “Conferme dalla Cassazione in tema di pegno rotativo”, in Corriere giuridico, fasc. 9, 2000; F. Commisso, “Sui requisiti del pegno rotativo”, in Il fallimento, fasc. 5, 2005; L. Panzani,“Pegno rotativo e pegno sugli strumenti finanziari”, in Il fallimento, fasc. 9, 2002; M. M. D’Aguì, “Pegno rotativo e rilevanza della forma scritta”, in I contratti, fasc. 11, 2013; E. Gabrielli, op. cit.

[3]Ved. Cass. n. 5264/1998.

[4]R. Dabormida, D. Pistone, “Conferme dalla Cassazione in tema di pegno rotativo”, in Corriere giuridico, fasc. 9, 2000, pag. 1229; L. Panzani, “Pegno rotativo e pegno sugli strumenti finanziari”, in Il fallimento, fasc. 9, 2002, pag. 945; L. Ruggeri, “Il pegno rotativo”, in La nuova giurisprudenza civile commentata, fasc. 6, pt. 2, 2002, pag. 711.

[5]Convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, L. n. 119/2016.

[6]E. Gabrielli, voce “Rotatività della garanzia”, in Digesto disc. priv., Sez. civ., VI, Torino, 1999, pag. 822.

[7]A. Busani, “L’usufrutto rotativo su strumenti finanziari in portafoglio”, in Rivista di diritto civile, fasc. 1, 2019; G. Terranova, “Dai floating rights all’usufrutto rotativo”, in Rivista di diritto bancario, fasc. 3, 2020.

[8]G. Pugliese, “Usufrutto, uso e abitazione”, in Trattato di diritto civile, Torino, 1972, pag. 645.

[9]Ved. Cass. n. 100/2013.

[10]Durata necessariamente temporanea (art. 979 c.c.) e suddivisione delle prerogative tra usufruttario e nudo proprietario cosi come previste dalla legge.

[11]A. Gambaro, “La posizione soggettiva dell’affidatario fiduciario e la segregazione patrimoniale”, in AA.VV., Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressione di un diritto civile postmoderno, Quaderni della Fondazione italiana del Notariato, n. 1, Roma, 2017, pag. 156.

[12]Recepimento della Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento mediante L. n. 364/1989.

[13]G. Terranova, op. cit., pagg. 466-469.

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