sabato, Aprile 20, 2024
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I metodi di insegnamento possono essere tutelati dal diritto d’autore?

Chi potrebbe mai pensare che l’insegnamento possa comportare la creazione di opere intellettuali oggetto di tutela dal diritto d’autore?

Eppure, la problematica sul se il materiale didattico fornito dal docente, in specie le c.d. “dispense” tanto amate dagli studenti universitari, o anche il metodo di insegnamento impiegato, potessero o meno considerarsi opera intellettuale, è stata fonte di ampia discussione.

Se si riflette, non vi è sito, tra quelli che offrono corsi online con rilascio di materiale, che non faccia presente all’utenza che un utilizzo non autorizzato e a sfondo economico di quest’ultimo comporterebbe una violazione della Legge sul diritto d’autore (Legge n. 633 del 22/04/1941 [1]). D’altra parte, la stessa Legge autorizza la fotocopia dei libri di testo ponendo però, al contempo, precise limitazioni: è, sicuramente, noto a tutti, ed in particolare a chi frequenta le copisterie presso le rispettive sedi di Ateneo, che il limite massimo di copie realizzabili per ciascun volume o fascicolo, ovviamente ad uso esclusivamente personale, è fissato al 15%.

La differenza tra i due esempi sopra riportati sta nell’utilizzo, economico o personale, che viene fatto del materiale fornito. Ai sensi dell’art. 12 della Legge sul diritto d’autore, infatti, solo l’autore dell’opera ha “il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo originale, o derivato, […]” [2]. Pertanto, a meno che il diritto di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno non sia stato espressamente ceduto dall’autore, un qualunque tipo di commercializzazione della stessa comporterebbe una violazione dei diritti di quest’ultimo. Nell’ipotesi di uso personale della stessa (quindi, tassativamente privato), invece, il problema non si pone sempre, ovviamente, che si rimanga entro i limiti di “copie consentite”, altrimenti si creerebbe una situazione totalmente diversa.

Tuttavia, nell’eventualità di copia realizzata e destinata ad uso non personale, ad esempio per una dispensa di studio in un corso universitario, è necessario chiedere una specifica autorizzazione ai legittimi titolari dei diritti d’autore sull’opera dalla quale il materiale costituente oggetto della stessa è tratto (anche il materiale didattico prodotto ad hoc da un docente, comunque, è protetto dalla legge). Appare correttamente deducibile, quindi, che ogni diffusione ad uso non personale di un’opera debba essere espressamente autorizzata dal legittimo titolare dei diritti sulla stessa. Tale necessità è dovuta, tra le altre cose, al fatto che, ai sensi dell’art. 70 della Legge sul diritto d’autore del 22/04/1941, n. 633 [3], l’autore di un materiale didattico detiene sempre anche i diritti morali sull’opera prodotta e, in particolare, il diritto all’integrità e alla paternità dell’opera ( da cui, inoltre, deriva l’impossibilità, da parte di altri, di modificare i testi forniti senza aver ricevuto previo consenso da parte dello stesso). In aggiunta a ciò, “il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell’opera, dei nomi dell’autore, dell’editore e, se si tratti di traduzione, del traduttore, qualora tali indicazioni figurino sull’opera riprodotta” [4].

Giova precisare, in merito, che il succitato art. 70 della Legge sul diritto d’autore del 22/04/1941, n. 633, prevede per la didattica un’eccezione al monopolio degli autori sulle loro opere, consentendo l’uso di materiale protetto per finalità espressamente didattiche. Tale eccezione, si precisa, è il risultato di un bilanciamento tra l’interesse degli autori ad avere un ritorno economico dall’utilizzo della propria opera e quello, di natura collettiva, alla diffusione della cultura. Tale libero utilizzo, si rammenta, è, tuttavia, sottoposto ad una serie di limitazioni, bene indicate dalla suddetta legge, quali:

  1. L’opera non può essere utilizzata nel suo intero. Potranno, quindi, esserne riprodotte solo parti e/o brani;
  2. L’utilizzo deve essere finalizzato alla sola critica o, comunque, all’insegnamento;
  3. Tale utilizzo non deve comportare un’attività di concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera “madre”;
  4. Ogni libero utilizzo deve essere necessariamente accompagnato da un adeguato rimando alla fonte di provenienza.

Per quanto riguarda il materiale didattico in quanto tale, perciò, è pacifico che la tutela autoriale sia anche ad esso estesa. Non per nulla, l’art. 2 della Legge sul diritto d’autore del 22/04/1941, n. 633, cita espressamente, nel novero delle opere tutelate, quelle di natura didattica [5].

Alla luce del quadro normativo esposto emerge, quindi, che il diritto d’autore non protegge le idee ed i concetti in quanto tali ma solo la loro estrinsecazione, ossia l’espressione formale delle idee e dei concetti in un’opera, purché contemplata dalla Legge sul diritto d’autore del 22/04/1941, n. 633.

Su tale base, tuttavia, resta il problema circa la tutelabilità, da parte del diritto d’autore, del metodo di insegnamento, ampiamente affrontato dalla giurisprudenza.

Si evidenzia, in merito, la sentenza del Tribunale di Milano n. 9538/2017 [6], con la quale il giudice meneghino ha escluso che un metodo d’insegnamento, da intendersi come il complesso di nozioni sulle quali lo stesso si fonda, possa, di per sé, essere tutelato dalla Legge sul diritto d’autore, andando questo a tutelare non l’idea in quanto tale bensì la sua peculiare manifestazione, la quale assume la forma di un’opera percepibile ai sensi.

Ancora, giova porre l’accento sulla controversia, della quale venne sempre investito il Tribunale di Milano, instaurata, dietro iniziativa dell’Associazione Italiana Ricerche Metodo Terzi (con atto di citazione notificato il 18/03/14), nei confronti delle Sig.re Annalisa Risoli, Manuela Capettini, Elena Arosio e Chiara Incorpora.

La parte attrice chiedeva che il Tribunale accertasse la sua esclusiva titolarità di tutti i diritti d’autore e di utilizzazione economica sulle opere della signora Ida Terzi (la quale aveva ceduto i diritti di utilizzazione economica sulle stesse alla parte attrice in data 03/07/1995) e delle altre opere pubblicate dalla stessa AIRMT, dei quali lamentava la violazione da parte delle convenute.

In particolare, oggetto della controversia era un metodo di insegnamento creato (e, in seguito, teorizzato) dalla Sig.ra Ida Terzi, quale strumento di ausilio per bambini non vedenti il quale, lamentava la parte attrice, era stato totalmente ripreso, senza autorizzazione o consenso, dalle parti convenute nella realizzazione di un loro protocollo riabilitativo il quale, tra l’altro, oltre ad essere stato pubblicato su una rivista di settore, era stato oggetto di un corso sul metodo Terzi da queste organizzato presso La Sacra famiglia ONLUS.

Alla luce di ciò, l’Associazione chiedeva la condanna delle convenute per l’organizzazione non autorizzata del suddetto corso e per illegittima violazione del marchio “Metodo Terzi”, di titolarità di AIRMT [7], con condanna di queste al risarcimento dei danni, alla rimozione dell’articolo ed alla pubblicazione della sentenza.

A fronte delle contestazioni presentate dalla AIRMT (violazione del diritto d’autore sulle proprie pubblicazioni, con conseguente lesione del diritto di utilizzazione economica delle stesse, del diritto morale ed all’immagine, ed il diritto sul marchio), le convenute rispondevano sostenendo che:

  1. Il diritto d’autore non protegge le idee ed i concetti, ma solo la loro espressione formale in un’opera, sicché un metodo, tanto più medico-scientifico, non ne può essere oggetto, posto che una siffatta privativa si porrebbe in contrasto con la libertà scientifica ex art. 33 Cost;
  2. Nessuna delle espressioni formali né delle dispense, né dell’opera di Ida Terzi era stata ripresa nell’articolo in oggetto, che propone una evoluzione del Metodo Terzi sotto il profilo riabilitativo e delle neuroscienze [8];
  3. Il Metodo di insegnamento Terzi, mai riconosciuto in ambito scientifico, era in realtà un’evoluzione delle teorie di Augusto Romagnoli e Maria Montessori, elaborate negli anni Venti del secolo scorso;
  4. L’articolo contestato era stato realizzato in seguito ad una rielaborazione ad opera di una delle convenute, la Sig.ra Risoli, e non monopolizzabili dall’attrice, mentre i protocolli sul trattamento riabilitativo erano stati realizzati per la ONLUS Sacra Famiglia;
  5. Il corso contestato non era stato, di fatto, tenuto;
  6. La non sussistenza della titolarità di diritti d’autore in capo alla Associazione attrice, sia sulle opere della Sig.ra Terzi (spettando quelli di utilizzazione agli eredi e quelli morali ai congiunti) che sulle dispense, realizzate unicamente dalla Sig.ra Risoli avvalendosi della collaborazione delle altre.

Inoltre, le convenute chiedevano il riconoscimento della responsabilità aggravata dell’attrice sia alla luce delle espressioni gratuitamente offensive utilizzate nei loro confronti ex art. 89 c.p.c., sia per mala fede e colpa grave della controparte nel promuovere l’azione ex art. 96 c.p.c..

Il Tribunale, di fronte a tali (e, va detto, numerose) contestazioni, pur rigettando le richieste ex. artt. 89 e 96 c.p.c delle convenute si pronunciava, nel merito, in totale accordo con le stesse, rigettando le domande dell’Associazione attrice e condannandola al pagamento delle spese di lite, compensi ecc., per un totale di € 20.000,00.

Nello specifico, il Tribunale motivava la propria decisione argomentando che:

  • A fronte di pacifica e concorde lettura della normativa sul diritto d’autore, oggetto di protezione è esclusivamente il modo con cui l’idea viene espressa ed esteriorizzata attraverso uno dei mezzi espressivi elencati a titolo esemplificativo dagli artt. 1 e 2 della Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22/04/1941, assumendo la forma di un’opera immediatamente percepibile ai sensi.
  • Non è mai tutelato, ai sensi della L.d.A., un insegnamento di natura tecnica e scientifica che può, se in possesso degli opportuni requisiti, divenire oggetto di diverse forme di privativa (es. brevetti industriali) le quali, con le loro “durate di vita limitate”, rispondo all’esigenza collettiva di favorire il progresso delle scienze e delle conoscenze applicate (non è, quindi, ipotizzabile una tutela da parte del diritto d’autore, di durata nettamente più lunga);
  • Per quanto le opere nelle quali il relativo insegnamento si é estrinsecato siano oggetto di tutela autoriale, oggetto di doglianza non è stata la riproduzione di opere di Ida Terzi ma le “Dispense del Primo e Secondo Modulo del Metodo Terzi”, opera collettiva realizzata nel 2009 sotto la direzione di Risoli con la collaborazione di altre convenute;
  • Nessuna riproduzione delle Dispense risulta rinvenibile nell’articolo contestato;
  • In merito al corso, mai tenuto, nessuna autorizzazione di AIRMT era necessaria, per chiunque, per svolgere attività didattico applicativa del Metodo Terzi;
  • Un’associazione che pubblichi un’opera può certamente essere legittima titolare, a titolo originario o a titolo derivativo, dei relativi diritti ex. Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22/04/1941.
  • Considerato che [..] “Metodo Terzi” è la denominazione generica della pratica terapeutica […] la suddetta espressione non può costituire il “cuore” del marchio registrato, che altrimenti sarebbe totalmente privo di distintività, incorrendo nel divieto di cui all’art. 13 CPI e nella conseguente nullità di cui all’art. 25 lett. b) CPI [9] [10] [11].

Entrambe le sentenze riportate, quindi, confermano l’orientamento in base al quale il metodo di insegnamento, in quanto tale, non possa essere oggetto di tutela da parte del diritto d’autore, non escludendo, al contempo, dal novero delle opere protette da quest’ultimo ciò che rappresenta una sorta di estrinsecazione di tale metodo, ovvero il materiale didattico fornito.

[1] Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22/04/1941, disponibile qui: http://www.interlex.it/testi/l41_633.htm

[2] Art. 12 Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22/04/1941.

[3] Art. 70 Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22/04/1941.

[4]  Art. 70, terzo comma, Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22/04/1941.

[5] Art. 2 Legge sul diritto d’autore n. 633 del 22/04/1941.

[6] Sentenza del Tribunale di Milano n. 9538/2017, pubblicata il 22/09/2017, RG n. 49847/2014, disponibile qui: .

[7] Cfr. sentenza del Tribunale di Milano n. 14716/2015, pubbl. il 24/12/2015, disponibile qui: https://juriswiki.it/decision/sentenza-tribunale-milano-14716-2015-it/.

[8] Cfr. sentenza del Tribunale di Milano n. 14716/2015, pubbl. il 24/12/2015.

[9] Cfr. sentenza del Tribunale di Milano n. 14716/2015, pubbl. il 24/12/2015.

[10] Art. 13 c.p.i., disponibile qui: https://www.brocardi.it/codice-della-proprieta-industriale/capo-ii/sezione-i/art13.html;

[11] Art. 25, lettera b), c.p.i., disponibile qui: https://www.brocardi.it/codice-della-proprieta-industriale/capo-ii/sezione-i/art25.html;

Valentina Ertola

Dott.ssa Valentina Ertola, laureata presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma 3 con tesi in diritto ecclesiastico ("L'Inquisizione spagnola e le nuove persecuzione agli albori della modernità"). Ha frequentato il Corso di specializzazione in diritto e gestione della proprietà intellettuale presso l'università LUISS Guido Carli e conseguito il diploma della Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l'Università degli Studi di Roma3. Nel 2021 ha superato l'esame di abilitazione alla professione forense. Collaboratrice per l'area "IP & IT".

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