venerdì, Marzo 29, 2024
Diritto e Impresa

I piani attestati di risanamento nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Il d.lgs. n. 14/2019 (cosiddetto Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza o CCI) prevede una compiuta disciplina in merito al piano attestato di risanamento, tanto con riferimento al contenuto del piano, quanto alla sua natura negoziale[1]. Per la prima volta, il legislatore italiano ha infatti attribuito rilevanza a un atto non soggetto a un preventivo vaglio giudiziale, né ad alcuna forma di pubblicità.

La legge fallimentare ha dedicato al piano di risanamento una sola previsione, contenuta nell’art. 67, comma 3°, lett. d), l. fall.[2], la quale regola esclusivamente gli effetti nell’ambito delle esenzioni dall’azione revocatoria fallimentare.

Il nuovo CCI riconosce, pertanto, che la rilevanza del piano è ben più ampia della mera esenzione da revocatoria[3], ampliando il novero degli strumenti utilizzabili per prevenire la liquidazione giudiziale e il manifestarsi dell’insolvenza.

Tale istituto rappresenta, ad avviso della dottrina, “la punta più avanzata del processo di privatizzazione della crisi d’impresa[4].

Lo strumento del piano di risanamento ha visto, anteriormente all’emanazione del CCI, un complicato e poco efficace utilizzo in funzione del definitivo superamento delle crisi aziendali: ciò a causa della vaghezza dei contenuti e delle tempistiche delle approvazioni, che tendevano a sopraggiungere quando i piani risultavano ormai in parte superati[5].

Il CCI, così come modificato dal d.lgs. n. 147/2020 (cosiddetto decreto correttivo al CCI), dedica all’istituto de quo l’art. 56, contenuto nel Titolo IV (“Strumenti di regolazione della crisi”), Capo I (“Accordi”), Sezione I (“Strumenti negoziali stragiudiziali”). Coerentemente con la sua collocazione sistematica, la rubrica dell’art. 56 fa espresso riferimento alla nozione di “Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento”, il che testimonia l’intento legislativo di dare rilievo ad atti dispositivi del patrimonio del debitore (quali, ad esempio, dimissioni ovvero concessione di nuove garanzie)[6].

Il comma 1° di tale disposizione recita: “l’imprenditore in stato di crisi[7] o di insolvenza[8] può predisporre un piano, rivolto ai creditori, che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione economico finanziaria”.

L’art. 56 precisa al comma 2° che “il piano deve avere data certa e deve indicare:

  1. la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa;
  2. le principali cause della crisi;
  3. le strategie d’intervento e dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria;
  4. i creditori e l’ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative, nonché l’elenco dei creditori estranei, con l’indicazione delle risorse destinate all’integrale soddisfacimento dei loro crediti alla data di scadenza;
  5. gli apporti di finanza nuova;
  6. i tempi delle azioni da compiersi, che consentono di verificarne la realizzazione, nonché gli strumenti da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivo e la situazione in atto;
  7. il piano industriale e l’evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario”.

Anteriormente all’approvazione del decreto correttivo, che ha introdotto al comma 2°, lett. d), la previsione di un “elenco dei creditori estranei”, in dottrina è stata sollevata la questione se il piano dovesse essere rivolto o meno alla totalità dei creditori. Sebbene a tale interrogativo fosse già stata fornita una risposta negativa, giungendo alla conclusione che il piano non debba necessariamente coinvolgere la totalità dei creditori, bensì solamente quelli con cui occorra addivenire ad accordi in esecuzione del piano medesimo[9], il dubbio è stato definitivamente risolto per merito della precisazione apportata dal suddetto decreto correttivo.

La ratio sottesa all’art. 56 CCI è quella di salvaguardare i tradizionali erogatori di nuova finanza all’impresa in crisi e a tutti quei soggetti coinvolti come controparti di un imprenditore che pianifichi, con apposito programma, la risoluzione dello stato di crisi o di insolvenza; in tal senso si supera la delimitazione dell’accordo, il quale era finalizzato, nel contesto della legge fallimentare, al solo “risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria[10].

Si ritiene che il piano attestato di risanamento non sia da ricomprendere nel novero delle procedure concorsuali, in quanto non è sottoposto al controllo di un’autorità preposta, né prevede il coinvolgimento della totalità del ceto creditorio[11]. La natura privata del piano e degli accordi collegati al medesimo consente di mantenere riservatezza su tali atti, evitando così una pubblicità negativa nei confronti degli stakeholders e dei clienti con cui le imprese continueranno a intrattenere regolari rapporti[12].

Il compito di attestare “la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano” viene affidato ad un professionista indipendente (art. 56, comma 3°, CCI). La verifica prognostica non viene più limitata alla generica “fattibilità” del piano, come previsto dall’art. 67, comma 3°, lett. d), l. fall, bensì, specificamente, alla sua “fattibilità economica[13].

Il ruolo del professionista attestatore assume particolare rilevanza in tale istituto. In modo analogo a quanto previsto nell’ambito degli accordi di ristrutturazione del debito, anche il piano attestato di risanamento consente l’esenzione delle azioni revocatorie e dei reati fallimentari, solamente ove ricorrano alcune condizioni; ciò potrebbe accadere nel caso in cui l’attestazione sia completa e contenga in modo dettagliato quanto contemplato dal legislatore, come, ad esempio, un’approfondita analisi dello stato di crisi dell’impresa e delle prospettive di risanamento. Diversamente da quanto accade negli accordi di ristrutturazione del debito, i quali sono soggetti a omologazione, nell’istituto de quo non si verifica, tuttavia, alcun vaglio giudiziario; di conseguenza, laddove il piano e l’attestazione non siano conformi a quanto prescritto dal legislatore, potrebbe sorgere il rischio che il curatore e il giudice possano esercitare, rispettivamente, le azioni revocatorie e quelle penali fallimentari.

Quest’ultima evenienza implicherebbe il venir meno dei principali scopi del piano attestato di risanamento:

  • in primis, evitare che gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse sui beni del debitore, posti in essere in esecuzione del piano, siano soggetti all’azione revocatoria, così come previsto dall’art. 166, comma 3°, lettera d), CCI[14];
  • in secondo luogo, esentare il compimento di tali atti e pagamenti dalle responsabilità penali relative ai reati di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice, così come sancito dall’art. 324 CCI[15].

Dall’analisi della nuova disposizione si ricava l’intento, da parte del legislatore, di acquisire anche a livello normativo talune linee guida, elaborate negli anni dalla dottrina aziendalistica (e, in particolare, dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, altresì detto CNDCEC), ai fini della redazione del piano di risanamento da parte del professionista indipendente.

Qualora il debitore ne faccia richiesta, “il piano, l’attestazione di cui al comma 3 e gli accordi conclusi con i creditori possono essere pubblicati nel registro delle imprese (…)” (art. 56, comma 4°, CCI): ciò potrebbe avvenire sia per beneficiare di convenienze fiscali su eventuali sopravvenienze attive, che per finalità di pubblicità legale degli atti.

Inoltre, secondo quanto prescritto dall’art. 56, comma 5°, CCI, gli atti unilaterali e i contratti posti in essere in esecuzione del piano devono essere provati per iscritto e avere data certa, affinché siano scongiurate condotte opportunistiche o collusive.

Un profilo non considerato dal CCI è quello inerente alla durata del piano di risanamento. In dottrina si sostiene che spetti ai redattori del piano e all’esperto attestatore colmare tale lacuna, sulla base di un criterio di ragionevolezza al fine del risanamento; l’orizzonte temporale dovrà pertanto assicurare, anche in termini previsionali, che l’impresa non abbia discontinuità nei pagamenti dei crediti correnti e non si imbatta in situazioni irreversibili[16].

Altra dottrina sostiene che il piano attestato di risanamento abbia un orizzonte “pressoché illimitato”, dal momento che può prevedere qualsiasi intervento che riguardi sia il piano finanziario che quello più propriamente industriale[17].

Poiché il piano attestato mira al risanamento dell’esposizione debitoria, nonché al riequilibrio della situazione finanziaria, si ritiene che lo stesso sia riservato alle sole ipotesi di continuità aziendale[18].

Da ultimo, parte della dottrina si è interrogata in merito alle sorti future dell’istituto in esame.

In un contesto profondamente riformato e caratterizzato dall’introduzione di innovativi istituti di allerta e prevenzione, nonché di numerose disposizioni finalizzate a far emergere in via anticipata la crisi (con la previsione di forme di gestione della medesima, quali, ad esempio, gli Organismi di composizione della crisi d’impresa) permane il dubbio se i piani attestati di risanamento saranno destinati a scomparire oppure se troveranno una collocazione parallela alla “gestione istituzionale” da parte dei nuovi soggetti contemplati dal CCI[19].

[1] Occorre precisare che i piani di risanamento di gruppo sono altresì previsti, nell’ambito della crisi bancaria, dagli artt. 69-quinquies e 159-bis TUB, introdotti dal d.lgs. n. 181/2015, in attuazione della Direttiva Banking Resolution and Recovery (BRR).

[2] Il cui testo recita: “non sono soggetti a revocatoria: (…) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore”.

[3] A. ZORZI, Piani di risanamento e accordi di ristrutturazione nel Codice della crisi, in Fall., 2019, pp. 993.

[4] G. B. NARDECCHIA, Il piano attestato di risanamento nel Codice, in Fall., 2020, pp. 5 ss.

[5] L. BOGGIO, L’accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in G. BONFANTE (a cura di), Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Giur. It., 2019, pp. 1952 ss.

[6] D. BURRONI, I piani attestati di risanamento nel Codice della crisi, in A. DANOVI e G. ACCIARRIO (a cura di), Crisi d’impresa, V, Piani di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, Il Sole 24 Ore, 2019, p. 16.

[7] Lo stato di crisi viene definito dall’art. 2, comma 1°, lett. a), CCI, come “lo stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.

[8] Lo stato di insolvenza viene definito dall’art. 2, comma 1°, lett. b), CCI, come “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

[9] D. BURRONI, op. cit., p. 17. Ciò viene altresì avvalorato dal successivo comma 2° della medesima disposizione.

[10] G. FAUCEGLIA, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, Giappichelli, 2019, pp. 45-46.

[11] L. JEANTET e P. VALLINO, Piano attestato di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti, in M. POLLIO e M. LONGONI, La riforma del fallimento, Guida Italia Oggi, II, 2019, p. 572.

[12] L. JEANTET e P. VALLINO, op. ult. cit., p. 570.

[13] Occorre precisare che, anteriormente all’approvazione del decreto correttivo, l’art. 56, comma 4°, CCI, prevedeva, oltre alla fattibilità economica del piano, anche quella giuridica.

[14] F. GALLIO, Il nuovo piano attestato di risanamento, in Il fallimentarista, 13 maggio 2019. Il testo dell’art. 166, comma 3°, lett. d), CCI, recita: “Non sono soggetti all’azione revocatoria: (…) gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato di cui all’articolo 56 o di cui all’articolo 284 e in esso indicati. L’esclusione non opera in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore o di dolo o colpa grave del debitore, quando il creditore ne era a conoscenza al momento del compimento dell’atto, del pagamento o della costituzione della garanzia. L’esclusione opera anche con riguardo all’azione revocatoria ordinaria”.

[15] Il cui testo enuncia che “le disposizioni di cui agli articoli 322, comma 3 e 323 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni computi in esecuzione di un concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti omologati o degli accordi in esecuzione del piano attestato ovvero del concordato minore omologato ai sensi dell’articolo 80, nonché  ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma degli articoli 99, 100 e 101”.

[16] L. JEANTET e P. VALLINO, op. cit., pp. 576-577.

[17] G. B. NARDECCHIA, op. cit.

[18] G. B. NARDECCHIA, op. ult. cit.

[19] D. BURRONI, op. cit., p. 21.

Andrea Di Gregorio

Andrea Di Gregorio è junior associate presso Chiomenti, prestando assistenza nell’ambito del diritto bancario e finanziario ed in quello di composizione della crisi di impresa e debt restructuring. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Brescia, discutendo una tesi in Diritto Fallimentare dal titolo "I gruppi di imprese nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza" e riportando una votazione di 110/110 cum laude. Collabora con la rivista Ius in itinere da maggio 2020.

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