giovedì, Aprile 25, 2024
Di Robusta Costituzione

I requisiti formali e sostanziali per la presentazione delle proposte emendative

a cura di Alessia Palazzo

 

Sommario: 1. Requisiti generali per la presentazione delle proposte emendative e principio di appellabilità. 1.1. Requisiti formali: la forma scritta. 1.1.2. La sottoscrizione. 1.1.3. Il termine di presentazione. 1.2. Requisiti sostanziali: riferimento esplicito al provvedimento, reale portata modificativa e non estraneità della materia. 1.2.1. Ulteriori limiti sostanziali: termini o frasi sconvenienti e precedenti deliberazioni.

 

 

  1. Requisiti generali per la presentazione delle proposte emendative e principio di appellabilità.

 

La proposta di emendamento, poiché finalizzata alla modifica del testo di un disegno di legge, deve presentare dei requisiti sia di carattere formale che di carattere contenutistico che vengono fissati dai regolamenti e delle prassi parlamentari. I primi possono essere individuati nella redazione in forma scritta, nella sottoscrizione da parte del/dei proponente/i e nel rispetto dei termini temporali prescritti per la presentazione.

I secondi, invece, si concretizzano nel riferimento esplicito al provvedimento, nella reale portata modificativa, anche se di minima entità, e nella non estraneità della materia.

La differenza tra le due tipologie di requisiti risiede nella circostanza per cui i requisiti di forma devono sussistere integralmente con conseguente “inesistenza” della proposta emendata priva anche solo di un requisito di tal specie; i requisiti di contenuto possono, invece, aversi anche in maniera incompleta ed, in tal caso, il Presidente di Assemblea dichiarerebbe l’”inammissibilità” della proposta di emendamento soltanto nella parte in cui difetta di tali requisiti.

In generale, la funzione del Presidente di Assemblea di valutare l’ammissibilità di un emendamento è prevista per la Camera dagli artt. 89[1]e 96-bis, comma 7, r.C.[2], mentre per il Senato dagli artt. 97, comma 1,[3] e 100, comma 8, r.S.[4], con la differenza che solo il primo prevede la possibilità di consultare l’Assemblea. Ciò avviene allorquando il deputato che ha proposto l’emendamento inammissibile insista ed il Presidente lo ritenga opportuno, configurandosi, in tal modo, un potere proprio ed esclusivo in capo al Presidente, il quale è libero di consultare o meno l’Assemblea, la quale deciderà senza discussione per alzata di mano[5].

Il principio di appellabilità dinnanzi all’Aula presenta nel nostro ordinamento, come peraltro nella tradizione del diritto parlamentare spagnolo, carattere residuale in quanto limitato, a partire dalla riforma regolamentare del 1971, alle decisioni sui richiami al Regolamento e, appunto, sull’ammissibilità degli emendamenti. Ciò è avvalorato dalla circostanza per cui, nella prassi, i Presidenti delle Camere hanno fatto un ricorso sempre più sporadico di tale possibilità, ed invero, nelle ultime legislature l’unico caso in cui la presidenza ha deciso di rimettere all’Assemblea la valutazione sull’ammissibilità di un emendamento risale alla seduta del 18 giugno 2003 durante l’esame del progetto di legge recante “Misure per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione e processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato” (A.C. 185-B). In tale occasione, il Presidente della Camera, on. Casini, ritenne opportuno deferire all’Assemblea la decisione sull’ammissibilità di un emendamento nel quale si ipotizzava la possibilità che fossero nominati alle più alte cariche dello Stato soggetti sottoposti a misure cautelari personali, poiché lo stesso incideva sullo status di entrambi i Presidenti di Assemblea e, di conseguenza, sulla stessa persona del Presidente della Camera[6]. Peraltro, trattasi di decisione lungi dall’essere priva di critiche, avendo, i deputati Violante e Boccia, messo in luce come il ricorso alla facoltà di consultare l’Assemblea, sebbene di carattere eccezionale, si discosti nettamente dalla prassi e, al contempo, strida con le funzioni di garanzie proprie del Presidente di Assemblea, l’esercizio delle quali risulta particolarmente delicato in un assetto della forma di governo prevalentemente maggioritaria.

La ratio di una tale sfiducia nei confronti del principio dell’appellabilità delle decisioni presidenziali dinnanzi all’Assemblea si riviene nella circostanza per cui questa condurrebbe ad una politicizzazione della funzione di garanzia del regolamento, nel senso che l’organo monocratico della Camera non rischierebbe di porre a repentaglio la propria autorità adottando interpretazioni suscettibili di essere ribaltate dalla maggioranza dell’Aula[7].

D’altronde, è stato evidenziato[8] come la giuridicità delle regole scritte del diritto parlamentare si rinviene nella garanzia ultima del Presidente di Assemblea, ma quando la decisione è rimessa all’Assemblea, e quindi alla maggioranza, bisogna prendere atto del carattere imperfetto di tale diritto.

Nonostante il regolamento sancisca espressamente l’inappellabilità della decisione del Presidente, anche al Senato si è verificato un caso in cui il Presidente ha deferito all’Assemblea la decisione sull’ammissibilità di un emendamento riferito ad un progetto di legge concernente la disciplina della procreazione medicalmente assistita[9], con riguardo però non alle regole di presentazione, bensì per stabilirne l’eventuale preclusione a seguito di decisioni già adottate.

In sede referente, la Circolare dei Presidenti sull’istruttoria legislativa nelle Commissioni del 10 gennaio 1997 al punto 5.4[10] dispone, per la Camera, che, in caso di opposizione da parte di un deputato alla dichiarazione di inammissibilità pronunciata dal Presidente della Commissione ovvero in tutti i casi in cui l’ammissibilità di emendamenti appaia dubbia, la decisione deve essere rimessa al Presidente di Assemblea. Analogo obbligo, sempre per la Camera, è previsto dagli artt. 123-bis, comma 3-bis[11], e 126-ter, comma 4, r.C.[12], laddove dispongono, nell’ipotesi in cui sorga questione, l’obbligo per il Presidente della Commissione di rimettere la decisione circa l’ammissibilità degli emendamenti riferiti, rispettivamente, ai progetti di legge collegati alla manovra di finanza pubblica ed al disegno di legge comunitaria annuale al Presidente di Assemblea. In ambedue i casi, la remissione all’Assemblea non si concretizza in una mera facoltà del Presidente, come nel caso degli artt. 89 e 96-bis, comma 7, r.C., bensì in un obbligo.

Al Senato non è, invece, previsto, con riferimento ai progetti di legge collegati, un analogo intervento preventivo del Presidente di Assemblea, che può però dichiarare inammissibili ex post le disposizioni del testo proposto dalla Commissione all’Assemblea ex art. 126-bis, commi 2-ter e 2-quater, r.S.[13]. Ed un meccanismo simile è previsto dall’art. 144-bis, comma 4, r.S.[14] rispetto ai disegni di legge europea e di delegazione europea.

Si rammenti, infine, che i regolamenti parlamentari non indicano un numerus clausus di cause di inammissibilità delle proposte emendative, ma la loro valutazione è rimessa caso per caso al Presidente.

 

 

1.1. Requisiti formali: la forma scritta.

 

Come già evidenziato, la proposta di emendamento deve presentare dei requisiti, oltre che contenutistici, anche di carattere formale, tra i quali rientra la redazione in forma scritta.

Al Senato, l’art. 100, comma 3, r.S. prevede espressamente che “Gli emendamenti debbono, di regola, essere presentati per iscritto dal proponente alla Presidenza nel termine stabilito dalla Presidenza stessa o dalla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari”, sancendo, in tal modo, la necessità della forma scritta ad substantiam per la presentazione degli emendamenti.

Alla Camera, la norma di riferimento è l’art. 86, comma 1, r.C. la cui prima parte si limita a prevedere che “Gli articoli aggiuntivi e gli emendamenti sono, di regola, presentati e svolti nelle Commissioni”, senza alcun riferimento alla forma che essi debbano rivestire. Tuttavia, una tale previsione era contenuta nel regolamento precedente alla riforma del 1971 e si deve ritenere che ancor’oggi, sebbene manchi una norma che prescriva la forma scritta ad substantiam, gli emendamenti debbano rivestire tale forma in virtù di un principio consolidato per via consuetudinaria.

In aggiunta, si consideri che l’art. 114 r.C. impone la forma scritta per gli emendamenti riferiti a mozioni, laddove prevede che “Gli emendamenti, anche aggiuntivi, devono di regola essere presentati per iscritto almeno ventiquattro ore prima della discussione della mozione alla quale si riferiscono”.

Il requisito della forma scritta ad substantiam non solo vale a distinguere la proposta di emendamento da qualsiasi intervento orale che avvenga nel corso della discussione sul progetto di legge che non ha, ai fini della votazione dello stesso, alcun effetto giuridico, ma funge altresì da garanzia al corretto svolgimento dei lavori parlamentari, che si concretizza nella certezza ed impossibilità di manipolabilità della proposta.

Il caso più eclatante in tal senso è costituito dal maxi-emendamento governativo al disegno di legge finanziaria per il 2006, che nella sua formulazione originaria (A.S. 3613), prevedeva lo stanziamento di 400 milioni di euro per finanziare l’aiuto pubblico a favore dei Paesi in via di sviluppo (Tabella C – Ministero degli affari esteri). Tale cifra era poi stata ridotta dalla Commissione bilancio del Senato a 345,4 milioni di euro per “coprire” un emendamento proposto dal relatore. Nella seduta dell’Assemblea del Senato dell’11 novembre 2005[15], nel corso della quale si è votata la questione di fiducia chiesta dal Governo sul maxi-emendamento al disegno di legge finanziaria, il senatore Falomi ha messo in evidenza una discrasia fra due diverse versioni del maxi-emendamento distribuite in Aula: ed invero, una, quella su cui era stato espresso il parere della Commissione, recava ancora i tagli al fondo per i Paesi in via di sviluppo; una seconda versione, quella a cui era riferita la nota del Servizio studi del Senato, riportava invece il fondo a 400 milioni. Alla richiesta di chiarimenti avanzata dal senatore Falomi, circa il testo posto in votazione, il viceministro dell’economia e delle finanze, Giuseppe Vegas, ha chiarito che la versione corretta era quella della nota del Servizio studi e non quella del testo approvato dalla Commissione[16].

Diverso è il caso della riformulazione delle proposte emendative, trattasi di una prassi ormai diffusa nell’attività legislativa in Parlamento che si sostanzia, alla Camera dei Deputati, in una nuova formulazione dell’emendamento da parte del relatore e del Governo, mentre al Senato della Repubblica è prevista la presentazione da parte degli stessi proponenti di nuovi testi identificati con un numero progressivo, ferma restando la possibilità da parte del relatore e del Governo di procedere comunque a una riformulazione dell’ultimo testo presentato. Il ricorso a tale istituto trova la sua ratio nell’esigenza di salvare l’emendamento riscrivendolo secondo le indicazioni dei Ministeri competenti, evitando così un eccessivo irrigidimento del procedimento che porrebbe il relatore e il Governo di fronte alla scelta secca di accettare il testo o di rigettarlo.

Tuttavia, la suddetta pratica si traduce spesso in un sostanziale aggiramento delle regole concernenti, tra le altre, il termine di presentazione degli emendamenti e il regime delle ammissibilità. Si riporta come esempio l’emendamento 227.10 presentato presso la V Commissione bilancio della Camera dei Deputati all’Atto Camera 2500 “Conversione in legge del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, di cui è stata approvata una riformulazione interamente differente dal testo di partenza[17].

 

 

1.1.2. La sottoscrizione.

 

Altro requisito formale che la proposta di emendamento deve presentare è quello della sottoscrizione da parte del/dei proponente/i.

Al pari della forma scritta, anche la sottoscrizione è un elemento essenziale della proposta di emendamento. Tuttavia, ciò non vale a ritenere legittimo l’episodio dei cd. “emendamenti fantasma”, che ha avuto luogo presso il Consiglio comunale di Milano nel corso del dibattito sul bilancio di previsione nel marzo del 2003. Il caso ebbe origine dal deposito da parte dei capigruppo della maggioranza consiliare di una serie di emendamenti “in bianco”, ossia privi di qualunque contenuto dispositivo ma recanti le sole sottoscrizioni. A parere dell’opposizione, lo scopo era quello di riempirli successivamente, con contenuti finalizzati a far decadere i numerosi emendamenti presentati dalla minoranza stessa. Il caso ha sollevato un dibattito politico e un’indagine della magistratura, culminata nel 2005 con il rinvio a giudizio da parte del GIP del tribunale di Milano dell’allora sindaco di Milano Gabriele Albertini e del suo vice Riccardo De Corato, oltre agli esponenti della maggioranza firmatari degli “emendamenti” e a un funzionario del Consiglio comunale. L’ipotesi di reato inizialmente ipotizzata era, appunto, configurata nell’art. 294 c.p., riconducendo quindi il “diritto di emendamento” alla specie dei “diritti politici del cittadino”[18].

La funzione della sottoscrizione è duplice: da un lato, quella di autenticazione del testo e, dall’altro, quella di identificazione del proponente la proposta con conseguente suo impegno di responsabilità politica.

Ciò spiega come mai solo il proponente la proposta può ritirare l’emendamento o decidere di trasformarlo in ordine del giorno. Alla Camera, la norma di riferimento è l’art. 86, comma 8, r.C., laddove prevede che: “Chi ritira un emendamento ha diritto di esporne la ragione per un tempo non eccedente i cinque minuti. Un emendamento ritirato dal proponente può essere fatto proprio soltanto da venti deputati o da un presidente di Gruppo”. Al Senato, invece, occorre prendere in considerazione l’art. 95, comma 7, r.S. che dispone che: “Il proponente di un emendamento può, con il consenso del Presidente, ritirare l’emendamento stesso per trasformarlo in ordine del giorno. In tal caso non operano le preclusioni relative al termine di presentazione, e l’ordine del giorno è svolto alle condizioni e nei limiti stabiliti per gli emendamenti ed è votato prima della votazione dell’articolo alle cui disposizioni l’ordine del giorno stesso si riferisce”.

Quando l’emendamento è stato presentato congiuntamente da più parlamentari, è possibile anche ritirare la sola sottoscrizione, mentre il ritiro dell’unica sottoscrizione apposta su quell’emendamento equivale al ritiro dell’emendamento stesso. Allo stesso modo, l’assenza dell’unico firmatario al momento della votazione è causa della sua decadenza. Ed invero, al Senato, nell’art. 102 r.S. che dispone che: “Gli emendamenti ritirati o che dovrebbero essere dichiarati decaduti per l’assenza del proponente possono essere fatti propri da altri Senatori”.

Quest’ultima previsione fa riferimento alla possibilità che di fronte alla decisione del proponente di ritirare un emendamento, altri componenti del collegio possono dichiarare di farlo proprio, al fine di non escluderlo dalla votazione. In particolare, al Senato ciascun senatore può fare propria una proposta ritirata, mentre alla Camera tale facoltà è attribuita a venti deputati o a un Presidente di gruppo.

Peraltro, allorché la proposta emendativa non venga ritirata, ma trasformata in ordine del giorno, alla Camera è consentito che un deputato la faccia propria ugualmente, in modo da non privare l’Assembla della possibilità di esprimersi su quel testo; al Senato, invece, per prassi costante, non è consentita la contestuale appropriazione dell’emendamento da parte di altri componenti dell’Assemblea.

 

 

1.1.3. Il termine di presentazione.

 

Ultimo requisito formale è quello relativo al termine di presentazione della proposta emendativa, che, da un lato, garantisce una maggiore ponderazione della decisione e, dall’altro, un congruo lasso di tempo per la redazione delle proposte emendative.

In sede referente e alla Camera, l’art. 79, comma 1, r.C. dispone che: “Per ciascun procedimento, l’ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi, con la maggioranza prevista dall’articolo 23, comma 6, ovvero, in mancanza di questa, il presidente della Commissione (…) stabilisce (…) i termini per la presentazione e le modalità per l’esame degli emendamenti. Il procedimento è organizzato in modo tale da assicurare che esso si concluda almeno quarantotto ore prima della data stabilita nel calendario dei lavori per l’iscrizione del progetto di legge all’ordine del giorno dell’Assemblea”. Si evince, pertanto, come la disciplina sia rimessa per gran parte alla discrezionalità del Presidente di Commissione.

In Assemblea, l’art. 100, comma 3, r.S. fissa il termine per la presentazione delle proposte emendative per il Senato “almeno ventiquattro ore prima dell’esame degli articoli a cui si riferiscono”, mentre l’art. 86, comma 1, r.C. lo fissa per la Camera “entro il giorno precedente la seduta nella quale avrà inizio la discussione degli articoli”.

Si rammenta, altresì, che la Commissione e il Governo, alla Camera possono presentare emendamenti, subemendamenti e articoli aggiuntivi fino a che sia iniziata la votazione dell’articolo o dell’emendamento cui si riferiscono ex art. 86, comma 5, r.C., e al Senato possono presentare emendamenti senza l’osservanza dei termini indicati ex art. 100, comma 6, r.S.[19].

Ancora, al Senato, l’art. 100, comma 5, r.S. consente la presentazione di emendamenti nel corso della Seduta, oltre alla Commissione e al Governo, anche a otto senatori. Alla Camera, invece, sempre l’art. 86, comma 5, cit. prevede che gli eventuali subemendamenti agli emendamenti del Governo e della Commissione, nel termine fissato dalla Presidenza, non potranno essere presentati da singoli deputati, ma solo congiuntamente da trenta deputati, da uno o più Presidenti di gruppo di pari consistenza numerica o dai relatori di minoranza, venendo a mancare la parità tra i soggetti titolari del potere di subemendamento.

Qualora gli emendamenti presentati con queste modalità comportino nuove o maggiori spese o diminuzione di entrate, l’art. 86, comma 5-bis, r.C. prevede che la discussione non possa avvenire prima del giorno successivo alla loro presentazione. A tal fine, il Presidente stabilisce un termine congruo, entro il quale la Commissione bilancio esprime il proprio parere.

Da ultimo, i commi 9 e 10 dell’art. 86 cit. dispongono che gli emendamenti presentati siano distribuiti almeno tre ore prima della seduta e che, in casi particolari, il Presidente della Camera abbia la facoltà di modificare i termini per la presentazione e la distribuzione degli emendamenti in Assemblea.

 

 

1.2. Requisiti sostanziali: riferimento esplicito al provvedimento, reale portata modificativa e non estraneità della materia.

 

Accanto ai requisiti di carattere formale, si pongono i requisiti di carattere contenutistico, tra i quali, in primo luogo, quello del riferimento esplicito al provvedimento.

Ed invero, la proposta di emendamento deve avere come obiettivo quello di introdurre una modifica del testo in esame, recando un titolo che individui il provvedimento al quale si riferisce e un contenuto che si inserisca subito all’interno del testo del provvedimento, soprattutto caratterizzato da un capoverso che specifichi la partizione interna su cui intende apportare la modifica[20].

A tal proposito, occorre fare un cenno alle “potenzialità strutturali” dell’emendamento, ossia alla sua capacità di non limitarsi alla modifica di un solo articolo, ma di incidere su più parti del progetto di legge, anche al di fuori di esigenze di mero coordinamento o di compensazione finanziaria. Questo può avvenire sia mi modo diretto, quando un unico emendamento comprenda più capoversi distinti, nei quali si proponga più di una modifica al testo, sia in modo indiretto, mediante un unico maxi-emendamento che sostituisca una parte del testo con un contenuto assai più ampio.

Ancora, ulteriore requisito di carattere contenutistico è quello della reale portata modificativa, in ossequio al principio di economicità della discussione.

Al Senato, l’art. 100, comma 8, r.S. sancisce che: “Il Presidente può stabilire, con decisione inappellabile, la inammissibilità di emendamenti privi di ogni reale portata modificativa e può altresì disporre che gli emendamenti intesi ad apportare correzioni di mera forma siano discussi e votati in sede di coordinamento, con le modalità di cui all’articolo 103”.

A tal proposito, nella seduta della Giunta per il regolamento del Senato del 12 luglio 2007 è stata affrontata una questione emersa mentre era in corso la discussione sul progetto di legge relativo alla “Riforma dell’ordinamento giudiziario”, riguardante l’art. 100, comma 8, cit. in tema di emendamenti privi di portata modificativa. Nello specifico, la Giunta è stata convocata per esprimersi sulla scelta assunta dal Presidente di porre in votazione un subemendamento volto alla mera riscrittura formale del testo dell’emendamento e, inoltre, di non far scattare la preclusione dell’emendamento cui esso era riferito a seguito dell’avvenuta reiezione di tale subemendamento.

Nel corso della discussione, il sen. Manzella ha sottolineato come la ratio della previsione regolamentare sia quella di contenimento dell’ostruzionismo: per cui, in assenza di evidenti pratiche ostruzionistiche, la sanzione dell’inammissibilità diverrebbe priva di senso. In conclusione, il Presidente ha confermato la scelta precedentemente assunta, affermando che, in ogni caso, essa non costituisce uno stacco netto rispetto alle prassi consolidate[21].

Alla Camera, invece, non esiste una norma regolamentare in tal senso ma il principio è stato introdotto dalla Circolare del Presidente sull’istruttoria legislativa nelle Commissioni del 10 gennaio 1997 al punto 5.5, laddove prevede che “Gli emendamenti meramente formali non sono posti in votazione, ma sono presi in considerazione ai soli fini del coordinamento formale del testo”.

Ultimo requisito di carattere contenutistico è quello della non estraneità della materia. Tale requisito viene sancito espressamente sia alla Camera che al Senato. Ed invero, l’art. 89 r.C. dispone che: “Il Presidente ha facoltà di negare l’accettazione e lo svolgimento di ordini del giorno, emendamenti o articoli aggiuntivi che (…) siano relativi ad argomenti affatto estranei all’oggetto della discussione, ovvero siano preclusi da precedenti deliberazioni, e può rifiutarsi di metterli in votazione”, mentre l’art. 97, comma 1, reg. Sen. prevede: “Sono improponibili ordini del giorno, emendamenti e proposte che siano estranei all’oggetto della discussione o formulati in termini sconvenienti”.

Il requisito della non estraneità della materia va inteso sia in senso “oggettivo” come introduzione di disposizioni riguardanti ambiti contenutistici differenti, sia in senso “normativo”, che impone di valutare anche tecnicamente i risultati dell’intervento legislativo.

Ciò che rileva è che il suddetto requisito sembra trascendere la formulazione contenuta nei due regolamenti della Camera e del Senato, assurgendo a regola di carattere generale, finalizzata alla salvaguardia delle specificità di ogni singolo procedimento legislativo.

 

 

1.2.1. Ulteriori limiti sostanziali: termini o frasi sconvenienti e precedenti deliberazioni.

 

Occorre soffermarsi, da ultimo, su due ipotesi residuali di limiti contenutisti alle proposte di emendamento: le proposte emendative contenenti termini o frasi “sconvenienti” e le proposte emendative precluse da precedenti deliberazioni.

In particolare, per quanto concerne la prima ipotesi, per la Camera, l’art. 89, comma 1, r.C. prevede che: “Il Presidente ha facoltà di negare l’accettazione e lo svolgimento di ordini del giorno, emendamenti o articoli aggiuntivi che siano formulati con frasi sconvenienti (…)”. Parimenti, al Senato, l’art. 97, comma 1, r.S. dispone che: “Sono improponibili ordini del giorno, emendamenti e proposte che siano (…) formulati in termini sconvenienti”.

La “sconvenienza” non va interpretata solo in senso restrittivo-letterale, come riferita a quegli emendamenti che contengano termini osceni, ma anche in senso estensivo-contenutistico, come riferita a quegli emendamenti nei quali sia stata utilizzata una formulazione ironica tale da risultare incompatibili con “la dignità e la funzione parlamentare”[22].

Con riferimento, invece, alle proposte emendative precluse da precedenti deliberazioni, sempre l’art. 89, comma 1, r.C., per la Camera, prevede che: “Il Presidente ha facoltà di negare l’accettazione e lo svolgimento di ordini del giorno, emendamenti o articoli aggiuntivi che (…) siano preclusi da precedenti deliberazioni (…)”, così come l’art. 97, comma 2 , r.S. sancisce che l’inammissibilità di “ordini del giorno, emendamenti e proposte in contrasto con deliberazioni già adottate dal Senato sull’argomento nel corso della discussione”. In tal modo, ambedue i regolamenti parlamentari introducono un’ulteriore causa di inammissibilità delle proposte emendative, costituita, appunto, dalle proposte emendabile che risultano precluse da precedenti deliberazioni, con la differenza che al Senato si precisa che la preclusione opera limitatamente all’”argomento nel corso della discussione”.

La ratio di tale causa di inammissibilità si rinviene nel principio di non contraddizione, per cui uno stesso ordinamento non può imporre o consentire e, ad un tempo, vietare il medesimo fatto senza rinnegare sé stesso e la sua pratica possibilità di attuazione[23].

 

 

 

 

[1] L’art. 89 r.C. prescrive, infatti, che: “Il Presidente ha facoltà di negare l’accettazione e lo svolgimento di ordini del giorno, emendamenti o articoli aggiuntivi che siano formulati con frasi sconvenienti, o siano relativi ad argomenti affatto estranei all’oggetto della discussione, ovvero siano preclusi da precedenti deliberazioni, e può rifiutarsi di metterli in votazione. Se il deputato insiste e il Presidente ritenga opportuno consultare l’Assemblea, questa decide senza discussione per alzata di mano”.

[2] L’art. 96-bis, comma 7, r.C. prevede che: “Il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge. Qualora ritenga opportuno consultare l’Assemblea, questa decide senza discussione per alzata di mano”.

[3] L’art. 97, comma 1, r.S. dispone che: “1. Sono improponibili ordini del giorno, emendamenti e proposte che siano estranei all’oggetto della discussione o formulati in termini sconvenienti. 2. Sono inammissibili ordini del giorno, emendamenti e proposte in contrasto con deliberazioni già adottate dal Senato sull’argomento nel corso della discussione. 3. Il Presidente, data lettura dell’ordine del giorno, dell’emendamento o della proposta, decide inappellabilmente”.

[4] L’art. 100, comma 8, r.S. sancisce che: “Il Presidente può stabilire, con decisione inappellabile, la inammissibilità di emendamenti privi di ogni reale portata modificativa e può altresì disporre che gli emendamenti intesi ad apportare correzioni di mera forma siano discussi e votati in sede di coordinamento, con le modalità di cui all’articolo 103”.

[5] N. Lupo, “Il Presidente di Assemblea come “giudice” del diritto parlamentare”, in Studi in onore di Franco Modugno, 2011, Vol. 3, p. 2053-2090. V. anche T. Martines, Diritto parlamentare, Giuffrè, Milano, 2011, p. 327 ss.

[6] A.C., XIV leg., res. sten., 18 giugno 2003, p. 83. V. anche P. Gambale, “Il Presidente della Camera può rimettere all’Assemblea la decisione sull’ammissibilità di emendamenti?”, disponibile in www.amministrazioneincammino.luiss.it/parlamento, 16 marzo 2004.

[7] R. Ibrido, L’interpretazione del diritto parlamentare. Politica e diritto nel “processo” di risoluzione dei casi regolamentari, FrancoAngeli, Milano, 2015, p. 221 ss.

[8] G.U. Rescigno, Le convenzioni costituzionali, Padova, Cedam, 1972, p. 156 ss.

[9] A.S., XIII leg., res. sten. 21 giugno 2000, antimerid., p. 52.

[10] Il punto 5.4 della Circolare dei Presidenti sull’istruttoria legislativa nelle Commissioni del 10 gennaio 1997 sancisce che: “Ciascun deputato ha il diritto di opporsi alla dichiarazione di inammissibilità pronunziata dal presidente della Commissione. In tale ipotesi, ed altresì in tutti i casi in cui l’ammissibilità di emendamenti ed articoli aggiuntivi appaia comunque dubbia, non deve procedersi alla loro votazione la questione deve essere rimessa al Presidente della Camera, al quale spetta adottare le relative decisioni ai sensi dell’articolo 41, comma 2, del Regolamento, conformemente ai pareri più volte espressi dalla Giunta per il regolamento. Ove la pronunzia del Presidente non intervenga in tempi utili, resta fermo il diritto di ripresentare l’emendamento in Assemblea, per verificarne in quella sede l’ammissibilità“.

[11] L’art. 123-bis, comma 3-bis, r.C. dispone che: “Fermo quanto disposto dall’articolo 89, i presidenti delle Commissioni cui sono assegnati i progetti di legge collegati alla manovra di finanza pubblica dichiarano inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che concernono materie estranee al loro oggetto, come definito a norma del comma 1, ovvero contrastano con i criteri per l’introduzione di nuove o maggiori spese o minori entrate, come definiti dalla legislazione vigente sul bilancio e sulla contabilità dello Stato. Qualora sorga questione, la decisione è rimessa al Presidente della Camera. Gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi dichiarati inammissibili in Commissione non possono essere ripresentati in Assemblea”.

[12] L’art. 126-ter, comma 4, r.C. prevede che: “Fermo quanto disposto dall’articolo 89, i presidenti delle Commissioni competenti per materia e il presidente della Commissione politiche dell’Unione europea dichiarano inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che riguardino materie estranee all’oggetto proprio della legge comunitaria, come definito dalla legislazione vigente. Qualora sorga questione, la decisione è rimessa al Presidente della Camera. Gli emendamenti dichiarati inammissibili in Commissione non possono essere ripresentati in Assemblea”.

[13] L’art. 126-bis, commi 2-ter e 2-quater, r.S. prevedono, infatti, che: “Sono inammissibili gli emendamenti, d’iniziativa sia parlamentare che governativa, ai disegni di legge di cui al comma 1, che rechino disposizioni contrastanti con le regole di copertura stabilite dalla legislazione vigente o estranee all’oggetto dei disegni di legge stessi, come definito dalla legislazione vigente nonché dal documento di economia e finanza come approvato dalla risoluzione parlamentare. Ricorrendo le condizioni di cui al comma 2-ter, il Presidente del Senato, sentito il parere della 5ª Commissione permanente e del Governo, può dichiarare inammissibili disposizioni del testo proposto dalla Commissione all’Assemblea“.

[14] L’art. 144-bis, comma 4, r.S. dispone che: “Fermo quanto disposto dall’articolo 97, sono inammissibili gli emendamenti che riguardino materie estranee all’oggetto proprio della legge europea e di delegazione europea, come definito dalla legislazione vigente. Ricorrendo tali condizioni, il Presidente del Senato può dichiarare inammissibili disposizioni del testo proposto dalla Commissione all’Assemblea“.

[15] A.S., XIV leg., res. sten., 11 novembre 2005, p. 30 s.

[16] G. Perniciaro, “Durante una votazione in Assemblea, può “fare fede” il testo del maxi-emendamento contenuto in una nota del Servizio studi?”, disponibile in www.amministrazioneincammino.luiss.it/parlamento, 20 gennaio 2006.

[17] Originariamente, tale proposta era volta a incrementare di ulteriori dieci milioni il finanziamento già previsto per contributi alle imprese eco-compatibili operanti nelle zone economiche ambientali, portandolo a cinquanta milioni di euro. Inoltre, si interveniva sulla platea dei potenziali beneficiari, sia eliminando le medie imprese quali destinatarie del contributo, sia agendo sui territori oggetto della disposizione. Proprio nella seduta del 3 luglio il relatore e il Governo hanno proposto una riformulazione dell’emendamento in questione, accettata dal proponente e approvata poi dalla Commissione, interamente differente dal testo di partenza, fatto salvo il generico richiamo agli ecosistemi marini delle aree protette che nell’emendamento originario era contenuto al fine di estendere agli operatori economici operanti nelle aree marine protette i contributi finanziari previsti all’art. 227 dello stesso decreto legge.

[18] K. Areddia, “Bilancio comunale, sugli emendamenti indaga la procura”, in La Stampa Vivere Milano, 15 marzo 2003, p. 1; A. Annichiarico, “A Milano l’ombra del commissario per gli “emendamenti fantasma””, in La Stampa, 15 marzo 2003, p. 6; G. Galli, “Emendamenti in bianco, indagato il sindaco di Milano”, in Italia Oggi, 5 maggio 2005, p. 6.

[19] G. Piccirilli, “Sul valore costituzionale del termine per la presentazione degli emendamenti”, disponibile in https://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/pre_2006/1143.pdf, 2006.

[20] M. Troisi, “Aspetti dell’esame degli emendamenti in Assemblea”, in Il Parlamento della Repubblica. Organi, istituti e procedure, a cura della Camera dei deputati, IV, Roma, 1992, p. 131 s.

[21] G. Piccirilli, “La reiezione di un subemendamento contenente una mera riscrittura formale del testo comporta la preclusione dell’emendamento cui esso era riferito?”, disponibile in https://www.amministrazioneincammino.luiss.it/2007/10/18/la-reiezione-di-un-subemendamento-contenente-una-mera-riscrittura-formale-del-testo-comporta-la-preclusione-dell%E2%80%99emendamento-cui-esso-era-riferito/, 2007.

[22] Dichiarazione del Presidente della Camera in A.C., XII leg., res. sten. 14 novembre 1995, p. 6.

[23] G. Piccirilli, “L’emendamento nel processo di decisione parlamentare”, Padova, Cedam, 2008, p. 121 ss.

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