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Il bicameralismo britannico e le differenze tra i partiti storici

Nel bicameralismo britannico, storicamente, Il Partito del Lavoro (Labour Party) e quello Conservatore (Conservative Party) sono state le due forze politiche che si sono alternate il potere dell’esecutivo. Il Labour Party nacque in Inghilterra nel XIX secolo da una forte vocazione socialista, richiamando i vecchi principi delle Trade Unions, si costituì come partito nel 1909 con la confluenza delle varie organizzazioni sindacali e politiche di carattere socialista e democratico. Il Laburismo riprende da sempre le idee cardine del socialismo e del liberalismo in una visione politica incentrata sulle istanze di giustizia sociale tipiche del socialismo e sulla tutela dell’individuo in quanto soggetto di diritti inalienabili come la libertà e la proprietà. Il Conservative Party, invece, rappresenta una corrente politica che, in linea con il tradizionalismo, non riconosce nei cambiamenti improvvisi una valida forma di sviluppo e sostiene la necessità di preservare un determinato stato politico, sociale e religioso, in genere si colloca per definizione tra i partiti della destra politica o del centro-destra. Molti partiti, ancora oggi, assumono espressamente il nome di “Partito Conservatore” e di solito sono movimenti che pongono le loro ideologie sui concetti di patria, fede, famiglia e ordine sociale, sono tanto liberali, quanto sociali. Nella maggior parte dei casi sono favorevoli al libero mercato, ma a volte “conservatori” sono anche partiti che accentuano il ruolo di controllo dello Stato nell’economia per evitare squilibri all’interno dei mercati. Molte contraddizioni inerenti alle diverse impronte che sono state riconosciute ai conservatori nel corso del tempo sono dovute all’evoluzione storica del conservatorismo, in quanto loro stessi non sono d’accordo all’immobilismo sociale ma si dichiarano più che altro promotori di un progresso  sensibile e graduale che accompagni la società senza modificarne drasticamente le caratteristiche ed i punti cardine.

Il Regno Unito viene definito come la patria della democrazia maggioritaria, una monarchia parlamentare notoriamente accompagnata dall’accezione di «Modello Westminster». Si tratta di un sistema fortemente bicamerale costituito dalla camera del Lords e dalla camera dei Comuni, la scarsa legittimazione democratica della prima, però, rende limitato il suo ruolo di bilancio nei confronti della seconda, poiché solamente la House of Commons risulta essere elettiva ed essenzialmente svolge funzioni parlamentari, mentre la House of Lords, costituita da nobili ereditari, detiene poteri fortemente limitati. La camera dei Comuni è composta da 650 parlamentari, eletti dal sistema maggioritario denominato first-past-the-post. In tale sistema, in ciascun collegio uninominale, ogni elettore può esprimere una sola scelta: viene quindi eletto per quel collegio il candidato che ottiene la maggioranza relativa dei voti (plurality), senza nessuna quantità o soglia minima di voti richiesti.[1]  Questo sistema tende a creare uno squilibrio tra i seggi, rappresentando per lo più i partiti più grandi – tanto che secondo la legge di Duverger [2], l’uninominale maggioritario fa tendere il sistema politico verso il bipartitismo – e rappresentando in modo inferiore, invece, i partiti medio-piccoli.

Paradossalmente infatti, un partito medio, il cui voto sia ripartito uniformemente sul territorio nazionale, giungerà in molti collegi secondo o terzo, occupando pertanto pochi seggi pur essendosi aggiudicato un apprezzabile numero di voti.  In quest’ottica un partito dello stesso peso complessivo, ma consolidato solamente in specifiche regioni, può occupare molti seggi in quelle aree, risultando perfino favorito rispetto a un sistema proporzionale puro[3]. Ciò è accaduto ad esempio, alle elezioni generali del 2015, in cui il Partito Nazionale Scozzese ottenne quasi il 50% dei voti in Scozia e conquistò ben il 95% dei seggi in palio nella regione (56 su 59), mentre nel resto del Paese, come di consueto, non si presentò nemmeno.

Non stupisce quindi come la Camera dei Comuni sia stata costantemente contraddistinta da una sostanziale pari esistenza dei due partiti (conservatori e laburisti) e abbia sempre tendenzialmente garantito un’alternanza al governo tra i due. A partire dal 1974 è tuttavia cominciato il declino del sistema maggioritario grazie all’emergere di nuove forze politiche, peculiarmente i Liberal Democratici, che rimangono, però, danneggiati dal sistema elettorale. La crisi del maggioritario giunge fino alle elezioni più recenti (in particolar modo, alle elezioni del 2010 che hanno generato l’ipotesi di Hung Parliament e alle recenti elezioni del 2015 che hanno messo in luce l’emergere e la forza sempre più crescente dei partiti radicati nel territorio) che rivelano un tendenziale scetticismo degli elettori verso i dei due partiti tradizionali, ma al contempo l’incapacità di suddetti voti di gravare tangibilmente nelle dinamiche parlamentari. Nel Regno Unito è indispensabile registrarsi per poter esercitare il proprio diritto di voto in occorrenza di elezioni e referendum.[4] Tale processo viene effettuato tramite una procedura online resa disponibile sul sito istituzionale del Parlamento, indicando semplicemente i propri dati personali.

Possono iscriversi tutti i cittadini britannici che abbiano compiuto i 16 anni (se cittadini di Inghilterra, Galles o Irlanda del Nord) o i 14 anni (se cittadini scozzesi), pur essendo possibile votare soltanto dopo aver compiuto i 18 anni. In questo quadro si inseriscono le principali funzioni del parlamento britannico, ovvero: la designazione del capo dell’esecutivo nazionale (che si impegna a dare voce alle richieste della popolazione espresse attraverso la loro volontà politica), la funzione didattica, la funzione informativa e la funzione di legislazione. Il potere esecutivo è esercitato dal governo, quello legislativo sia dal governo che dalle due camere del Parlamento, la House of Lords e la House of Commons. Quello giudiziario è indipendente da esecutivo e legislativo. Il primo ministro è capo del governo.

Per quanto concerne la funzione legislativa si osserva che la maggior parte dei disegni di legge esaminati e poi approvati sono di iniziativa governativa. Alla luce di ciò gli atti che il parlamento presenta si possono distinguere in “Public General Acts” e “Private Acts”. Mentre i primi costituiscono la categoria più ampia di legislazione, che in linea di principio incide sul diritto pubblico generale applicabile in tutto il Regno Unito (o almeno a uno o più dei suoi paesi costituenti), risultando così leggi di portata collettiva, i secondi sono leggi di interesse locale o personale, e si applicano quindi a una località specificatamente denominata o a una persona giuridica. Esistono infine le Hybrid Bills, leggi che mescolano le caratteristiche dei Public e Private Acts. Le modifiche alla legislazione proposte da una Hibrid Bill interesserebbero il pubblico in generale, ma avrebbero anche un impatto significativo per individui o gruppi specifici. Un esempio di tale tipologia di atti si è avuto tra gli anni 1970 e 1980 con i “Channel Tunnel Bills” che hanno influenzato in particolar modo il Sud Est del Regno Unito.[5]

L’iter legislativo varia per le diverse tipologie di atti. Per i Public Acts, infatti, esso si basa sul “metodo delle 3 letture”:

– la prima lettura riguarda la presentazione formale del progetto di legge che viene depositato e registrato e non comporta dibattito;

– la seconda lettura avviene dopo qualche settimana e consiste nell’esame approfondito del progetto di legge nei suoi contenuti generali e nei suoi principi ispiratori; si svolge un ampio dibattito in aula e, nella sola Camera dei Comuni, esso può concludersi con un voto ed è seguito dal “Committee stage”;

– la terza lettura in cui il testo è discusso e votato nella sua versione definitiva, se è approvato da una Camera, passa all’altra (ed è sottoposto a 3 letture) ed infine quando il testo è approvato definitivamente, è trasformato in legge dopo aver ricevuto il Royal assent.La camera dei lord può ritardare l’approvazione di un provvedimento ma non può bloccarne l’iter o perseverare con i propri emendamenti.

Per evitare, difatti, l’ostruzionismo e il veto esiste uno strumento, che prende il nome di “ghigliottina”, grazie al quale si fissa il termine entro il quale un provvedimento deve essere concluso. Per quanto riguarda invece i Private Acts sono espressione del potere tradizionale di “grant” del sovrano. L’iniziativa legislativa spetta a soggetti esterni che presentano bills (“Personal” e “Local”) sotto forma di petizioni. La petizione è trasformata in disegni di legge e seguita nel suo iter dai “Parliamentary Agents”. L’iter è fissato dai regolamenti parlamentari e, se approvati e promulgati, sono pubblicati all’interno dei “Local and Personal Acts”. Nell’ambito del Governo il Gabinetto, che comprende una ventina di Ministri a fronte dei circa cento membri del Consiglio dei Ministri, funge di fatto da “comitato direttivo” del Parlamento, in quanto può contare su una maggioranza disciplinata all’interno della House of Commons.[6] A sua volta il  Primo Ministro (Premier) svolge un ruolo fondamentale sia nella fase di formazione sia in quella di direzione del Governo, di cui è a capo, egli è gerarchicamente collocato al di sopra dei Ministri, è leader del partito di maggioranza (e quindi conta sull’appoggio della Camera dei comuni) e presidente del Gabinetto (di cui fissa l’ordine del giorno e le priorità). La figura del Premier, quindi, è predominante nell’ordinamento costituzionale britannico, dal momento che gode di una posizione di netta supremazia. Tale ruolo potrebbe essere addirittura considerato il segreto della stabilità del modello Westminster, se si considera gli avvenimenti del 1990, allorché i Conservatori sfiduciarono il loro leader, nonché Primo Ministro M. Thatcher e la crisi che ne seguì – tutta “extraparlamentare” perché nata e risolta all’interno del partito – si concluse con la nomina di John Major a Primo Ministro.

[1] Guida minima ai sistemi elettorali, il Post, 28 febbraio 2013.

[2] teorizzata dal francese Maurice Duverger negli anni ’50, Nuovo corso di scienza politica, p. 137, Pasquino, Il Mulino, 2004

[3] Roberto Brocchini, Gli effetti dell’«uninominale secca» sul sistema partitico e sulla stabilità dei governi. Un’analisi comparata a largo raggio , in Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, Regione Toscana, 2001

[4] I. LOVELAND, The Electoral System, in I. LOVELAND,Constitutional Law, Administrative Law and Human Rights: a critical introduction, Oxford University Press, 2005, pp. 210 ss.

[5]  www.parliament.uk/about/how/laws/bills/hybrid/

[6] Giuseppe Morbidelli, Lucio Pegoraro, Angelo Rinella, Mauro Volpi, Diritto pubblico comparato, G.Giappichelli Editore.

Mario Nocera

Mario Nocera, nato a Napoli il 04/01/1992 Direttore Area: Politica Economica Responsabile sviluppo business Laurea Magistrale in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni presso: l'Università degli Studi di Napoli Federico II. Tesi di Laurea in: Teoria dell Sviluppo umano. Titolo Tesi: ''Le diseguaglianze in Italia : il divario tra Nord e Sud'' Interessi: economia, finanza, politica, attualità e sociologia. Contatti: mario.nocera@iusinitinere.it

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