giovedì, Marzo 28, 2024
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Il caso Burberry: tra contraffazione e rinomanza del marchio

Non è scozzese, non è tartan è Burberry!

Il Tartan è uno tra i pattern di riferimento, nonché di tendenza, della collezione di moda autunno/inverno: ogni anno le case di moda ribadiscono come questa iconica stampa, simbolo di una cultura specifica[1], sappia rinnovarsi e vestire intere generazioni di donne e uomini[2]. Questa considerazione generale è essenziale per poter comprendere la cornice entro cui deve essere collocata la sentenza in commento e di come, nei fatti, i giudici della Suprema Corte di Cassazione abbiano compiuto un passo in avanti in materia di proprietà intellettuale.

1. Il fatto

La controversia giudiziale si era costituita a seguito di una operazione della Guardia di Finanza la quale aveva sequestrato circa 4000 metri quadrati di tessuto riproducente il famoso motivo a tartan “Burberry Check”, necessario per il confezionamento di capi di abbigliamento, accessori e complementi di arredo. Le indagini avevano portato alla luce come l’azienda cinese denunciata era a capo di un’intera rete distributiva di tessuto contraffatto,  che era parte di un più ampio  sistema di commercializzazione che si presentava formalmente come lecito, ma che in realtà occultava un’articolata e sleale attività di contraffazione, reato di cui si accusava l’azienda asiatica.

2. Il caso

Il caso in esame, chiusosi con la decisione n. 16568/2020, pronunciata dalla Suprema Corte di Cassazione, Sezione seconda Penale, vedeva contrapposte Burberry e una delle sue concorrenti cinesi; in particolare quest’ultima veniva accusata dei reati previsti e puniti dagli articoli 474 c.p.[3] e 648 c.p.[4], ossia contraffazione del marchio e ricettazione. La pronuncia in esame rappresenta una notevole progressione per ciò che concerne i diritti di proprietà intellettuale: per la prima volta, un organo di giustizia, riconosce come inequivocabile la celebrità del marchio figurativo “Burberry check”, ossia del disegno scozzese, a righe beige, nere e bianche che ha reso celebre il marchio britannico e che contraddistingue tutti i luxury goods dallo stesso prodotti.

Per poter apprezzare l’importanza del principio di diritto ripreso in questa pronuncia, è necessario rievocare alla mente del lettore l’intera vicenda processuale che si origina dalla sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma, in cui erano state rigettate le doglianze dei legali di Burberry, sia per quanto riguardava la azione di contraffazione, sia per il reato di ricettazione contestato nel capo di accusa all’azienda cinese. Il giudice di prime cure aveva, infatti, escluso che la condotta tenuta dai dipendenti dell’azienda, avente sede legale in Cina, potesse essere penalmente rilevante, in quanto i prodotti dell’azienda cinese, seppur identici, risultavano privi di qualsiasi riferimento al marchio denominativo “Burberry”: pertanto, i prodotti contestati non davano alcuna possibilità al cliente consumatore di ricollegarsi mentalmente alla nota azienda di moda parte civile del procedimento. L’azienda cinese veniva così assolta ai sensi dell’art. 530 c.p.p. in quanto, in mancanza dell’elemento oggettivo, il fatto non sussisteva.

Nel secondo grado di giudizio, invece, la Corte di Appello di Roma ribaltava l’iter argomentativo strutturatosi in primo grado: da un lato riconosceva la sussistenza del reato di cui all’articolo 474 c.p., difatti, per integrarsi il reato di contraffazione del marchio, in base alla littera legis del summenzionato articolo, era necessaria la mera riproduzione – anche parziale – non autorizzata del pattern e non anche la riproduzione del nome del brand (Burberry). La Corte di Appello aveva, però, aggiunto come la combinazione di righe beige e rosse su sfondo bianco, in verità, non potesse essere attribuitaunicamente al marchio Burberry: i prodotti considerati contraffatti nel caso in esame tendono a imitare un generico tipo di Tartan, non un oggetto unico e quindi immediatamente e direttamente tutelabile ex lege.

In base alle summenzionate argomentazioni, di cui supra, la Corte d’ Appello rigettava il  ricorso della casa di moda inglese  aggiungendo come ulteriore motivo di rigetto della domanda che il materiale probatorio prodotto in giudizio mostrava una mera riproduzione grossolana del pattern contestato dove i colori sfocati e il tessuto stropicciato impedivano un immediato ricollegamento al tessuto utilizzato dalla fashion industry Burberry.

3. La pronuncia della Corte di Cassazione

Giunti all’ultimo grado di giudizio, la Corte di Cassazione rivalutava la vicenda ed accoglieva il ricorso presentato dai legali Burberry, costituitasi già parte civile, dichiarando l’annullamento della sentenza impugnata e disponeva il rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma. Con la sentenza di rinvio, gli Ermellini rievocavano in ossequio alla funzione nomofilattica propria della Corte di Cassazione, quei principi di diritto destinati ad avere importanti risvolti in tema di contraffazione del marchio, reato a cui sono frequentemente esposti i luxury brand operanti nel settore della moda.

In prima battuta, nella sentenza della Suprema Corte di Cassazione, si evidenzia l’errore commesso dal giudice di secondo grado, il quale affermava che il marchio figurativo Burberry Check, o meglio il pattern a righe, non fosse indiscutibilmente caratteristico della casa di moda ed aveva, poi, escluso la contraffazione stessa a causa del materiale sottoposto all’attenzione del giudice di primo grado; si sottolineava, inoltre, come la condotta ex. art 474 c.p. si limitasse ad un caso di riproduzione parziale[5] del pattern contestato e che questa dovesse essere accertata attraverso un esame sintetico e globale[6] che consideri l’impressione complessiva del destinatario, in grado collegare la merce acquista al brand britannico, non soltanto all’atto di vendita ed acquisto, ma anche nell’uso della res contraffatta.

Secondariamente, la Consulta affermava l’irrilevanza e la “grossolanità” della riproduzione del pattern in quanto ciò che doveva essere considerato, in via principale e diretta, è la lesione del bene giuridico che si mira a tutelare, nel caso di specie, la fede pubblica; in questa prospettiva è opportuno riportare alla mente del lettore come i marchi siano opere dell’ingegno[7] sottoposte a un regime di tutela ex se e per la loro pubblicazione. Data l’appartenenza della specie delittuosa che trova un esplicito riscontro al Titolo VII Libro II del Codice Penale, deriva un’ulteriore conseguenza: la soglia di punibilità è anticipata al pericolo, che in questo caso significa che il reato si realizza a prescindere dall’avvenuto inganno, è perciò sufficiente la potenziale confusione[8] ingenerata nel pubblico[9].

Prima di procedere alle conclusioni per completezza di informazioni si segnala che la sentenza 16568/2020 è composta di un’ulteriore parte riguardante il reato di sottrazione dei beni sottoposti a sequestro. Qui per ragioni di tema e spazio ricordiamo solo che nei casi come quello da noi esaminato è prevista la misura restrittiva della confisca obbligatoria di cui all’articolo 240 c.p.[10].

4. Conclusioni

Quanto espresso dalla Cassazione nella risoluzione di tale controversia segna un punto di svolta per differenti ragioni: per Burberry l’accoglimento della domanda significa un nuovo posizionamento nel mondo del fashion luxury dato che “la combinazione di righe rosse e nere che si intersecano tra loro su un fondo base formando quadrilateri bianchi” non potrà più dirsi né scozzese, né tartan ma bensì sempre e solo Burberry. Più in generale, tale decisione determinerà in modo significativo la giurisprudenza per ciò che concerne il tema della protezione del marchio, sia per quanto concerne la questione della rinomanza, sia in materia di contraffazione, soprattutto in un settore come quello della moda in cui a contare sono i simboli e la loro relativa e piena protezione.

Scarica la sentenza qui.

 

[1] Il tartan è simbolo della Gran Bretagna, e in particolare della Scozia, il stampa è conosciuta anche con il nome di scozzese, in questo senso si rimandano a T. INNES, I Tartan Scozzesi, Rusconi, Milano,1985.

[2]Per approfondimenti si rimandano alla seguente lettura: https://wsimag.com/it/moda/6465-il-tartan .

[3]Art. 474 c.p. Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi.

[4] Art. 648 c.p. Ricettazione.

[5] Sulla differenza tra alterazione e riproduzione si veda Cass. Pen. 17108/2015.

[6] In materia di accertamento della contraffazione si consideri Cass. Pen. 16807/19 nella parte in cui si concede che la prova possa essere data anche tramite testimoni, ovvero soggetti qualificati che esprimono la loro opinione che si è formata da una attività di giudizio abituale e specifica.

[7] Il marchio come opera dell’ingegno offre una doppia tutela in caso di una sua illecita riproduzione: oltre a poter esperire l’azione di cui all’ articolo 474 c.p. si può attivare in area civile l’azione per concorrenza sleale. In questo senso si consideri Cass. 16647/2008.

[8] Confusione che può costituirsi o sull’originalità del prodotto o sulla legittimità di un dato soggetto a distribuirlo, in questo senso Cass. 33900/2018.

[9] Il pubblico non è la totalità dei potenziali destinatari ma di tutti coloro che sono in qualche modo interessati. Per definire le dimensioni effettive della platea si hanno da valutarsi la quota di mercato del marchio, intensità e l’estensione del brand; infine gli investimenti sostenuti per far conoscere il marchio stesso. In questo senso si guardi alla sentenza del Trib. Milano 830/2018 e all’articolo pubblicato in questa rivista BADIALI, Il caso Barilla e la tutela del marchio rinomato, disponibile su https://www.iusinitinere.it/il-caso-barilla-e-la-tutela-del-marchio-rinomato-commento-alla-sent-n-830-2018-del-tribunale-di-milano-11918.

[10] Per ulteriori approfondimenti si rimanda al seguente contributo: Bano, La confisca dei prodotti contraffatti nella filiera della moda, Ius in itinere, disponibile al seguente link: https://www.iusinitinere.it/la-confisca-dei-prodotti-contraffatti-nella-filiera-della-moda-29946.

Sara Barco

Laureata in Giurisprudenza presso l' Università degli studi di Padova. Attraverso le mie competenze in Digital marketing e nuove Tecnologie scrivo di Influencer marketing e Fashion Law. Attualmente vivo nel Regno Unito per  conoscere e apprendere usi e costumi della società inglese.

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