venerdì, Marzo 29, 2024
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Il caso della pelliccia di coyote: tra fur legal policy e pratiche commerciali scorrette

Indossare capi d’abbigliamento aventi materiali appartenenti a determinati animali, costituisce una scelta personale a detta di molti brand di carattere internazionale; ma fino a che punto tale scelta può considerarsi realmente informata per il consumatore finale?

Con il presente contributo si cercherà di dare punti fermi ad uno dei settori più controversi, ma non per questo meno chiari, del settore moda. Nello specifico, l’approccio giuridico con il quale si cercherà di indagare eventuali discrasie fra le condotte delle grandi aziende – che cuciono pellicce di coyote, orsetti lavatore, volpi, ad esempio, sui cappucci dei parka – e gli accordi internazionali in materia di cattura della fauna selvatica, avrà l’ingrato obiettivo di mettere in luce come la questione non abbia soltanto un carattere meramente “etico”.

Basterebbe scorrere le pagine della fur legal policy dei brands statunitensi che producono i parka più famosi al mondo nel settore della fashion industry, per cogliere alcune discrasie fra quanto imposto sulla carta degli accordi internazionali e l’etica realmente perseguita dalla azienda che si dichiara rispettosa e attenta al benessere animale.

Fra tutte le specie animali elencate nella policy, si sceglierà di parlare del coyote e del suo ricercatissimo “vello grigio”, di tendenza fra i/le fashion victims dei giorni odierni. Come noto, nell’America del Nord vi sono i c.d. trappers[1], il cui scopo è quello di catturare e uccidere i coyote per cibarsi della carne e per prenderne e trattarne le pelli. Leggendo la fur legal policy di un noto brand – di cui il nome in questa sede si vuole censurare -, l’attenzione non può che ricadere sulla sommaria spiegazione della procedura di cattura: da un lato la policy dichiara il rispetto degli Accordi sugli standard internazionali di cattura non crudeli (AIHTS – International Agreements on Human Trapping Standards)[2], dall’altro l’azienda sembra sorvolare sull’effettivo monitoraggio della “eticità” della procedura.

A tal proposito sorge spontaneo un dubbio: fino che punto il consumatore può ritenersi davvero informato se è l’azienda stessa a impedire una accurata diffusione di informazioni chiare e approfondite circa l’origine dei suoi materiali?

La cattura degli animali destinati a diventare pelliccia

Con il Regolamento CEE 3254/1991 [3], in Europa è stato bandito l’utilizzo di tagliole quale strumento per la cattura degli animali da pelliccia, insieme alla importazione di pelli di animali catturati in altri Paesi, con il ricorso allo stesso metodo. In tale contesto, secondo ricerche condotte dalla Lega Antivivisezione italiana (LAV), altre normative dettate dalle relazioni commerciali tra la Comunità Europea e i Paesi in cui la cattura di animali costituisce una fonte di guadagno milionario, mirerebbero ad aggirare il divieto di cui sopra.

Ci si riferisce a Paesi come quelli del Nord America, e più nello specifico, agli Stati Uniti (si pensi al Verbale concordato G.U.C.E. L219/26 del 7 agosto 1998)[2] e al Canada, e infine alla Russia (Accordo internazionale, G.U.C.E. L42/43 del 14 febbraio 1998)[3]. Si tratta di accordi bilaterali, gli AIHTS International Agreements on Human Trapping Standards, volti di fatto a derogare ai principi del Regolamento CEE 3254/1991, al solo fine di rendere lecito il mercato comunitario pellicce di animali catturati ricorrendo proprio alle tagliole. Nel periodo che va dal 2006 al 2011 – secondo quanto rilevato dalla LAV – l’Italia avrebbe importato dagli Stati Uniti pelli di animali di cui non esistono allevamenti, come ad esempio la razza del coyote; se ne deduce che parte di queste pelli erano conseguenti a catture in natura[4]. Ancora una domanda: il consumatore è a conoscenza della lunga lista di specie animali che sono destinate alla morte dopo lunghe sofferenze patite a causa di trappole mortali, annegamenti o percosse da parte dei cacciatori? Stiamo parlando più nello specifico di procioni, opossum, linci, lontre, coyote, donnole, topi muschiati e altre specie animali.

Il caso del cappuccio del parka Nord Americano

Ad avere successo fra i più e meno giovani indossatori del parka (con il noto cappuccio in pelliccia), tanto in voga nelle fredde stagioni invernali, vi sono griffe canadesi e statunitensi. Generalmente tali giubbotti sono “abbelliti” da una fascia di pelliccia di coyote cucita sul bordo del cappuccio, per l’appunto, per questioni puramente estetiche.

L’attenzione, nel presente contributo, sarà riposta proprio su questo dettaglio in pelle.

La maggior produttrice di pelliccia di coyote è la signora Colton Morris, nativa di Cleveland che caccia coyote quando non lavora come infermiera. È lei ad individuare le ragioni della sua ricca battuta di caccia: «Le persone non capiscono come il coyote sia un animale come le pecore», dice[5]. Sì, dopo ore di agonia, con le zampe strette in una trappola a molla, punta loro un fucile (o una pistola, questo non è dato saperlo) preme il grilletto e pone fine alla loro vita. Il vello del coyote è battuto oggi all’asta per cifre irrisorie (tra i 4$ ai 50 $)[6]. Il business che spinge alla tortura del coyote è davvero considerevole e i dati dei più noti brands Nord Americani ne sono la conferma: le aziende, infatti, avevano registrato nel primo trimestre del 2019 un fatturato a +50% rispetto agli anni passati. Per gli indiani d’America il coyote è un animale venerabile; esso, infatti, viene tutt’oggi idolatrato dalla comunità nativa dei Navajo come essere vivente solitario e irascibile e dall’indole ribelle.

Gli accordi AIHTS

Come già accennato, nel 1991, l’Unione Europea (UE) ha approvato il Regolamento 3254/91, che vieta l’importazione nei Paesi comunitari, di prodotti di pellicce selvatiche appartenenti a tredici razze di animali selvatici, con l’eccezione di quelle pelli animali ottenute da metodi di cattura soddisfacenti gli standard di intrappolamento concordati a livello internazionale. Il regolamento UE 3254/91 rimane in vigore oggi, con un totale di 19 specie elencate.

Lo scopo principale è quello di stabilire gli stessi standard in cui deve avvenire la cattura.

In base agli accordi, tutte le trappole utilizzate per il procacciamento di pellicce devono essere testate secondo gli standard prestabiliti e devono essere certificati da una autorità competente designata. Le trappole che non soddisfano gli standard devono essere ritenute illecite; un esempio, in questo senso, è quello della tagliola.

A tal proposito sono stati individuati degli indicatori del benessere degli animali catturati relativi alla fisiologia, alle ferite e al comportamento. Il focus su cui concentrarsi dovrebbe essere il benessere dell’animale sulla base degli indicatori ivi determinati per comprendere se il metodo di cattura attuato da un trapper qualsiasi, finalizzato all’immobilizzazione, possa rispettare le norme concordate e se, di conseguenza, la pelliccia di un animale catturato in quel modo può essere immessa sul mercato europeo. In egual misura si devono valutare i parametri relativi al tempo necessario affinché l’animale raggiunga uno stato di incoscienza e insensibilità al dolore per valutare se un metodo di cattura finalizzato all’uccisione dell’animale rispetta le norme concordate. Stando a quanto documentato dal comunicato stampa della LAV, dette regolamentazioni internazionali si riferiscono ad un set ben individuato di specie animali riportate negli Accordi stessi e per queste Stati Uniti, Canada e Federazione Russia godono di un’autorizzazione ad esportare le loro pellicce in Europa[7].

Simone Pavesi, Responsabile LAV dell’area moda animal free ha affermato nel comunicato stampa che si menziona in nota [8] «In realtà, non esiste alcun sistema di cattura ‘non crudele’ e i metodi oggi vigenti prevedono un tempo massimo di 5 minuti affinché un animale diventi incosciente e quindi insensibile al dolore, e presuppongono dunque l’accettazione di un elevato livello di sofferenza. Senza considerare il fatto che spesso gli animali agonizzano per ore o giorni prima di morire o essere uccisi dal ‘trappolatore’, e che questi sistemi di cattura sono causa della morte di molti animali particolarmente tutelati, come cani, gatti, o specie in pericolo di estinzione».

Il Comitato scientifico della Commissione UE boccia gli attuali sistemi di cattura

Gli AIHTS (si ribadisce, quegli accordi sottoscritti al fine di regolamentare le catture senza crudeltà) sono stati oggetto di un approfondito studio da parte della Commissione Europea tra il 2006 e il 2010, con il report “Human Trapping Standards” della Commissione UE [9]. Il Comitato scientifico, incaricato della verifica dello stato dell’arte dei metodi di cattura concordati a livello internazionale, non concorda e boccia gli attuali sistemi di cattura. Propone, inoltre, l’adozione di ulteriori standard di benessere, in grado di conferire maggiore rigorosità alle norme internazionali vigenti per raggiungere gli auspicati obiettivi: reale assenza di dolore, angoscia e sofferenza per gli animali catturati. Le catture in Canada sono consentite per una legislazione armonizzata in tutto il Paese. Dal 2007 la legislazione è stata riformata dalla implementazione nazionale dell’AIHTS. Circa 60.000 trappers sono operativi su tutto il livello nazionale; le principali ragioni per il trapping vanno dal controllo del sistema parassitario, al controllo della fauna selvatica, al procacciamento delle carni e pellicce, al mantenimento delle tradizioni locali. In Canada le specie sottoposte al trapping sono: coyote, lupo, castoro americano, gatto selvatico, lontra americana, lince americana, martora, topo muschiato ermellino, procione e tasso americano. Nel 2006, 683.000 le pellicce di queste specie sono state vendute per un valore di circa $ 21 milioni dollari canadesi.

La situazione negli Stati Uniti appare analoga a quella canadese, la regolamentazione per la cattura degli animali è data a livello statale anziché federale. Ci sono circa 150.000 trappers appartenenti alle associazioni di caccia. Il trapping avviene per ragioni che vanno dal controllo parassitario della fauna, alla gestione della fauna selvatica, all’ottenimento di carne e pelliccia. 12 di 19 specie elencate nell’AIHTS sono presenti negli Stati Uniti: coyote, lupo, castoro americano, gatto selvatico, lontra americana, lince americana, martora, pescatore, ermellino, topo muschiato, procione e tasso americano. Con il report “Human Trapping Standards” della Commissione UE, appare evidente che le ricerche condotte dalla LAV abbiano un riscontro normativo: gli accordi bilaterali, ovvero, gli AIHTS traggono la propria ratio in un meccanismo applicativo volto a derogare le disposizioni del Regolamento CEE 3254/1991, questo al solo fine di rendere legittima l’esportazione in Europa delle pellicce di animali catturati con il sistema delle tagliole.

Cosa si cela dietro l’etichetta «cruelty free»

Quanto riportato dalla analisi della LAV[11] denota una drammatica realtà ben lontana dalle catture «senza crudeltà», così come regolamentate dagli Accordi Internazionali tra Unione Europea e Stati Uniti: gli animali vengono letteralmente massacrati, colpiti ripetutamente con un bastone e annegati con sfondamento del torace, oppure strangolati con lacci metallici. Lo studio ha documentato anche l’attrazione delle trappole di animali protetti, come tutti gli animali “d’affezione” quali cani e gatti; ma nell’elenco pubblicato dall’associazione Born Free U.S.A. delle vittime “non-target” sono presenti anche altri animali particolarmente protetti, addirittura le aquile, attirate dalle esche.

Afferma ancora Simone Pavesi a mezzo di comunicato stampa come meglio riportato in nota [12]: «Abbiamo documentato come nel sistema di cattura e uccisione di questi animali, praticato negli Stati Uniti, vengano gravemente lesi gli accordi intercorsi con la Comunità Europea al fine di evitare ogni inutile sofferenza agli animali. Inoltre, a difesa dei principi dell’Unione Europea in tema di benessere animale, chiediamo che sia sospesa l’importazione di pellicce tra Stati Uniti e Unione Europea, in attesa che questa deprecabile vicenda sia del tutto chiarita».

Importazioni di wild-fur dagli Stati Uniti 

Nel periodo che va dal 2010 a luglio 2011 sono state esportate, sempre dagli USA in Italia, 42.954 pelli grezze di diverse specie animali catturati per lo scopo. Ci si riferisce a castori, lontre, procioni, ermellini, topi muschiati, linci opossum, tassi, coyote. Questo secondo le rilevazioni del U.S. Census Bureau Foreign Trade Division.

Nel triennio 2008-2010 Eurostat informa che, dagli USA all’Italia, sono state esportate pelli grezze di felidi selvatici, per 1.703.784 euro, corrispondenti a circa il 61% delle esportazioni di pelli di queste specie animali verso l’Unione Europea.

Gli stessi report delle vendite registrate presso la Casa d’Asta North American Fur Auctions, forniscono preziose informazioni riguardanti trattazione di lotti riguardanti pelli di animali catturati negli Stati Uniti. Più in particolare, si riscontra l’esistenza di questi rapporti commerciali tra USA e Italia considerato che sono state acquistate pelli di coyote da compratori italiani all’asta del 9 giugno 2011 [13].

Le pelli di questi animali sono cedute presso le Case d’Asta specializzate in lotti, non essendo possibile determinare la destinazione della pelle di un singolo animale. Questo secondo la filiera dell’industria della pellicceria. Alla luce di quanto anzidetto resta pressoché impossibile correlare le singole pelli degli animali così maltrattati, ad operazioni di acquisto da parte di italiani. Ad ogni modo, quanto accertato prova che, con riguardo ai metodi di cattura ed uccisione di questi animali negli USA, gli accordi intercorsi con la Comunità Europea al fine di evitare ogni inutile sofferenza agli animali sono troppo spesso disattesi.

Conclusioni

Alla luce di questa breve analisi scientifica si è mirato a dare una evidenza di carattere giuridico riguardo alle modalità di cattura degli animali da pelliccia; le fur legal policy risultano inebriate di incauto ottimismo e di slogan privi di alcun riscontro fattuale.

Dichiarare al consumatore che la pelliccia del coyote, posta come abbellimento a milioni di cappucci, costituisca il risultato di pratiche “cruelty free” a danno della vera vittima di una tendenza tutta modaiola, potrebbe rappresentare una pratica commerciale scorretta.

Al consumatore non si offrono evidenze riguardo ad un effettivo monitoraggio delle operazioni di cattura a mezzo di tagliole, vietate dalle disposizioni del Regolamento (CEE) n. 3254 del 1991.

Come noto, una pratica commerciale scorretta si configura allorché la condotta del professionista si ponga in contrasto con il principio della diligenza professionale, perché falsa o idonea a ingannare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio.

Il Codice del Consumo disciplina le pratiche commerciali ingannevoli agli articoli 21-23. Si tratta di condotte volte a indurre in errore il consumatore medio, alterandone le scelte nel processo decisionale. L’induzione in errore potrebbe riguardare infatti l’indicazione circa le caratteristiche intrinseche del prodotto ovvero, la natura delle materie prime [14].

Laddove un brand dichiari, nella fur legal policy, di perseguire il benessere degli animali, omettendo un effettivo controllo sulle pratiche di cattura, potrebbe incorrere in una pratica commerciale scorretta giacché, avvalersi di partner commerciali in grado di ricorrere ai trappers per il reperimento delle pelli, costituisce di fatto una violazione alle normative di rango internazionale che dettano una chiara disciplina in materia di sfruttamento della fauna da pelliccia.

La LAV denuncia a mezzo di video le barbarie consumate alla luce del sole dai trappers Nord Americani.

La morte è lenta e dolorosa, per asfissia, con il torace schiacciato dalla gamba del trapper o per annegamento, quando l’adrenalina della paura si propaga in tutto il sangue e le zampe annaspano verso il cielo nel vano tentativo di trovare un appiglio o di allontanare il bastone che tiene la testolina premuta sotto la barbarie dell’acqua. O, ancora, con i denti della tagliola che affondano nella carne e nelle ossa e portano ad un lento dissanguamento tra dolori atroci e lancinanti. Si vuole portare a conoscenza del lettore il fatto che esistono immagini crude, barbare, disumane proposte in Italia proprio dalla LAV[15].

Al centro del problema non vi sono soltanto 10 milioni di animali che muoiono in un anno, sotto le tagliole dei trappers, ma vi è un problema di carattere più propriamente giuridico. Se è vero che comperare capi di abbigliamento con tessuti di pelliccia animale costituisce una scelta prettamente personale per il consumatore italiano, come detto all’inizio, avvalersi secondo standard non trasparenti, delle normative dettate predisposte a livello comunitario, non può che rappresentare una pratica commerciale ingannevole, a fronte delle disposizioni del decreto legislativo del 6 settembre 2005, n. 206.

Documentare e, pertanto, mettere sotto gli occhi di tutti che nei Paesi del Nord America il sistema di cattura e uccisione del coyote integra una grave violazione degli accordi con la Ue, rappresenta un importante passo per dare per la prima volta in Italia una qualificazione giuridica ad un fenomeno barbaro, offrendo inoltre al consumatore nostrano una conoscenza maggiore sulla storia di quel prodotto, al fine di consentirgli una alternativa concretamente responsabile.

[1] I trappers erano dei cacciatori ed esploratori che percorrevano le montagne del nord America, specialmente le Montagne Rocciose, nella seconda metà del XVIII secolo e nella prima del XIX. Il lemma, di lingua inglese, è riferito a coloro che svolgevano l’attività di caccia ad animali selvatici ponendo trappole (animal trapping) per catturarli.

[2] Nello specifico, l’accordo è del 1997 sugli International Human Trapping Standards (AIHTS). L’AIHTS è l’acronimo di Humane Trapping Methods, ovvero si stabiliscono le trappole certificate dalle autorità competenti. Per un maggior approfondimento, si veda

[3] Per una presa visione del testo normativo, https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/54ed0db5-8487-42ac-8e05-11046ef3485f/language-it#:~:text=(CEE)%20n.-,3254%2F91%20del%20Consiglio%2C%20del%204%20novembre%201991%2C%20che,alle%20norme%20concordate%20a%20livello

[3] Per un approfondimento, cpay.nord-com.it/CPay/site/doPay

[4] E ancora, cpay.nord-com.it/CPay/site/doPay

[5] A titolo meramente esemplificativo si legga

[6] L’articolo di riferimento è di S.Carpentieri, su https://www.mam-e.it/moda/pelliccia-di-coyote-una-sberla-alla-sostenibilita/ 

[7] E ancora, si veda l’articolo di S.Carpentieri, su ihttps://www.mam-e.it/moda/pelliccia-di-coyote-una-sberla-alla-sostenibilita/  

[8] L’ampio riferimento è al documento seguente: http://www.dirittoambiente.net/file/animali_articoli_329.pdf

[9] L’intervista è stata ripresa ancora da: http://www.dirittoambiente.net/file/animali_articoli_329.pdf

[10] Si legga il seguente approfondimento  http://ec.europa.eu/environment/biodiversity/animal_welfare/hts/pdf/final_report.pdf

[11] A titolo meramente esemplificativo si legga  per la tutela dell’essere animale  

[12] http://www.dirittoambiente.net/file/animali_articoli_329.pdf

[13] I report sono stati ripresi da http://www.dirittoambiente.net/file/animali_articoli_329.pdf

[14] Per un’analisi più approfondita, si veda: https://www.agcm.it/competenze/tutela-del-consumatore/pratiche-commerciali-scorrette/

[15] Per ulteriori approfondimenti si legga il contributo di A.Sala, per il Corriere: https://www.corriere.it/animali/11_novembre_24/catture-in-natura-campagna-anti-pellicce-lav_6daa5808-168e-11e1-a1c0-69f6106d85c1.shtml

Si legga su questa rivista un ulteriore contributo riguardante un tema di estrema attualità del mondo del fashion law: https://www.iusinitinere.it/limpatto-del-coronavirus-sulla-fashion-industry-26723

Alessandra Commendatore

Avvocato e assistente di cattedra di diritto commerciale a Perugia.

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