giovedì, Marzo 28, 2024
Di Robusta Costituzione

Il caso Polonia e il rispetto della rule of law in Europa

Il principio della rule of law costituisce uno dei valori fondanti dell’Unione Europea, disciplinato dall’art. 2 TUE, secondo il quale “l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.”

La nozione di rule of law non è traducibile in italiano e non è equivalente al concetto, proprio della nostra tradizione giuridica, di “Stato di diritto“: esso comprende in sè nozioni plurime, tra cui la soggezione del potere pubblico a norme di diritto, la chiarezza e la conoscibilità del dato normativo, il rispetto del principio della certezza del diritto e del legittimo affidamento dei consociati, la garanzia dei diritti fondamentali e l’esistenza di un sistema giudiziario efficiente, imparziale e indipendente. Tali principi informano gli apparati costituzionali degli Stati Membri e ne costituiscono i capisaldi.

Da alcuni anni a questa parte, i governi di alcuni Stati membri – tra cui la Polonia – hanno messo in atto politiche che, in vari modi, ne hanno minato le fondamenta, sfruttando anche il fatto che l’organizzazione della giustizia nell’ordinamento statale non rientri fra le competenze dell’Unione: ciò ha destato sempre più preoccupazione nelle istituzioni comunitarie e ha posto in evidenza la parziale inefficacia dei rimedi previsti dal legislatore europeo per fronteggiare le crisi della rule of law.

Le violazioni della rule of law in Polonia

Quanto alle violazioni della rule of law in Polonia, il Parlamento europeo aveva già espresso preoccupazione per la situazione con la risoluzione del 13 aprile 2016. Successivamente, la Commissione, tenendo in conto anche le opinioni rese nel corso del 2015 dalla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (la c.d. commissione di Venezia) ha emesso ben quattro raccomandazioni: i) la prima sulla composizione e funzionamento del Tribunale Costituzionale Polacco (raccomandazione (UE), 2016/1374); ii) la seconda volta a tutelare la posizione del Presidente del Tribunale costituzionale (raccomandazione (UE) 2017/146); iii) la terza con l’intento evitare che le leggi sul Consiglio nazionale della magistratura, sulla Corte Suprema e sui tribunali ordinari entrassero in vigore (raccomandazione (UE) 2017/1520): iv) infine la quarta con la quale chiedeva alla Polonia una riforma con per eliminare i vizi sopra individuati, ribadendo le ulteriori richieste formulate in precedenza (raccomandazione (UE)2018/103) [1].

Nel dicembre 2017, il governo polacco ha promosso l’adozione di una legge sull’abbassamento dell’età pensionabile dei giudici della Corte Suprema polacca. La norma in questione, avendo ridotto l’età pensionabile dei magistrati dai 70 ai 65 anni, ha comportato il congedo di ben 27 dei 72 giudici allora in carica, tra cui anche il Presidente. Secondo la legge, i magistrati potevano richiedere una proroga triennale del proprio incarico attraverso uno specifico meccanismo. Tuttavia, l’esito della procedura era subordinato ad una valutazione fortemente discrezionale e inappellabile da parte del Presidente della Repubblica in merito all’idoneità dei giudici a continuare le proprie funzioni. Invero, dei 12 magistrati che presentarono tale istanza, solo 5 ne videro l’accoglimento. Pertanto, la composizione della Corte Suprema, attraverso le nuove nomine, cambiò fortemente, con evidenti ricadute sulla sua indipendenza.

I giudici congedati che avevano ricevuto il parere negativo del Presidente della Repubblica decisero di impugnare il provvedimento. Nel corso del procedimento, la Corte Suprema polacca formulò un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e, segnatamente, domandò “se l’articolo 19, paragrafo 1, seconda frase, TUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, terza frase, TUE, l’articolo 2, TUE, l’articolo 267, terzo comma, TFUE, e l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, [dovesse] essere interpretato nel senso che il principio dell’inamovibilità dei giudici, che fa parte del principio della tutela giurisdizionale effettiva e del principio dello Stato di diritto, [fosse] violato nel caso in cui il legislatore nazionale [abbia abbassato] l’età pensionabile dei giudici dell’organo giurisdizionale di ultima istanza di uno Stato membri” . [2]

Il rinvio pregiudiziale, tuttavia, non ha fermato l’intento riformatore del governo polacco, il quale non si era, a dire il vero, neanche arrestato di fronte ai precedenti interventi delle istituzioni europee.

Rimaste tutte queste richieste inascoltate, si è giunti all’attivazione della procedura ex art.7, prevista dal TUE in caso di evidente rischio di violazione dei valori fondamentali dell’Unione.

L’attivazione del procedimento ex art. 7 TUE

La norma sull’abbassamento dell’età pensionabile dei giudici, insieme all’introduzione di nuove norme sulla responsabilità dei magistrati, rientrava dunque in un più ampio piano di “restaurazione” della giustizia, scientemente mirato a ridurne l’indipendenza.

Tanto bastava per far sì che sussistesse un “evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2[3], presupposto per l’attivazione del procedimento previsto dall’art. 7 del TUE. La sussistenza del rischio è valutata dal Consiglio su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento o della Commissione. Il Consiglio può previamente rivolgere delle raccomandazioni allo Stato membro, nel caso in cui lo ritenesse opportuno. Lo Stato membro viene poi invitato a presentare delle osservazioni, e il Consiglio a questo punto delibera all’unanimità in merito all’esistenza della violazione contestata. A questo punto, lo Stato membro può vedersi sospesi alcuni diritti derivanti dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio.[4]

Il procedimento, così come descritto dall’art. 7, si connota principalmente come un confronto politico tra il Consiglio e lo Stato membro, e proprio per questo ha scarsa efficacia coercitiva. Di mero confronto politico si è trattato anche nel caso in esame: nelle due audizioni che vi sono state presso il Consiglio, la Polonia, attraverso i suoi rappresentanti, non ha dimostrato alcuna disponibilità a bloccare le riforme contestate.

L’avvio della procedura d’infrazione ex artt. 258-260 TFUE

Parallelamente al procedimento ex art. 7 TUE, la Commissione ha attivato anche una procedura di infrazione ai sensi dell’art. 258 TFUE, rimedio che si è dimostrato sicuramente più concreto ed effettivo.

Il 2 luglio 2018, infatti, la Commissione ha inviato al governo polacco una lettera di messa in mora relativa alla violazione degli articoli 19 TUE (obbligo di avere un sistema giurisdizionale effettivo) e 47 della Carta dei diritti fondamentali (diritto al giusto processo), concedendo alle autorità statali circa due mesi di tempo per rispondere. Constatata l’infruttuosità della messa in mora, la Commissione ha emesso il parere motivato del 14 agosto 2018 e un nuovo termine di due mesi (anche questo non perentorio) ha iniziato a decorrere affinché lo Stato polacco potesse riparare alla sua condotta.

Conclusosi anche questo termine con un diniego da parte delle autorità polacche di adottare qualsivoglia iniziativa, la Commissione ha depositato, in data 2 Ottobre 2018, un ricorso per inadempimento avanti la Corte di Giustizia. Il ricorso verteva su due censure fondamentali:

(a) la violazione del diritto di inamovibilità dei giudici (dal momento che l’abbassamento dell’età pensionabile dei giudici, di per sé, se effettuato con gradualità e proporzionalità e con l’intento di favorire l’accesso alla Corte Suprema di magistrati più giovani, non è censurabile, mentre lo è se viene utilizzato, come nel caso in esame, quale espediente per un intervento politico volto a modificare la composizione della Corte);

(b) l’eccessiva discrezionalità accordata al Presidente della Repubblica nella concessione delle proroghe ai magistrati che ne facciano richiesta.

Avvenuto il deposito del ricorso, finalmente, in data 17 dicembre 2018, il Presidente Duda ha sospeso l’applicazione della legge in discussione, pur restando ferma l’intenzione da parte dell’esecutivo polacco di proseguire nel progetto di riforma del sistema giudiziario.

La sentenza: il rispetto della rule of law

La Corte di Giustizia si è pronunciata con sentenza C-619/18 del 24 giugno 2019[5], accogliendo il ricorso presentato dalla Commissione limitatamente alla violazione dell’art. 19, par. 1, co. 2, TUE.

La Corte ha preliminarmente ridotto la portata della causa, in quanto  ha ritenuto inapplicabile la disciplina di cui all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CdfUE), in ragione di quanto disposto dall’articolo 51 CdfUE, che limita l’ambito di applicazione delle norme della Carta alla competenza dell’Unione Europea.

Tuttavia, la Corte ha specificato comunque che l’art. 19 TUE andava interpretato alla luce di quanto disposto dall’art. 47 CdfUE.

Quanto all’articolo 19 TUE, la Corte lo inserisce nel novero dei valori fondamentali di cui all’articolo 2 TUE, che tutti gli Stati membri si impegnano a promuovere e rispettare nel momento in cui essi decidono di divenire membri dell’Unione Europea. Pertanto, ciò giustifica la fiducia reciproca tra gli Stati membri, e in particolare, tra le giurisdizioni, in merito al riconoscimento di tali valori, fra cui, in primis, vi è il rispetto dello Stato di diritto.[6]

Ai fini del rispetto di questo principio cardine, è necessaria l’indipendenza della magistratura, garantita dall’inamovibilità dei giudici e dalla netta separazione dei poteri, che assicurano nel complesso un controllo giurisdizionale effettivo.

Pertanto, la previsione di norme che determinino in modo poco chiaro e proporzionale, e soprattutto in maniera fortemente discrezionale, le modalità di congedo dei giudici (si pensi al meccanismo di proroga), ledono lo Stato di diritto in quanto rendono la magistratura meno indipendente, dal momento che questa risulterebbe condizionata dal timore di una rimozione anticipata o di una mancata proroga. [7]

In conclusione, la Corte ha così statuito:

La Repubblica di Polonia, prevedendo, da un lato, l’applicazione della misura consistente nell’abbassare l’età per il pensionamento dei giudici presso il Sąd Najwyższy (Corte Suprema) ai giudici in carica nominati prima del 3 aprile 2018, e attribuendo, dall’altro, al Presidente della Repubblica il potere discrezionale di prorogare la funzione giudiziaria attiva dei giudici di tale organo giurisdizionale oltre l’età per il pensionamento di nuova fissazione, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

Il carattere maggiormente coercitivo della procedura di infrazione

Al di là della prevedibile sentenza di condanna da parte della Corte, la procedura d’infrazione, pur avendo una portata più ridotta rispetto al procedimento di cui all’art. 7 TUE, risulta essere un rimedio più efficace e ciò per almeno tre ordini di motivi.

Va ricordato, in primo luogo, che il ricorso per infrazione è di competenza della Corte di Giustizia, e pertanto vi è un unico grado di giudizio.

La Corte di Giustizia, inoltre, può adottare misure cautelari ex art. 279 TFUE, come il provvedimento cautelare pronunciato inaudita altera parte proprio nel caso in esame, con ordinanza del 19 ottobre 2018, poi confermata con successiva ordinanza del 17 dicembre 2018. La Corte ha così disposto la sospensione della legislazione polacca oggetto del ricorso, e conseguentemente, il ripristino dell’assetto della Corte Suprema polacca, con l’obbligo di reintegrare dei giudici precocemente congedati, dato il rischio grave ed immediato dell’effettivo e corretto funzionamento del sistema giudiziario polacco. Con ordinanza del 15 novembre 2018, inoltre, il presidente della Corte ha accolto l’istanza della Commissione di sottoporre la presente causa a procedimento accelerato.

Ultima, ma certamente non per importanza, l’entità della condanna dinanzi alla Corte di Giustizia, consistente in una cospicua sanzione pecuniaria, che con i sistemi della penalità di mora e della somma forfettaria, raggiunge spesso cifre astronomiche, le quali probabilmente preoccupano maggiormente della possibilità prevista dall’art. 7 del TUE di “sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio”.

L’inidoneità di fondo dei rimedi esistenti

Tuttavia, si è osservato che la procedura di infrazione disciplinata dagli artt. 258-260 TFUE non appare idonea a reagire a violazioni sistematiche dei valori fondamentali dell’UE, in quanto avente una portata più ridotta, mirata a risolvere casi di violazione di specifici obblighi e non, appunto, il mancato rispetto di valori fondamentali e fondanti l’Unione Europea. Non da meno, poi, è il rilievo del presupposto necessario per l’attivazione del procedimento d’infrazione, ovvero l’esistenza di una effettiva e conclamata violazione, mentre nel caso dell’art. 7 del TUE è sufficiente il mero rischio di violazione di uno dei valori di cui all’articolo 2 del TUE. Sussistono ancora delle lacune sostanziali e nessuno dei due rimedi appare pienamente adeguato alla tutela dei valori fondamentali.

Le preoccupazioni relative al rispetto della rule of law in Polonia, però, hanno fatto sì che emergesse un ulteriore strumento utile alla tutela di suddetto principio, in quanto atto a fornire ai giudici nazionali, attraverso l’interpretazione delle norme del diritto eurounitario, linee di comportamento da adottare in caso di rischio di violazione delle garanzie sottese al principio della rule of law in alcuni Stati, ovvero il rinvio pregiudiziale.

Il rinvio pregiudiziale da parte dei giudici irlandesi

Ciò è avvenuto  nella causa C-216/18 PPU[8] avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla High Court (Alta Corte Irlandese), con decisione del 23 marzo 2018, nel procedimento riguardante l’esecuzione di mandati d’arresto europei emessi proprio dalla magistratura polacca.

I giudici della High Court avevano deciso, infatti, di rinviare alla Corte di Giustizia per l’interpretazione della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, a seguito del diniego da parte dell’interessato di acconsentire alla consegna alle autorità polacche, adducendo di essere così esposto, a causa delle recenti riforme legislative del sistema giudiziario nella Repubblica di Polonia, alla privazione del suo diritto al giusto processo. Il giudice del rinvio condivideva l’esistenza di tale rischio, basandosi, in particolare, sulla proposta motivata della Commissione, del 20 dicembre 2017, presentata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione europea sullo Stato di diritto in Polonia [COM(2017) 835] . [9]

La pronuncia della Corte di Giustizia

In questo caso i giudici di Lussemburgo hanno potuto dare ai giudici irlandesi importanti indicazioni sulle modalità di esecuzione del Mandato di Arresto Europeo (MAE), quando sussitano elementi, come quelli contenuti in una proposta motivata della Commissione europea, adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, “idonei a dimostrare l’esistenza di un rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un equo processo garantito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a causa di carenze sistemiche o generalizzate riguardanti l’indipendenza del potere giudiziario dello Stato membro emittente”.

I giudici chiamati ad eseguire il MAE dovranno, in base a quanto stabilito dalla Corte, verificare in modo concreto e preciso se, alla luce della situazione personale di tale persona, nonché della natura del reato per cui è perseguita e delle circostanze di fatto poste alla base del mandato d’arresto europeo, e tenuto conto delle informazioni fornite dallo Stato membro emittente, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584, come modificata, vi siano motivi seri e comprovati di ritenere che, in caso di consegna a quest’ultimo Stato, detta persona corra un siffatto rischio.  La valutazione andrà fatta quindi caso per caso.

[1] I testi delle quattro raccomandazioni disponibili ai seguenti url : https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:32016H1374; ; https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32018H0103

[2] Causa C 522/18. Il testo del rinvio pregiudiziale è disponibile al seguente indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:62018CN0522

[3] Così all’articolo 7 del TUE, https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:2bf140bf-a3f8-4ab2-b506-fd71826e6da6.0017.02/DOC_1&format=PDF

[4] Art 7 TUE: 1. Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo

2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura. Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi.

3.Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.

  1. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche. Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati.

  2. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione.

  3. Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite nell’articolo 354 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.”

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p style=”text-align: justify;”>[5]Il testo della sentenza è disponibile al seguente indirizzo: http://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?language=it&td=ALL&num=C-619/18

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p style=”text-align: justify;”>[6] Par. 43 della sentenza. La Corte rinvia alla giurisprudenza precedente in materia e in particolare a : Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C‑64/16, EU:C:2018:117, punto 30, nonché 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 35

[7] Sul punto si veda il paragrafo 118 della sentenza, nonché Fanciullo D. e Iermano A., Recenti sviluppi sul monitoraggio della rule of law all’interno dell’Unione Europea nel rispetto dei suoi valori identitari, in Ianus – Diritto e Finanza – Rivista semestrale di studi giuridici, n. 15-16, 2017.

[8]http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsftext=&docid=204384&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1

[9] Oltre al già menzionato abbassamento dell’età pensionabile dei giudici della Corte Suprema polacca, la proposta motivata della Commissione riguardava :

  • le modifiche del ruolo costituzionale di tutela dell’indipendenza della magistratura affidato al Consiglio nazionale della magistratura, abbinate alle nomine illegali al Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale) da parte del governo polacco e al rifiuto di quest’ultimo di pubblicare determinate decisioni;

–        il fatto che il ministro della Giustizia sia ormai il procuratore generale, che possa svolgere un ruolo attivo nell’azione penale e che rivesta un ruolo disciplinare nei confronti dei presidenti dei tribunali, la qual circostanza ha potenzialmente un effetto dissuasivo su tali presidenti, incidendo, conseguentemente, sull’amministrazione della giustizia;

  • il fatto che l’integrità e l’efficacia del Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale) siano state notevolmente perturbate in quanto non vi sono garanzie che le leggi in Polonia rispettino la Costituzione polacca, circostanza di per sé sufficiente a incidere sull’insieme del sistema della giustizia penale.

Rossella Russo

Nata nel 1995, laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II. Accanto alla pratica forense in diritto civile e del lavoro, da sempre mi dedico allo studio del diritto internazionale ed eurounitario. Attualmente frequento il Corso di Perfezionamento in Diritto dell'Unione Europea a cura del professor Roberto Mastroianni.

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