venerdì, Aprile 19, 2024
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Il contratto del consumatore: genesi ed evoluzione di un nuovo paradigma

“Nell’ambito di una lettura sistematica della disciplina contrattuale sempre più fortemente emerge l’innovativa categoria dei contratti del consumatore, ove consumatore è “qualsiasi persona fisica che agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale[1]. L’emersione di tale categoria ha suscitato e suscita ancora la progressiva e significativa erosione della disciplina contrattuale di diritto comune, nonché un problema di coordinamento tra le due: significativa in tale senso è la attuale formulazione dell’art. 1469 bisc.c, rubricato “contratti del consumatore”, introdotto con il d.lgs. 6\9\2005 n. 206 “Codice del consumosecondo il quale “le disposizioni del presente titolo (1321-1469 c.c) si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli al consumatore”, per cui la portata generale della disciplina codicistica lascerà spazio alla lex specialis, successiva nel tempo e specificamente dedicata al contesto di competenza, rappresentata dalla disciplina consumeristica, senza escludere un possibile cumulo tra le due. Quanto alla problematica del coordinamento, un primo e significativo punto di frattura tra le due categorie è quello dei rimedi:  il contratto del consumatore è esposto a vincoli molto più stringenti, che comportano inevitabilmente una maggiore suscettibilità alla denuncia della loro violazione.

Si tratta di vincoli di forma: i contratti del consumatore rappresentano uno dei terreni elettivi più fecondi per il rifiorire di quella “rinascita del formalismo” che la dottrina segnala da tempo. La ratioè certamente favorevole al consumatore, il quale, in quanto parte contrattualmente più debole, risulta esposto a violazioni inconsapevoli della propria sfera di autonomia contrattuale.

Se è vero che il dilagare di vincoli comporta una maggiore vulnerabilità dei contratti del consumatore, è pur vero che le invalidità che la relativa disciplina presenta risultano esser meno distruttive ed irreversibili in quanto prevalentemente ancorate alla salvaguardia del contenuto contrattuale.

Quando l’invalidità investe l’intero contratto, ad esempio per contrarietà ad una norma imperativa, si presenta come nullità relativaazionabile dal solo consumatore e rilevabile d’ufficio dal giudice: la ratioè quella di ridurre il rischio di una censura del contratto garantendone la sopravvivenza, ancorché questo risulti invalido.

Quando l’invalidità concerne il profilo contenutistico, e quindi singole clausole contrattuali (caso tipico è quello delle clausole vessatorie[2]) tali contenuti possono essere sostituiti di diritto secondo lo schema dell’art. 1419 co. 2 c.c. Ma può anche accadere che la singola clausola invalida, ancorché essenziale per il contenuto contrattuale, cada senza esser positivamente sostituita con diversi contenuti legali, così come previsto all’art. 36 del Codice del consumo che in tema di nullità di protezione prevede che “il contratto rimane valido per il resto”[3]mettendo in tal modo del tutto fuori gioco la disciplina contenuta nel comma I dell’articolo 1419 c.c in materia di nullità parziale. La nullità di protezione ha dunque natura prevalentemente sanzionatoria per il professionista che abbia abusato della propria posizione di contraente forte[4].

Altro profilo innovativo è quello del recesso di pentimento, rimedio che consente alla parte consumatrice (e ovviamente solo a lei) di recedere dal contratto entro un certo (breve) termine dalla conclusione, a prescindere da qualsiasi presupposto giustificante. Precedentemente tale rimedio accompagnava contratti nei quali per il particolare contesto fisico- tecnico della comunicazione tra le parti appariva forte il rischio che il consumatore patisse un pregiudizievole “effetto sorpresa”, tuttavia attualmente risulta significativamente ampliata la sua area di operatività, configurandosi come uno dei rimedi più carichi di potenziale distruttivo del vincolo contrattuale[5].

Al di fuori di tale disciplina di natura individuale è prevista una forma di tutela collettiva che consente alle associazioni rappresentative dei consumatori, dei professionisti e alle Camere di commercio di chiedere al giudice un provvedimento di inibitoria dei contenuti di cui sia accertata la vessatorietà. Le tutele si sono poi rafforzate con l’introduzione delle “class action” che ammettono la aggregazione processuale di situazioni omogenee. In conclusione, sempre più fitto risulta il reticolato normativo in materia consumeristica, che in tempi recenti si è arricchito relativamente a quei settori in cui l’esigenza di tutela del contraente debole è stata maggiormente avvertita, configurando una integrazione del Codice del consumo: intermediazione finanziaria, contratti negoziati fuori dei locali commerciali, contratti turistici, credito al consumo, vendita di beni di consumo. Da ultimo con il d.lgs. 221\2007 sono state introdotte disposizioni integrative e correttive del codice del consumo e il d.lgs. 146\2007 ha dato attuazione alla Direttiva 2005\29\CE  relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori.

[1]Art. 18 d.lgs. 206\ 2005, lett. a).

[2]Art.33 d.lgs. 206\2005.

[3]Art. 36 d.lgs. 206\2005, co.I.

[4]Trib. Benevento 25.03.2008.

[5]V. Roppo, “Il contratto del duemila”, Giappichelli, 2011.

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