sabato, Aprile 20, 2024
Fashion Law Influencer Marketing

Il contratto di licenza nelle industrie di moda

Il contratto di licenza nelle industrie di moda

a cura di Dott.ssa Giulia Martino

Il contratto di licenza o licensing costituisce, certamente, uno degli strumenti fondamentali nelle industrie del fashion. Secondo il codice di proprietà industriale[1], il contratto  di licenza vede quali parti il licenziante o licensor – cioè colui che è titolare di un marchio – e il licenziatario o licensee, ossia il soggetto che può utilizzare il marchio stesso, dietro pagamento e per durata limitata. I vantaggi del titolare del marchio sono, in tal senso, indiscussi: la licenza è di durata limitata, consente un vantaggio economico e soprattutto determina l’estensione della conoscenza del marchio stesso[2]. Ma la caratteristica, che rende il contratto strumento di cui si servono sempre più spesso le industrie di moda, è la sua flessibilità. Posto che il contratto di licenza ha come suoi elementi indispensabili una serie di presupposti, tra cui l’ammontare della royalty o anche la portata dei diritti di licenza. Il licenziante, difatti, deciderà la portata applicativa del contratto, sulla base delle esigenze del marchio stesso.

  1. Il contratto di licensing nel fashion law.

Nel mondo della moda, la licensing nasce in Francia, intorno agli anni ’50, quale strumento per supportare l’estensione di marchi emergenti quali Chanel, Yves Saint Laurent, Dior a livello di prodotti non nazionali, quali i profumi. In Italia , invece, viene introdotta negli anni ’70 per aiutare core brands quali Giorgio Armani a finanziare la propria collezione. Oggi il contratto di licensing è divenuto fondamentale strumento di marketing per le industrie del settore fashion[3]. I fashion owner si servono sempre più di soggetti terzi per la produzione e l’affermazione del proprio marchio, su scala nazionale e globale. I settori del fashion world, ove il contratto di licenza si è maggiormente affermato, sono quelli dell’occhialeria e della profumeria.

  1. Esempi concreti.

Nel mondo dell’eyewear basti pensare a Marcolin. Nasce nel  1961, in Veneto, come fabbrica specializzata nella realizzazione di aste per occhiali. Negli anni successivi inizia la stagione delle licenze, siglando nel 1989 il primo accordo di acquisto con Finacom s.p.a. Oggi Marcolin vanta una lista di brand di prima categoria, quali Swarovski, Tom Ford, Tod’s e altri, con i quali ha stabilito accordi  di licenza funzionali a renderla società di primo piano dell’occhialeria italiana. La stessa Luxottica[4], fondata in Italia nel 1961, è, tuttora, società di licensing per eccellenza dell’eyewear. Oltre ad alcuni brand di proprietà come Ray-Ban , gestisce licenze con Giorgio Armani, Bulgari e molti altri. Nel settore dei parfumes, il contratto di licensing vede quali protagonisti Angelini Beauty, società di beauty che collabora con brand quali Laura Biagiotti e Blumarine, ed Euroitalia, casa imprenditoriale italiana che collabora oggi con Versace e Missoni. Ma il settore del fashion ha visto un’estensione dello strumento, anche nel settore abbigliamento[5].

Lo scenario che si è consolidato negli ultimi anni risulta essere funzionale a strategie di mercato precise. Le maison de mode, che scelgono di stipulare un contratto di licenza, ben sanno che il proprio brand sarà in grado di raggiungere un’ampia gamma di consumatori ed in tempi brevissimi. E questo è ancor più vero se la scelta è quella di un licensee partner, con un network consolidato. Chiaramente si tratta di ben calibrare le condizioni contrattuali, in punto di strategia. Il brand owner deve considerare rischi legati al fatto che il suo partner ben potrebbe non conoscere a pieno il prodotto e il suo pubblico. Per questo, si rende necessario che il contratto sia minuziosamente stipulato dall’azienda di moda. Un deterrente ai rischi possibili è il co-makership. Ovverosia il brand owner non stipulerà in solitudine il contratto ma si affiderà al suo team di esperti. Un altro modo, per ottenere un ottimo prodotto di licensing, può essere quello di valutare, di concerto con il licensor, i rischi di mercato prospettabili, all’uopo prevedendo delle clausole specifiche in tal senso. Si richiede infatti una conoscenza dei mercati specifica relativa alla loro segmentazione e i meccanismi che li regolano. Il fattore di successo è dunque la partnership e il co-working [6]: si tratta di un equilibrio perfetto tra il creativo della moda, il licenziante, che ben conosce il proprio brand, e l’impresa licenziataria. Il rapporto presenta diverse sfumature. Una prima forma, il cosiddetto licensing opportunistico, è stata  adottata  per superare i limiti del mercato e della produzione di utili. Più nello specifico,  si stabilisce una relazione tra lo stilista e il licensee  , al fine di ottimizzare il rendimento del prodotto in termini brevi. La scelta è precisa: la creatività passa in secondo piano, quasi a restringere il ruolo della griffe in termini di mera comunicazione del marchio stesso.

Una diversa manifestazione dei contratti di licenza è stata definita di licensing strategico. Si tratta di un rapporto più complesso, che cerca di calibrare gli interessi di ambedue le parti, prevedendo che la gestione della manifattura resti al brand owner, così tutelando la creatività, lasciando invece al licensee la gestione della comunicazione. Come è evidente, la licensing nel fashion può massimizzare la propria efficacia solo con un rapporto contrattuale ben regolamentato, che abbia previsto condizioni precise, dopo un’indagine di lunga durata[7]. Nonostante i profili critici, lo strumento della licenza resta ad oggi la strategia di mercato più utilizzata nelle industrie del fashion.

[1]Il marchio può essere oggetto di licenza anche non esclusiva per la totalità o per parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato e per la totalità o per parte del territorio dello Stato, a condizione che, in caso di licenza non esclusiva, il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi eguali a quelli corrispondenti messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio dal titolare o da altri licenziatari.” Il testo è consultabile in www.normattiva.it

[2] Sul punto vd. “Contratti di cessione e licenza del marchio”, in www.tuteladelmarchio.it

[3] R,CELENTANO, “Licensing: quali sono le maggiori aziende licenzianti in Italia?”, pubblicato in www.snapitaly.it

[4] Per maggiori approfondimenti si legga Massimei, Il rischio Cyber nelle industrie del fashion e del lusso: il caso Luxottica, Ius in itinere, disponibile su https://www.iusinitinere.it/il-rischio-cyber-nelle-industrie-del-fashion-e-del-lusso-il-caso-luxottica-31055

[5] G.BOLELLI, “Brandsdistribution: accordo di licenza per l’abbigliamento della Oxford University”, pubblicato in www.it.fashionnetwork.com

[6] Per maggiori approfondimenti vd S. SAVIOLO, A.MARAZZA,  “Lifestyle Brands: A Guide to Aspirational Marketing”, Palgrave Macmillan,  2013

[7] Sull’argomento si veda F.FAVA, “L’indipendenza dei creativi nella moda”, in www.fabriziofava.com

Lascia un commento