Il contratto di rappresentazione
All’interno della legge del 22 aprile 1941, numero 633, gli artt. dal 33 al 37 sono stati espressamente dedicati alla predisposizione della disciplina relativa alle opere coreografiche o pantomimiche, ovvero le opere che sono destinate alla rappresentazione e che si differenziano dalla macro-categoria delle opere musicali per la circostanza che la parte musicale non presenta valore o funzione principale [1].
Nello specifico, mentre con il termine opera coreografica si intende l’arte di comporre balletti, ovvero la capacità di elaborare e realizzare figure di danza armonizzandole con la musica, nel parlare di opere pantomimiche ci si riferisce a qualunque tipo di rappresentazione teatrale che sia esclusivamente affidata all’azione mimica.
I diritti di utilizzazione economica di opere di tal genere spettano, ai sensi dell’art. 37, comma primo, della suddetta legge, “all’autore della parte coreografica o pantomimica e, nelle riviste musicali, all’autore della parte letteraria” [2] e costituiscono oggetto di uno dei tre contratti tipizzati dalla legge sul diritto d’autore, ovvero il c.d. contratto di rappresentazione.
È, quest’ultimo, il contratto con il quale, in base al dettato dell’art. 136 della Legge del 22 aprile 1941, n. 633, “l’autore concede la facoltà di rappresentare in pubblico un’opera drammatica, drammatico-musicale, coreografica, pantomimica o qualunque altra opera destinata alla rappresentazione” [3]. Da ciò si desume che oggetto del contratto di rappresentazione è l’esercizio della facoltà di rappresentare in pubblico l’opera dell’ingegno ovvero, in altre parole, di comunicare/trasmettere l’opera a un pubblico presente, cosa che esclude, di conseguenza, che oggetto di tale tipologia contrattuale possano essere le opere cinematografiche. L’utilizzo del termine “presente” comporta, inoltre, che la rappresentazione non possa consistere nella semplice proiezione di un’interpretazione artistica già realizzata e, pertanto, registrata, poiché vi è la necessità di una messa in scena “dal vivo”. Con tale contratto, inoltre, il concessionario si impegna a remunerare l’autore ed a rappresentare l’opera garantendo, al contempo, di non apportare alcuna modifica ad essa senza previo assenso dell’autore, ciò sempre nel rispetto delle linee guida fornite da quest’ultimo [4]. È bene sottolineare, tuttavia, che, ai sensi del comma secondo dell’art. 136 della succitata legge, la concessione della facoltà di rappresentare l’opera coreografica o pantomimica oggetto del contratto di rappresentazione non è né esclusiva né trasferibile ad altri se non in presenza di patto contrario, circostanza che implica che:
- a meno che l’esclusiva non venga espressamente pattuita, è possibile, per l’autore, trasferire a più soggetti il diritto di rappresentare la stessa opera;
- anche se il diritto in questione non è trasferibile, ciò non implica automaticamente che sarà il concessionario a rappresentare direttamente l’opera;
La nominata esclusiva, poi, in base a quanto stabilito dal combinato dell’ultimo comma dell’art. 119 e dell’art. 19 della Legge del 22 aprile 1941, n. 633, [5], potrà:
- Riguardare un determinato territorio;
- Concernere una particolare modalità di espressione dell’opera o di luoghi destinati alla rappresentazione;
- Riferirsi ad un determinato arco temporale.
In ogni caso, perché l’oggetto del contratto possa essere efficacemente determinato, è fondamentale che vengano indicati gli elementi minimi idonei a identificare, da un lato, l’opera concessa e, dall’altro, gli ambiti della concessione, cosa, quest’ultima, possibile tramite la descrizione pedissequa della modalità con le quali la rappresentazione sarà effettuata.
Andando, poi, ad esaminare gli obblighi posti a carico delle parti dal legislatore, si nota che l’autore, dal canto suo, è tenuto a consegnare il testo dell’opera da rappresentare ed a garantire il pacifico godimento dei diritti concessi per tutta la durata del contratto [6]. Il concessionario, d’altra parte, è tenuto [7]:
- a rappresentare l’opera senza apportarvi aggiunte, tagli o variazioni non consentite dall’autore;
- a comunicare al pubblico, nell’annunciare la rappresentazione, il titolo dell’opera, il nome dell’autore e l’eventuale traduttore o riduttore (questi ultimi sono, evidentemente, quei soggetti il cui contributo rientra nel novero delle c.d. opere derivate tutelate dall’art 4 della Legge del 22 aprile 1941, n. 633 [8];
- a permettere all’autore di vigilare sulla rappresentazione, affinché quest’ultimo possa intervenire nel caso in cui al contratto non sia data regolare esecuzione. Si precisa, comunque, che il potere di vigilanza dell’autore riguarda non solo la rappresentazione in sé e per sé, ma anche le prove della stessa;
- a rappresentare l’opera in modo tale da non recare pregiudizio né all’onore né alla reputazione dell’autore [9]. Si concretizza, infatti, un atto a danno dell’opera sia quando il contesto ambientale in cui essa venga rappresentata risulti essere ad essa nocivo sia quando, in conseguenza dell’interpretazione resa dagli artisti, ne si alteri in maniera grave il contenuto ideologico;
- a non mutare, se non per gravi motivi, i principali interpreti dell’opera e i direttori di orchestra e dei cori, se questi sono stati designati di comune accordo con l’autore. Per gravi motivi, si precisa, si intendono tanto quelle circostanze non ipotizzabili al momento del perfezionamento dell’accordo con l’autore quanto quei fatti in grado di pregiudicare il regolare espletamento del contratto (es: improvvisa malattia dell’autore);
- a pagare all’autore il compenso pattuito, che potrà consistere o in un compenso a stralcio o in una quota di partecipazione sugli introiti derivanti dalla rappresentazione dell’opera;
- a rappresentare l’opera avuta in concessione (ai sensi del combinato degli artt. 127, 128, 139 e 140[10]);
- a non subconcedere ad altri il diritto di rappresentazione, salvo patto contrario, ovviamente, con l’autore[11].
Pertanto, l’autore avrà la possibilità di opporsi a qualsiasi modifica della stesura originaria dell’opera anche se, tuttavia, non potrà mai sollevare opposizioni nei confronti delle modalità interpretative prescelte dal concessionario.
In riferimento alla lettera g) di cui sopra, è il caso di fare alcune precisazioni. Anzitutto, ai sensi dell’art 127 della Legge del 22 aprile 1941, n. 633, il concessionario sarà tenuto a rappresentare l’opera entro il termine fissato dal contratto, ovvero entro un termine che non dovrà essere superiore a due anni dalla consegna dell’opera (obbligo, come già detto, gravante sull’autore dell’opera),ad eccezione delle opere drammatico-musicali, per le quali il termine è esteso a cinque anni dal secondo comma dell’art. 127 della detta legge. Tale termine biennale costituisce, nei fatti, presupposto processuale per l’autore che intenderà agire contro il concessionario davanti all’autorità giudiziaria (in caso di mancata rappresentazione dell’opera) al fine di ottenere la risoluzione del contratto. Infatti, si evidenzia che l’art. 140 della Legge del 22 aprile 1941, n. 633, dispone che “se il cessionario del diritto di rappresentazione trascura, nonostante la richiesta dell’autore, di ulteriormente rappresentare l’opera dopo una prima rappresentazione, o un primo ciclo di rappresentazioni, l’autore della parte musicale o letteraria che dimostri la colpa del cessionario, ha diritto di richiedere la risoluzione del contratto“, ovvero lo scioglimento del rapporto e il risarcimento del danno subito, purché di questo possa fornire prova. L’autorità giudiziaria, nel caso in cui la domanda venga accolta, potrà:
- dichiarare, con sentenza costitutiva, la risoluzione dell’intero contratto;
- concedere al concessionario una dilezione che, però, non sia superiore alla metà del suddetto termine biennale.
Una volta che l’autore abbia ottenuto la risoluzione del contratto, il concessionario dovrà, da una parte, rendere all’autore l’originale dell’opera e, dall’altra, risarcire il danno cagionato, a meno che non provi che la mancata rappresentazione non sia stata causata da una carenza di diligenza da parte sua.
[1] artt. 33-37, Legge del 22 aprile 1941, n. 633, disponibile qui: http://www.interlex.it/testi/l41_633.htm
[2] art. 37, Legge del 22 aprile 1941, n. 633.
[3] art. 136, Legge del 22 aprile 1941, n.633.
[4] cfr, art. 138, Legge del 22 aprile 1941, n. 633.
[5] artt. 19 e 119, ultimo comma, Legge del 22 aprile 1941, n. 633.
[6] art. 13, Legge del 22 aprile 1941, n. 633.
[7] art. 137, Legge del 22 aprile 1941, n. 633.
[8] art 4, Legge del 22 aprile 1941, n. 633.
[9] art. 20, Legge del 22 aprile 1941, n. 633.
[10] artt. 127, 128, 139 e 140, Legge del 22 aprile 1941, n. 633.
[11] art. 110, Legge del 22 aprile 1941, n.633.
Dott.ssa Valentina Ertola, laureata presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma 3 con tesi in diritto ecclesiastico (“L’Inquisizione spagnola e le nuove persecuzione agli albori della modernità”). Ha frequentato il Corso di specializzazione in diritto e gestione della proprietà intellettuale presso l’università LUISS Guido Carli e conseguito il diploma della Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l’Università degli Studi di Roma3. Nel 2021 ha superato l’esame di abilitazione alla professione forense. Collaboratrice per l’area “IP & IT”.