giovedì, Aprile 25, 2024
Diritto e Impresa

Il Decreto Crescita e le misure a sostegno delle PMI

A cura di Ludovico Roger Andrea Lenners e Gabriele Conni.

Il miglioramento della congiuntura economica italiana rappresenta indubbiamente la grande sfida dell’attuale Governo, con un’economia italiana ormai da tempo minacciata dallo spauracchio della recessione e con l’incombente apertura di una procedura d’infrazione ai sensi degli artt. 258 e 260 del TFUE da parte della Commissione Europea.

In questo contesto, “considerata la straordinaria necessità ed urgenza di stabilire misure per la crescita economica” – come affermato nel preambolo –, il c.d. “Decreto Crescita” (D.L. 30 aprile 2019 n. 34) introduce importanti novità nel nostro ordinamento, allineandosi all’ormai consueta quanto consolidata prassi del legislatore nostrano – certamente discutibile alla luce del rigore del testo costituzionale – che conferma il ricorso alla decretazione d’urgenza quale strumento di produzione normativa ormai prioritario in tema di riforme economiche.

Dalla lettura del testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale (30 aprile 2019, serie generale n. 100), risulta chiaro che il Decreto Crescita è modellato sull’esigenza di sostenere la piccola e media impresa, la quale, come noto, concorre per il 12% al PIL italiano[1], costituendo la spina dorsale dell’economia nazionale.

Tra le previsioni del Decreto Crescita, oltre alle varie agevolazioni fiscali e novità in tema di incentivi (con particolare riferimento alle già dibattute modifiche alla disciplina degli “Ecobonus” e “Sismabonus” di cui all’art. 10 del decreto in parola), spiccano importanti interventi in materia finanziaria e in tema di raccolta del capitale.

Centrale è, innanzi tutto, l’obiettivo di procurare alle PMI gli strumenti necessari a garantire un generale rilancio degli investimenti privati. A tale scopo, ai sensi del comma 1 dell’art. 17 del Decreto, le risorse a disposizione del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese costituito dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) presso Mediocredito Centrale S.p.A. con l’art. 2, comma 100, lett. a) della Legge 24 dicembre 1996 n. 662 sono state incrementate in misura pari a 150 milioni per l’anno fiscale 2019.

Sempre ai sensi del comma 1 del menzionato articolo è istituita, nell’ambito del fondo, un’apposita sezione speciale destinata alla concessione di finanziamenti a titolo oneroso per le singole imprese con un numero di dipendenti non superiore a 499. In particolare, tali finanziamenti – o portafogli di finanziamenti -, il cui ammontare dovrà essere destinato per almeno il 60 percento ad investimenti in beni materiali, potranno essere erogati su base ultradecennale nel limite trentennale per un ammontare massimo garantito pari a 5 milioni di euro.

In parziale deroga a siffatta previsione, il comma 2 dell’art. 17 del Decreto Crescita – intervenendo sul comma 4 dell’art. 39 del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito con modificazioni dalla Legge 22 dicembre 2011 n. 214 – prevede che, per i soli portafogli di finanziamenti, “l’importo massimo garantito dal fondo per singola impresa è elevato […] a 3,5 milioni di euro”. In particolare,  i prestiti in parola saranno erogati da banche o altri intermediari finanziari abilitati sulla base di criteri e modalità determinati con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.

Dal punto di vista regionale, di grande importanza è la previsione di cui all’art. 18 del Decreto di cui trattasi, laddove lo stesso prevede che “nelle regioni sul cui territorio […] è già disposta la limitazione dell’intervento del predetto Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese […] alla sola controgaranzia dei fondi di garanzia regionali e dei consorzi di garanzia collettiva, la predetta limitazione rimane in vigore fino al termine di sei mesi dalla data di conversione del presente decreto”, salva la possibilità per le regioni di stabilire un termine inferiore.

Da quanto sopra esposto, in tema di assicurazione dei finanziamenti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese si possono osservare due particolari aspetti. In primo luogo, risulta confermato anche in materia di finanza delle PMI l’approccio ormai tipico del nostro legislatore, consistente nel fare affidamento sulla liquidità degli operatori del mercato per realizzare, con il ricorso a prestiti di capitale privato, politiche pubbliche in ambito economico. Lo stesso dicasi – e.g. in relazione alle misure per il sostegno delle PMI italiane nella partecipazione a fiere internazionali (i.e. art. 49 del Decreto Crescita) – in relazione al ricorso al credito d’imposta come strumento di sostegno allo sviluppo e alla ricostruzione economica ed industriale. In secondo luogo, è chiara la divergenza tra il legislatore italiano e quello comunitario in relazione ai requisiti per la classificazione di un’impresa come PMI.

Il criterio dei 499 dipendenti – invero già utilizzato nel menzionato D.L: 201/2011 –, non accompagnato da alcun tipo di requisito patrimoniale, risulta ben più accomodante dei parametri previsti dalla Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Europea, secondo cui “la categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR” (art. 2 dell’Allegato).

Di particolare innovatività è poi l’espresso riferimento a canali alternativi di raccolta del capitale privato. Infatti, per le sole microimprese, piccole e medie imprese che soddisfino i parametri di cui alla normativa comunitaria appena menzionata, la garanzia del Fondo per le PMI di cui alla ricordata L. 662/1996 può essere accordata “a favore dei soggetti che finanziano, per il tramite di piattaforme di “social lending” e di “crowdfunding”, progetti di investimento”.

Le modalità e le condizioni di accesso al Fondo per i gestori di dette piattaforme, previo accredito, sono stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Tali ultime previsioni rappresentano indubbiamente un importante passo  verso l’adeguamento dell’ordinamento italiano agli standard e ai meccanismi tipici della società dell’informazione; sebbene l’impatto di tale “passo in avanti” non sembra promettere un impatto particolarmente significativo sullo sviluppo industriale nazionale nel breve periodo, come meglio di seguito spiegato.

Per quanto riguarda la ripartizione dei rischi in relazione ai canali alternativi di finanziamento informatizzati, il comma 6 dell’art. 18 prevede che la garanzia debba comunque “assicurare un significativo coinvolgimento del soggetto finanziatore nel rischio dell’operazione”, di fatto operando una ripartizione ‘legale’ del rischio finanziario – per la cui disciplina di dettaglio si rimanda al Decreto applicativo -, limitando così l’autonomia privata in materia.

Del resto, con riferimento anche ad altri ambiti della legislazione vigente, le esigenze di trasparenza collegate alla natura informatica dei canali di finanziamento nonché la dimensione ancora “sperimentale” degli stessi sembrano rappresentare esigenze che il legislatore ha senz’altro ritenuto meritevoli di tutela.

Non mancano, inoltre, misure di rafforzamento finanziario delle PMI – sulla falsariga dello sforzo del legislatore di introdurre nuove misure per la prevenzione e gestioni delle crisi di impresa, da ultimo perseguito con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del “Codice della crisi di impresa” (D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14) -.

In particolare, l’art. 21 del D.L. 34/2019 recante la rubrica “Sostegno alla capitalizzazione” prevede che i contributi a tasso agevolato per investimenti in beni produttivi materiali di cui all’art. 2 del D.L. 21 giugno 2013 n. 69 (convertito con modificazioni dalla Legge 9 agosto 2013 n. 98) siano riconosciuti anche alle PMI “impegnate in processi di capitalizzazione” le quali intendano “realizzare un programma di investimento“.

Non solo i menzionati contributi, ma anche i finanziamenti agevolati di cui al menzionato D.L. 69/2013 sono riconosciuti in capo alle PMI costituite in forma di società di capitali i cui soci si siano impegnati sottoscrivere un aumento di capitale, da versarsi secondo le scadenze del piano di ammortamento del relativo finanziamento[2].

Le modalità di accesso al finanziamento sono determinate con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

La norma in parola ha un’indubbia importanza strategica per quanto concerne il lancio – o rilancio – dell’imprenditoria giovanile, giacché il riferimento generale alle imprese costituite nella forma di “società di capitali” lascia intendere l’intenzione del legislatore, almeno nella vacanza di un decreto applicativo della disposizione interessata, di “strizzare l’occhio” al mondo delle start-up – per lo più costituite nella forma di società a responsabilità limitata semplificata di cui all’art. 2463-bis del codice civile – che da sempre fatica ad espandersi in Italia.

L’intento del legislatore italiano di sostenere lo sviluppo delle PMI si è concretizzato anche in alcune modifiche alla della regolamentazione finanziaria che hanno portato all’introduzione del nuovo istituto delle cosiddette “Società di Investimento Semplice” (“SIS”).

In base a quanto previsto dall’art. 27 del Decreto Crescita, all’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza), è inserita, dopo la lettera i –ter, la lettera i-quater che introduce le SIS. L’oggetto sociale esclusivo delle nuove società è di investire i fondi collettivi raccolti in “PMI non quotate su mercati regolamentati di cui all’art. 2, par. 1, lett. f) del regolamento (UE) n. 2017/1129 del 14 giugno 2017 che si trovino nella fase di sperimentazione, di costruzione e di avvio dell’attività.”: ciò è del tutto allineato alle altre iniziative già prese dal legislatore in tema di supporto alle PMI e alle start-up.

Per quanto riguarda la forma giuridica, se è vero che il Decreto Crescita prevede che le SIS debbano avere forma di società per azioni di diritto comune, è vero anche che lo stesso Decreto dispone che le medesime (i) possano avere un “capitale” massimo di 25 milioni di Euro, da raccogliersi presso “investitori professionali e/o business angel, (ii) debbano avere sede legale e direzione generale in Italia e (iii) possano  essere “gestite da uno o più soggetti in possesso dei requisiti di onorabilità ai sensi dell’art. 13, co. 2 e 5 del TUF”.

Il Decreto non manca peraltro di fornire alcuni requisiti di carattere negativo in relazione alle SIS, disponendo che queste ultime non possano emettere obbligazioni e che ad esse non si applichino gli artt. 2349, 2350, co. 2 e 3, 2353, 2447 e 2447-decies del codice civile. Alla luce di quanto detto, le SIS possono essere considerate quale nuovo strumento di fund raising a favore di start-up e PMI e rientrano quindi tra le altre misure (quali l’EuVeCa, i fondi ELTIF, i PIR – Piani Individuali di risparmio) recentemente introdotti al fine di finanziare le start-up e attrarre flussi d’investimento verso le PMI, colpite severamente (non solo in Italia) dal credit crunch.

Tutto quanto esposto, occorre osservare che il Decreto Crescita presenta degli interventi di indubbio interesse. In particolare, al di là della estrema frammentarietà della concezione di “PMI” che il legislatore italiano ha fatto propria, risulta lampante l’intenzione di adeguare l’ordinamento giuridico italiano alle esigenze di un sistema economico in cui l’informatizzazione dell’economia è ormai fenomeno irreversibile e in cui una fetta sostanziosa delle transazioni commerciali avviene ormai in rete, nella forma del commercio elettronico.

Il riferimento espresso al crowdfunding  e l’intenzione di sostenere finanziariamente le start-up risultano in una chiara manifestazione di questa volontà. Tuttavia, è lecito domandarsi se tali interventi possano considerarsi sufficienti alla luce non solo delle esigenze sottese alle misure stesse, ma anche in relazione ai bisogni di breve periodo dell’economia nazionale complessivamente considerata.

In particolare, è legittimo chiedersi se l’insistente apertura a canali alternativi di finanziamento tipici dell’era dell’informatizzazione sia idonea a rilanciare in maniera significativa l’economia italiana, considerato che circa l’85 percento del totale delle imprese italiane, il 60 percento del mercato azionario nazionale nonché la quasi totalità delle PMI sono rappresentati dalle imprese familiari[3].

Ciò che occorrerà osservare è, infatti, l’idoneità di tali imprese – in genere di dimensioni ridotte ed oltremodo tendenti alla cristallizzazione dei gruppi di controllo – a conformarsi ai standard operativi del mercato globale. In prospettiva di crescita di breve periodo, dunque, la fiducia nei meccanismi di finanziamento elaborati nell’ultimo quinquennio con la rivoluzione del web potrebbe essere dunque mal riposta, specie se si considera che dei 244.730.127 euro raccolti in Italia fino ad oggi a partire del 2015 – di cui 111.556.334 nel solo 2018 – solo la metà è stata effettivamente raccolta a titolo di finanziamento[4].

Rimane tuttavia incontestabile che il trend nel ricorso a nuovi canali di finanziamento grazie all’utilizzo di massa delle nuove tecnologie è in crescita e l’incentivazione da parte del legislatore all’utilizzo di tali tecniche rappresenta un’importante tentativo di sostenere le start-up, soprattutto quelle innovative ai sensi del D.L. 179/2012 convertito con la Legge n. 221/2012 le quali, come ci insegnano le esperienze d’oltreoceano, fungono da importante booster per l’innovazione tecnologica e, dunque, dell’industria nel suo insieme.

Colpisce, infine, la relativamente scarsa attenzione  prestata dal Decreto Crescita al tema del sostegno alle  esportazioni, così come anche l’eliminazione della norma relativa ai piani individuali di risparmio (PIR); fattori questi che confermano la centralità degli istituti di credito e degli intermediari finanziari nell’impalcatura sistematica del D.L. 34/2019.

[1] CERVED, Rapporto CERVED Pmi 2017, 2018. Il riferimento è alle sole microimprese, piccole e medie imprese così come classificate ai sensi della Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Europea.

[2] I finanziamenti sono concessi a un tasso d’interesse fisso del 5% annuo per le micro e piccole imprese e del 3,575% annuo per le medie.

[3] Dati AIDAF

[4] Starteed, Il Crowdfunding in Italia– Report 2018, 2019

Fonte immagine: https://www.lavoroediritti.com/leggi-e-prassi/decreto-crescita-testo-definitivo

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