venerdì, Aprile 19, 2024
Labourdì

Il “decreto dignità” e la sua effettiva portata innovativa

 

Il cd. “decreto dignità”(approvato il 2 luglio ed oggetto di discussione parlamentare ai fini della conversione in legge il 24 luglio prossimo) costituisce il primo intervento normativo in materia lavoristica del governo appena formatosi.
Tale decreto legge contiene disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.
L’obiettivo perseguito dal Consiglio dei Ministri, all’indomani dell’emanazione del decreto, è stato quello di incidere su diversi fronti al fine di assicurare una tutela più ampia ai lavoratori, in particolar modo favorendo un graduale processo di stabilizzazione occupazionale.
Su di un primo versante, con manovra ab contrario, si è tentato di aumentare i livelli occupazionali disincentivando l’utilizzo di forme contrattuali a tempo determinato, al pubblicizzato scopo di indurre ad una massiccia migrazione verso il modello del contratto a tempo indeterminato; sull’altro versante si è cercato di assicurare sostegno e strumenti di sviluppo per le imprese che scelgono di mantenere le loro attività economiche nel territorio italiano, prevedendo altresì interventi sanzionatori per chi sceglie di abbandonare il nostro territorio dopo aver usufruito di incentivi economici (abbiamo a tal proposito recentemente parlato della spinosa vicenda connessa al caso    Embraco: https://www.iusinitinere.it/delocalizzazione-dumping-sociale-embraco-11157 ).

Infine si è inciso anche nella disciplina fiscale prevedendo modifiche agli strumenti del “redditometro” e dello “spesometro”: il primo appare attualmente sospeso, essendo stato dichiarato inefficace per i controlli ancora da effettuare sull’anno di imposta 2016 e successivi; in riferimento allo spesometro si è provveduto ad ampliare i termini consentendo di trasmettere i dati relativi al terzo trimestre del 2018 entro il 28.02.2019.

Uno degli aspetti più peculiari e allo stesso tempo criticabili del decreto legge in esame è il modo in cui si è intervenuti in materia di contratti a termine.
Il governo sembra infatti non aver ascoltato i notevoli moniti europei tesi a contestare l’esistenza di un legame tra contrattazione a tempo determinato e la somministrazione di lavoro; la lettura del decreto legge configura infatti il legame esistente tra i due istituti come ancor più solido.

Nell’impianto concettuale delineato dal decreto legge, il contratto di lavoro a tempo determinato è previsto ora come forma contrattuale di carattere “residuale”, utilizzabile unicamente allorquando ragioni organizzative interne all’azienda lo rendano necessario. In particolare il legislatore ha reintrodotto, per i contratti a termine stipulati per una durata superiore ai 12 mesi o in caso di rinnovo del contratto oltre i 12 mesi, le causali giustificative, configurabili quali “motivazioni” atte a legittimare il ricorso alla strumento del contratto a termine. Tali motivazioni, circoscritte o all’eventualità che si verifichi un incremento del volume di attività improvviso che rende obbligatorio per il datore di lavoro ricorrere a nuova forza lavoro o ad esigenze temporanee ed oggettive, riducono notevolmente le possibilità fornite al datore di lavoro di ricorrere a tale forma di contratto lavorativo. Secondo il legislatore, proprio al fine di perseguire la stabilizzazione dei rapporti di lavoro ed evitare il ricorrente utilizzo ad oltranza della contrattazione a termine in luogo di quella a tempo indeterminato, si è inoltre provveduto a ridurre da 36 a 24 mesi (comprensivi di proroghe e rinnovi) la durata massima del rapporto a termine e si è anche configurato un limite alle proroghe identificandolo in un massimo di 4.

Nell’ottica di fornire una maggior tutela ai lavoratori anche dal punto di vista processuale, le modifiche alla disciplina de qua hanno riguardato anche il profilo procedurale, prevedendo un aumento del termine finalizzato all’impugnazione da 120 a 180 giorni.

Il versante della somministrazione è forse l’ambito nel quale il decreto dignità ha realizzato le modifiche più rilevanti, incidendo sull’articolo 34 co. 2 del d. lgs. 81 del 2015. Quest’ultimo, pur richiamando la disciplina del contratto a termine per i contratti di somministrazione a tempo determinato (“in quanto compatibile”),controbilanciava la perequazione apponendo un nutrito novero di esclusioni.
L’intervento in analisi ha apportato delle modifiche al testo dell’articolo 34 che rendono, di fatto, applicabile ai rapporti di somministrazione l’articolo 21 e i primi commi dell’articolo 19.

Con riferimento a tale ultima disposizione il Consiglio dei Ministri ha inciso in primis riducendo il termine di durata contrattuale da 36 a 12 mesi. Ha, inoltre, individuato nelle  esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinaria attività, per esigenze sostitutive di altri lavoratori e in quelle connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria, le uniche ipotesi idonee a prolungare il sù citato termine a 24 mesi.

In ultimo ha previsto un tetto massimo di durata per le ipotesi di successione di contratti a termine, fissato in 24 mesi,  statuendo espressamente che il suo superamento comporta automaticamente la trasformazione del contratto in un contratto a tempo indeterminato.

L’intervento de qua ha inciso come accennato anche in materia di  “Proroghe e rinnovi” . Oltre ad un espresso richiamo al disposto dell’articolo 19, si è intervenuti soprattutto restringendo quelli che sono i termini di durata e proroga del contratto di lavoro a tempo determinato.
Con particolare riferimento alla disciplina della somministrazione, il legislatore d’urgenza ha ridotto le esclusioni applicabili richiamando esclusivamente gli articoli 23, concernente il numero complessivo di contratti a tempo determinato, e l’articolo 24 che disciplina il diritto di precedenza.
Rispetto alla disciplina in analisi risulta altresì applicabile il sistema del cd. “stop and go” previsto per i contratti a termine. Tale sistema ha come finalità quella di porre dei limiti temporali ben definiti tra un contratto a termine e il successivo, generalmente consistenti in intervalli di almeno 10/20 giorni, tenuto conto della durata del contratto (6 mesi o superiore).

Sempre al dichiarato scopo di disincentivare l’utilizzo di forme contrattuali a termine, il legislatore ha aumentato dello 0,5 % (rispetto all’attuale 1,4% della retribuzione imponibile a fini previdenziali, come originariamente previsto dalla Legge Fornero) il contributo addizionale a carico del datore di lavoro in caso di rinnovo del contratto a tempo determinato.

Nonostante il decreto legge sia stato appena approvato e pubblicato, non mancano notevoli critiche provenienti tanto dalla base sindacale quanto dal mondo legato all’imprenditoria, che auspicavano all’unisono un intervento strutturale e concertato.
Ciò che in particolare si è evidenziato è che il legislatore sembra aver disatteso l’intento riformatore di cui si era fatto portavoce, emanando di fatto un provvedimento dal carattere emergenziale.
La ratio di tale intervento era quella di favorire forme contrattualistiche idonee a assicurare la stabilità e il rafforzamento dei livelli occupazionali, finalità che al contrario sembra essere disattesa.
I contratti di somministrazione, ad esempio, sono stati certamente colpiti da tale decreto ma rimangono uno strumento utile e ricorribile per le imprese che necessitano di nuova forza lavoro.
È per tale ragione che in molti auspicano un intervento in sede di conversione che possa concretamente limitare il ricorso a tali forme contrattuali e prevedere altresì nuovi e più concreti interventi di rilancio del mercato del lavoro italiano.
Accanto agli interventi limitativi già previsti e su accennati, è necessario provvedere a delineare una natura giuridica autonoma del contratto di somministrazione (come auspicato dalla comunità europea) nonché procedere a riconoscere maggiore autonomia alle agenzie che si occupano di assicurare continuità occupazionale, contribuendo a riformare ex novo la strutture di politica attiva del lavoro dislocate sul territorio nazionale, in particolare valorizzando e rendendo più incisiva l’attività dei centri per l’impiego, in teoria vero trait d’union tra domanda ed offerta di lavoro.

Il testo integrale del decreto legge è disponibile qui.

Fonti:

1- Decreto Legge Dignità – approvato il 2 luglio 2018;

2- D.lgs. n.81 del 15 giugno 2015 – “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni”

3- Statuto Lavoratori – legge n. 300 del 1970.

Serena Zizzari

Serena Zizzari é nata a Caserta il 12/03/1993. Ha perseguito i suoi studi universitari presso la Facoltà Federico II di Napoli dove, in data 12/07/2016, ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza con votazione 110 e lode. Ha vissuto un' esperienza di studio all'estero attraverso il progetto Erasmus nella città di Siviglia. Praticante avvocato, attualmente frequenta un corso privato di preparazione al concorso in Magistratura e il primo anno della Scuola di specializzazione delle Professioni legali.

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