giovedì, Marzo 28, 2024
Criminal & Compliance

Il delinquente per senso di colpa

Introduzione.

Il concetto di delinquente per senso di colpa non può prescindere dal considerare l’importanza dell’apporto psicoanalitico all’ambito criminologico. Si cercherà quindi di chiarire come il senso di colpa possa aver spinto “persone spesso in seguito divenute rispettabilissime”,[1] – come le aveva definite Freud – a commettere, nel loro passato, azioni illecite e si evincerà come la psicoanalisi sia stata in grado di asservire alla soluzione di problemi di natura criminologica.

La tematica inerente al delinquente per senso di colpa può essere analizzata muovendo da due punti di vista tra loro differenti, ma complementari ed euristici:

  • Il cercare di fornire una risposta su cosa sia per noi stessi il senso di colpa, il che comprende il significato e la rappresentazione che di esso si ha nell’immaginario comune, trattasi, cioè, di una visione sia a livello individuale che collettiva.
  • Il cercare di fornire una risposta su cosa sia il senso di colpa per le scienze sociali, avvalendosi dell’apporto di psicologia, criminologia e sociologia.

Senso di colpa. Apporto della psicoanalisi alla criminologia.

Il primo a teorizzare la rilevanza della criminologia a livello psicodinamico fu proprio Sigmund Freud nel 1916, il quale si concentrò sullo studio dei “criminali per senso di colpa” ed elaborò un saggio dal titolo “Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico”, contenente lo scritto “I delinquenti per senso di colpa”.

È importante definire preliminarmente come il complesso edipico affrontato in psicoanalisi, possa aiutare a capire in che misura certe implicazioni psichiche di un soggetto possano avere ripercussioni sulla sua vita al punto tale da spingerlo a commettere un reato, senza peraltro dimenticare che, secondo Freud, in ogni individuo agisce la pulsione vita (Eros), che comprende la libido e la volontà di autoconservazione e la pulsione morte (Tanatos), che si traduce in angoscia e senso di colpa.

Nel bambino si sviluppano e convivono il desiderio sessuale nei confronti del genitore del sesso opposto e un sentimento ostile verso il genitore del medesimo sesso, di cui vorrebbe invece sbarazzarsi (simbolicamente: uccidere). Questi due sentimenti contrastanti sono per lui fonte di angoscia: da un lato l’angoscia di perdere il genitore, o anche solo di fargli del male, in quanto, sebbene rivale, è comunque oggetto d’amore e, dall’altro, l’angoscia di essere punito per i suoi pensieri incestuosi.

Durante la fase edipica si ha l’acquisizione e l’identificazione con le figure genitoriali e con le regole da essi imposte: madre e padre costituiscono il primo nucleo attorno al quale si formerà il Sé e quindi inizierà a delinearsi il Super- Io e, conseguentemente, un controllo degli impulsi e dei desideri. Di fronte ad un Super-Io eccessivamente rigido, l’adulto tenderà ad avvertire senso di colpa per ogni sua, seppur minima, trasgressione, comportando frequente senso di angoscia e sofferenza in un soggetto il cui Io è sottomesso costantemente alle regole imposte dal Super-Io.

La psicoanalisi ha operato un ribaltamento in tema di senso di colpa inteso come percezione e rappresentazione di esso in rapporto all’autore e alla sua responsabilità al riguardo. Pensiamo solitamente che il senso di colpa subentri successivamente rispetto al fatto commesso, ma Freud dimostra come invece esso talvolta preceda l’azione e sia connesso al tema della proibizione.

Nel parlare della loro gioventù, in particolare degli anni precedenti la pubertà, persone spesso in seguito divenute rispettabilissime hanno riferito in analisi azioni illecite commesse in quel periodo della loro vita. Il lavoro psicoanalitico ha dato il sorprendente risultato che tali azioni venivano compiute soprattutto perché proibite e perché la loro esecuzione portava un sollievo psichico a chi le commetteva. Il paziente soffriva di un opprimente senso di colpa di origine sconosciuta, e solo dopo che aveva commesso un misfatto, tale peso risultava mitigato. Perlomeno, il senso di colpa veniva attribuito a qualcosa. Sarebbe giusto chiamare queste persone delinquenti per senso di colpa. La preesistenza del sentimento di colpa si era dimostrata attraverso una serie di altre manifestazioni ed effetti. Il risultato costante del lavoro psicoanalitico indicava che questo oscuro senso di colpa proveniva dal complesso edipico ed era una reazione ai due grandi propositi criminosi di uccidere il padre e avere rapporti sessuali con la madre.”[2]

Secondo le teorie psicoanalitiche, quindi, un soggetto potrebbe attuare una condotta criminosa per un desiderio inconscio di essere scoperto e dunque punito, avvertendo la necessità di espiazione di una colpa scaturente dal conflitto edipico irrisolto. Tale conflitto si paleserebbe tramite immagini e pensieri costanti, ossessivi e blasfemi, che porterebbero all’agito criminoso quale modalità più immediata per espiare una colpa e ottenere una punizione ed una condanna anche da parte della società.

Mentre nel criminale autore di reato di natura nevrotica il senso di colpa emergerebbe in via successiva rispetto al fatto criminoso, nel criminale per senso di colpa, tale sentimento precederebbe e sarebbe addirittura causa scatenante del reato stesso.

Al riguardo è importante ancora sottolineare il pensiero di altri autori, primo fra tutti Adolf Adler (1870 – 1937), allievo di Freud, secondo il quale i concetti legati a sentimenti quali “senso di inferiorità”, “autoaffermazione”, “sforzo di valere” e “sforzo verso il potere”, sorgono nei primi anni di vita, fase in cui educazione e fattori ambientali hanno inevitabili ripercussioni sull’età adulta. Secondo l’autore, infatti, è dal naturale senso di inferiorità proprio del bambino, che si originano in lui sforzi diretti alla sua autoaffermazione, cosicché egli cercherà di trovare delle compensazioni al senso di inferiorità e alle incomprensioni-ostacoli che intralciano il suo sforzo di valere, talvolta sfociando però in compensazioni (o supercompensazioni) di matrice patologica. L’acutizzarsi di un senso di inferiorità nel bambino è fonte di ansia di incapacità di far fronte alla sua vita adulta, cosicché potrebbe non accontentarsi più di semplice compensazione, ma voglia invece sforzarsi per arrivare più in alto (ipercompensazione), finché la volontà di superiorità e di potere diventano ad un certo punto morbosi e patologici. “A questi bambini le ordinarie circostanze della vita non bastano. In corrispondenza al loro scopo fissato in alto, prendono la rincorsa per movimenti grandiosi e teatrali. Con furia singolare, con impulsi che superano di molto in vigore la misura ordinaria, senza riguardo al loro ambiente, cercano di assicurarsi una posizione personale. In tal modo danno nell’occhio, diventano invadenti e disturbatori della vita altrui e si sentono quindi naturalmente obbligati ad atteggiamenti di difesa”.[3]

Il sociologo tedesco Karl Manheim (1893 – 1947) utilizza i contributi del metodo psicoanalista, per la soluzione di problemi in ambito criminologico, sostenendo che il senso di inferiorità può portare a commettere un delitto come conseguenza della voglia di attirare l’attenzione su di sé in chiave compensativa rispetto al complesso di inferiorità avvertito. Solamente così il soggetto avrebbe l’occasione di conquistare l’attenzione pubblica, desiderio alquanto ambito in tali individui che non trovano altre modalità per alimentare una debolissima stima in se stessi.

Lo psicoanalista austriaco Theodor Reik (1888 – 1969) condivide con Freud la teoria del delinquente per senso di colpa, incentrando il discorso sull’impulso a confessare, che porterebbero il soggetto a tralasciare e a trascurare alcuni particolari della scena criminis, proprio al fine di far trapelare indizi utili al suo smascheramento. Il periodo temporale tra la commissione del fatto e la confessione è occupato da una dicotomia conflittuale durante la quale il criminale sarà diviso tra il tentare di nascondere ciò che ha fatto alla propria coscienza e la volontà di ammettere la verità. Sotteso alla confessione si porrebbe dunque un desiderio inconscio di punizione per compensare un sentimento di colpa che, laddove insostenibile, farebbe emergere a livello conscio proprio quegli impulsi che hanno portato il soggetto a delinquere: l’io, rendendosi conto del concreto significato dell’atto commesso, vorrà espiare le colpe tramite le espressioni verbali, la confessione appunto.  L’atto della confessione equivarrebbe perciò all’intenzione del criminale di reintegrarsi in società, dalla quale egli stesso, a causa del suo gesto, si era espulso.

La confessione però, sempre secondo Reik (1945), avrebbe una valenza ulteriore ed in parte differente in certi serial killer: dopo la cattura, infatti, alcuni di essi confessano i crimini immediatamente e senza esitare e questo farebbe emergere una tendenza masochista dell’individuo, in quanto il suo Super-Io, così facendo, vorrebbe auto danneggiarsi per poter espiare le colpe della persona. Non solo. Confessione significa anche rivivere in qualche modo i crimini commessi, proprio attraverso il racconto e questo costituirebbe per il soggetto un momento di piacere, durante il quale egli riesce a rivivere l’eccitazione provata durante la commissione dell’omicidio.

Criminogenesi e criminodinamica del delinquente per senso di colpa.

Per comprendere criminogenesi e criminodinamica alla base della “nascita” del delinquente per senso di colpa, è utile, come emerso in precedenza, considerare i rapporti familiari e ambientali circostanti che conducono al processo di formazione del Sé. Processo che potrebbe risultare compromesso da un rapporto disfunzionale con le figure di accudimento: lontananza o assenza, iperprotezione o indifferenza, eccessiva autorità o debolezza, carenza di affetto e indifferenza da parte di genitori o caregiver, possono rappresentare terreno fertile per la formazione di una condotta criminosa. Una carenza affettiva derivante da estraniazione o indifferenza può generare frustrazione nel bambino che sfocia, in età adulta, in reazioni iper compensative legate ad atti criminosi, giustificate, nella mente dell’individuo, come forma di indennizzo per le privazioni affettive subìte durante l’infanzia. Nel 1944 lo psicoanalista Bowlby conduce uno studio su 44 ladri adolescenti e li paragona ad altri 44 ragazzi simili per caratteristiche, ma che non avevano commesso reati. Si evince, nel primo gruppo di minori, una maggiore incidenza di esperienze di separazione dalla madre protratta nel tempo, durante i loro primi due anni di vita. Alcuni di questi adolescenti sono stati classificati dallo studioso come “anaffettivi”, carenti cioè di manifestazioni di affetto e di insegnamento del senso di responsabilità. Si evince quindi un elevato grado di associazione tra: carenze affettive – separazione madre/bambino – delinquenza, parametri che possono portare a delinquere, in termini di compensazione.

È opportuno però evidenziare alcuni limiti allo studio condotto da Bowlby. Innanzitutto, non viene preso in considerazione il rapporto tra il minore che ha commesso l’atto criminoso e la figura paterna, che in psicoanalisi è il fulcro della costruzione del Super-io. Inoltre, non è dimostrato un nesso causale diretto tra il comportamento deviante tenuto in età adolescenziale (come può essere un furto) e l’agito di un serial killer (o di altro autore di reato violento): sotteso a quest’ultimo vi è infatti spesso un disturbo psichico differente rispetto a quello di un minore che commette un furto. D’altro canto, se è pur vero che un furto in età adolescenziale può costituire l’origine di una carriera criminale, non è sicuramente un collegamento diretto e scontato.

Le teorie di Bowlby hanno comunque permesso di attenzionare, in un’ottica diversa, lo studio dello sviluppo dell’individuo sin dai primi giorni di vita. Alcune teorizzazioni sono divenute pilastri in ambito di psicologia evolutiva, seppur talvolta con i dovuti ridimensionamenti. [4]

La chiave di lettura fornita per delineare il delinquente per senso di colpa pone delle fissazioni alla base del principio del piacere quali cause originarie di comportamenti criminosi: la delinquenza sarebbe dunque frutto di volontà di soddisfacimento diretto delle pulsioni, in carenza di capacità di elaborare l’adeguatezza della condotta alla realtà. Così i fattori familiari e ambientali circostanti, quelli economici o quelli legati alla marginalità possono incidere sulla tenuta di una condotta adeguata e sulla capacità del processo di maturazione e comprensione dei propri errori (il che favorirebbe la recidiva).

Conclusioni.

Attenersi completamente a questa lettura rischia però di condurre ad una deresponsabilizzazione del delinquente, il quale avrebbe agito perché costretto da forze ingovernabili, come sensi di colpa inconsci o fissazioni alla base del principio del piacere, ignorando di fatto le componenti morali (o immorali) e volontarie dell’atto, come puntualizzo anche Cesare Musatti nel 1931: “più si ha conoscenza del profondo e meno si è in grado di valutare la responsabilità e giudicare la colpevolezza”. [5]

Quindi la tematica inerente al delinquere per un sotteso senso di colpa non può incidere di per sé sulla valutazione della riprovevolezza psicologica del fatto e quindi della colpevolezza e imputabilità dell’autore di reato.

La lettura psicoanalitica, che ha posto le basi per un’analisi del comportamento criminale, non può oggi ergersi quale unica modalità di analisi del delinquente per senso di colpa. È opportuno, infatti, adottare una prospettiva interdisciplinare: criminologia e sociologia sono in grado di offrire strumenti di indagine adeguati, completi e complementari per l’interpretazione.

fonte immagine www.pixabay.com

 

[1] Freud, S., Opere di Sigmund Freud Vol 8, Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti 1915-1917, Torino, Bollati Boringhieri, 2002

[2] Freud, S, Opere di Sigmund Freud Vol 8, Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti 1915-1917, p. 651-652, Torino, Bollati Boringhieri, 2002.

[3] Freud, Adler, Jung, Psicoanalisi e filosofia, a cura di A. Crescini, La Scuola, Brescia, 1983, pagg. 118-132

[4] Diritto minorile e psicologia dello sviluppo: uno studio interdisciplinare. Disponibile qui https://www.iusinitinere.it/diritto-minorile-e-psicologia-dello-sviluppo-uno-studio-interdisciplinare-27158

[5] Musatti, C. Elementi di psicologia della testimonianza, Padova, Cedam, 1931

Elisa Teggi

Laureata all'Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza nel 2006 con tesi intitolata "Il licenziamento del dirigente", ha in seguito indirizzato la propria carriera lavorativa in diversi ambiti che le hanno fornito esperienza, soprattutto grazie al contatto costante con persone e ragazzi, mantenendo un forte interesse per l'ambito criminologico. Questo l'ha portata a voler conseguire ulteriore laurea in Criminologia con tesi dal titolo "Staging ed occultamento di cadaveri", nel 2021, per poter indirizzare completamente il proprio lavoro in questa direzione. Attualmente lavora nel territorio piacentino in ambito criminologico - sociale, di prevenzione delle condotte devianti, in contatto con il servizio sociale, occupandosi specificatamente dei minori. Esperta di Scienze Forensi, si mantiene in costante aggiornamento e continua formazione su aspetti forensi e criminologici, prestando attenzione, in chiave critica, ai processi mediatici, cercando di interpretare le motivazioni sottese al fenomeno. La frase che funge da sfondo ad ogni suo lavoro è: "Non si tratta di fascinazione del male, si tratta di dare centralità alla persona, alla vittima e alle cause devianti, studiando il criminale prima del crimine, il folle prima che la follia, con l'obiettivo di rieducare e reintrodurre in società. Dalla parte della giustizia sempre e per sempre".

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