venerdì, Aprile 19, 2024
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Moda e sostenibilità: la strategia green del Gruppo Prada

Al giorno d’oggi, l’industria della moda costituisce il secondo settore più inquinante al mondo a causa di fattori come lo sfruttamento e l’inquinamento delle risorse idriche[1], l’utilizzo di sostanze tossiche ed eccessivi sprechi e consumi; basti pensare che attualmente, in un anno, vengono prodotti cento miliardi di capi d’abbigliamento utilizzati in media sette volte e poi buttati generando problemi di smaltimento.

Ma vi è di più, il settore moda non ha solo un elevato impatto ambientale, ma anche economico e sociale, infatti a seguito della delocalizzazione della produzione si verificano spesso fenomeni come abusi sul lavoro, retribuzioni eccessivamente basse, straordinari forzati e assenza di sicurezza sul posto del lavoro, il più grave incidente si è verificato il 24 Aprile 2013 con il crollo dell’edificio Rana Plaza in Bangladesh che ha provocato la morte di 1134 lavoratori. Tra le cause che hanno generato un quadro così allarmante vi è certamente la crescita e la diffusione del fenomeno della fast fashion[2] che si basa su una moda “usa e getta”: un sistema di produzione che, in risposta alle tendenze del momento, genera grandi quantità di capi d’abbigliamento in modo rapido ed economicamente efficiente sfruttando la manodopera a basso costo in paesi in via di sviluppo.

  1. Panorama normativo

La consapevolezza di questa situazione ha fatto sì che sorgessero taluni dibattiti circa i temi di sustainability e social responsibility da parte del settore moda e ci si è interrogati sul modo con cui indirizzare le aziende verso una maggiore attenzione alla salvaguardia dell’ambiente. In tal senso le iniziative legislative[3] giocano un ruolo fondamentale, in quanto il mancato adeguamento normativo potrebbe esporre le imprese ad elevati costi e rischi economici, mentre sono riconosciuti incentivi e facilitazioni alle imprese c.d. first movers che adottano politiche di tutela ambientale.

Il contesto normativo Europeo rilevante in tale ambito comprende il Regolamento REACH (Registration, Evaluation, Autorisation and Restriction of Chemicals) che disciplina la registrazione, la valutazione e l’autorizzazione delle sostanze chimiche con l’obiettivo di garantire una maggiore protezione della salute umana e dell’ambiente, la Direttiva sulle emissioni industriali che ha lo scopo di controllare e prevenire l’inquinamento derivante dagli impianti industriali, il Regolamento sui biocidi che regola l’immissione sul mercato e l’uso di tali sostanze e infine la Direttiva Quadro sui rifiuti che concerne il trattamento dei rifiuti nell’Unione Europea.

  1. Verso un futuro della moda più sostenibile

Oltre alla legislazione, le scelte dei consumatori hanno un ruolo fondamentale nell’influenzare i comportamenti delle imprese, infatti negli ultimi anni sta crescendo tra i consumatori una “coscienza sostenibile” e recenti studi statistici hanno dimostrato che i più giovani si mostrano maggiormente sensibili e attenti al tema della sostenibilità ricercando capi che siano frutto di processi produttivi con un basso impatto ambientale e sociale, per questo negli ultimi anni l’industria della moda si sta adeguando e indirizzando verso una produzione più etica e sostenibile, prestando maggiore attenzione ai criteri della green e circular economy.

Una tappa importante verso un futuro della moda sostenibile è sicuramente il Fashion Pact presentato il 26 Agosto 2019 da François-Henri Pinault, Presidente e CEO di Kering[4] in occasione del vertice del G7 di Biarritz. Si tratta di un documento senza precedenti firmato da 32 aziende globali della moda e del lusso che si impegnano a salvaguardare il pianeta con l’obiettivo di arrestare il riscaldamento globale, ripristinare la biodiversità e proteggere gli oceani[5]. Tra i primi firmatari di questo importante documento compare il Gruppo Prada, uno dei maggiori leader mondiali nel settore dei beni di lusso, che da anni manifesta il suo impegno verso una moda sostenibile e responsabile.

  1. L’impegno green del gruppo Prada

Dopo aver annunciato nel 2019 l’adozione di una politica Fur-Free, eliminando completamente la pelliccia animale a partire dalla collezione donna Primavera/Estate 2020, Prada è stato il primo fashion brand ad aver firmato un patto per ridurre l’impatto ambientale del suo operato, lo stesso anno ha infatti sottoscritto con la banca francese Credit Agricole un finanziamento quinquennale di 50 milioni di euro con un tasso di interesse che può essere ridotto al raggiungimento di obiettivi ambientali concordati. “Questa operazione testimonia quanto la sostenibilità sia un elemento chiave per lo sviluppo del Gruppo Prada, sempre più integrata nella nostra strategia”, ha affermato Alessandra Cozzani, Chief Financial Officer di Prada. Gli obiettivi che Prada si impegna a raggiungere sono relativi al numero di punti vendita con Certificazioni LEED Gold o Platinum, il numero di ore di formazione per i dipendenti e l’impiego nella propria produzione di una adeguata quantità di Nylon rigenerato. Da quest’ultimo impegno nasce la nuova collezione Prada Re-Nylon: la capsule collection di borse lanciata nel 2019, è stata attualmente ampliata in una collezione completa con abbigliamento, calzature e nuovi accessori realizzati interamente in nylon rigenerato che, secondo quanto dichiarato da Lorenzo Bertelli, Head of Marketing & Head of CSR Prada S.p.a., sostituirà completamente il nylon vergine Prada entro la fine del 2021. Grazie a questo progetto il nylon, iconico segno distintivo del brand, si converte in un materiale sostenibile e rivoluzionario, l’ECONYL: un filato di nylon che deriva dal riciclo di rifiuti di plastica ritrovati negli oceani o destinati alle discariche con la caratteristica innovativa di poter essere riciclato all’infinito senza perdere qualità. Il progetto è stato realizzato grazie alla collaborazione con Aquafil, azienda italiana specializzata nella produzione di fibre sintetiche, ed è stato raccontato da National Geographic con una serie di cortometraggi dal titolo “What We Carry”[6]. Da anni il Gruppo Prada si impegna a promuovere la “cultura” come strumento per comprendere i tempi attuali e anche per capire il significato di sostenibilità attraverso progetti come le conferenze organizzate dal 2017 dal titolo “Shaping a Future”[7] che hanno l’intento di stimolare dibattiti sui mutamenti della società contemporanea, ma anche le attività della Fondazione Prada che si basano sulla rilevanza dell’impegno culturale al giorno d’oggi e infine la campagna di sensibilizzazione “Sea Beyond”[8] organizzata con l’UNESCO e rivolta alle scuole con l’intento di diffondere tra le nuove generazioni i valori di sostenibilità ed economia circolare. Dunque, grazie alla sua strategia green, Prada offre ai consumatori una nuova visione del lusso e lancia un segnale affinché altri brand adottino modelli di business più sostenibili e responsabili.

 

[1] Ad esempio, produrre un paio di jeans richiede tra i 7.000 e i 10.000 litri di acqua.

[2] Per approfondire: Thomas D., Fashionopolis: The Price of Fast Fashion and the Future of Clothes, Head of Zeus, 2019.

[3] Jacometti V., Pozzo B., Fashion Law: le problematiche giuridiche della filiera moda, Giuffrè, 2016, pp 341 ss.

[4] Secondo gruppo del lusso al mondo dopo LVMH.

[5] Attualmente dopo un anno dal suo lancio i firmatari del Fashion Pact sono più di 60.

[6] Si legga il seguente link: https://www.pradagroup.com/it/perspectives/stories/sezione-progetti-speciali/prada-re-nylon-collection.html

[7] Si legga il seguente link: https://www.pradagroup.com/it/sustainability/cultural-csr/shaping-future.html

[8] Si legga il seguente link: https://www.pradagroup.com/it/sustainability/cultural-csr/prada-re-nylon-sea-beyond-unesco.html

Per ulteriori approfondimenti si legga: CAROFIGLIO, Fashion Law e il Patto di Utthan, Ius in itinere, link https://www.iusinitinere.it/fashion-law-e-il-patto-di-utthan-26611/amp

COMMENDATORE, Il caso della pelliccia di coyote: tra fur legal policy e pratiche commerciali scorrette, Ius in itinere, disponibile al link https://www.iusinitinere.it/il-caso-della-pelliccia-di-coyote-tra-fur-legal-policy-e-pratiche-commerciali-scorrette-29716 

GUARDABASCIO, No war factory: dal diritto ambientale alla moda sostenibile, Ius in itinere, disponibile al link https://www.iusinitinere.it/no-war-factory-dal-diritto-ambientale-alla-moda-sostenibile-28481

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