giovedì, Marzo 28, 2024
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Il diritto al rimborso delle accise sulla fornitura di energia elettrica: l’intervento della CGUE

È recentemente riemerso – a causa dell’ormai prossima prescrizione di eventuali azioni di ripetizione – il tema delle imposte addizionali alle accise provinciali imposte dal D.L. n. 511/88, convertito con modificazioni nella L. n. 20/89, e della loro incompatibilità con la normativa europea.

Tale tema presenta numerosi aspetti di interesse: il primo è il principio di diritto, recentemente riaffermato anche dalla nostra Corte di Cassazione, relativo alla preminenza dell’interpretazione del diritto effettuato in sede comunitaria rispetto all’interpretazione delle nostri corti nazionali; il secondo, più pragmatico, attiene invece ai possibili margini di recupero da parte di soggetti – persone fisiche e giuridiche – di ingenti somme indebitamente corrisposte ai fornitori di energia elettrica.

L’imposizione delle accise a livello nazionale

Nel 1988 il Governo italiano guidato, all’epoca, dal democristiano De Mita, emanò il D.L. n. 511/1988[1] (poi convertito, con modificazioni, l’anno successivo, nella L. n. 20/1989[2]), che, alla luce della “straordinaria necessità ed urgenza di assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale”, nonché “al fine di garantire l’assolvimento dei compiti istituzionali” – formulazione, come vedremo, quantomeno generica – impose una serie di addizionali sulle accise locali all’energia elettrica nella misura di cui all’art. 6, c. 2, del predetto decreto[3]. Queste maggiorazioni vennero poi confermate dalla successiva emanazione, nel 1995, del Testo Unico sulle Accise (TUA, entrato in vigore il 26 ottobre 1995) e, in particolare, dagli artt. 52 e ss., che ne hanno disciplinato, inter alia, l’ambito di applicazione, i soggetti obbligati e le modalità di riscossione. Ai sensi dell’art. 2, c. 1 (modificato dal D.lgs. n. 48/2010), “l’obbligazione tributaria (di corrispondere le accise e le eventuali addizionali) sorge al momento della … fabbricazione”, ossia della produzione dell’energia elettrica, “… ovvero della … importazione”. Sono tenuti al pagamento dell’imposta “il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l’immissione in consumo e, in solido, i soggetti che si siano resi garanti del pagamento ovvero il soggetto nei cui confronti si verificano i presupposti per l’esigibilità dell’imposta).

Una scelta lessicale piuttosto generica, che viene poi specificata dai successivi articoli del TUA e, in particolare, dall’art. 53, c. 1, che, alla lett. a), dispone che tali accise (con relative addizionali) debbano essere corrisposte da “i soggetti che procedono alla fatturazione dell’energia elettrica ai consumatori finali”, i quali hanno poi “diritto di rivalsa sui consumatori finali” (art. 56). In altre parole, i fornitori di energia elettrica versano l’imposta direttamente nelle casse dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (competente, da statuto, all’incasso delle accise), salvo poi rivalersi sui consumatori finali, ossia i clienti.

Per quasi trent’anni, quindi, le autorità nostrane hanno incamerato accise sull’energia elettrica parametrate, come risulta dal citato D.L. n. 511/1988, sulla base dei consumi effettuati[4], colpendo, in particolare, grandi aziende ed imprese commerciali, le quali hanno necessariamente consumato (e consumano) più energia per la loro attività e che, quindi, pagano storicamente addizionali sulle accise più elevate.

L’intervento del legislatore comunitario

Fino al 2008, la normativa comunitaria in materia di accise è stata regolata dalla Direttiva 92/12/CE[5], la cui applicazione era però limitata, in ambito energetico, agli “oli minerali” (art. 3). Tal situazione fu però modificata dapprima nel 2003, con l’entrata in vigore della Direttiva 2003/96/CE[6], ai sensi della quale è stata sottoposta ad accise anche l’energia elettrica, e poi, quasi quindici anni dopo, con l’emanazione della Direttiva 2008/118/CE[7].

Quest’ultima direttiva, “relativa al regime generale delle accise che abroga la direttiva 92/12/CEE”, ha portato con sé una piccola rivoluzione nel settore. L’art. 1, c. 1, prevede, tra i “prodotti sottoposti ad accisa”, oltre a tabacchi e bevande alcooliche, anche i “prodotti energetici ed elettricità di cui alla direttiva 2003/96/CE”; sul consumo di questi prodotti, si legge al c. 2 dell’articolo, “Gli Stati membri possono applicare altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché … conformi alle normi fiscali comunitarie”. In altre parole, oltre ai dazi e balzelli già applicati, ad esempio, sull’importazione e il trasporto dell’energia, le singole autorità nazionali possono applicare addizionali e maggiorazioni purché queste siano istituite per il perseguimento di specifiche finalità o per finanziare determinati progetti o programmi di investito, un tema su cui anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è dovuta pronunciare. Tra gli altri numerosi precedenti sul tema[8], nella sentenza del 25 luglio 2018, emessa in esito alla causa C-103/17[9], la Corte ha statuito come “Affinché si possa considerare (una determinata accisa o sua maggiorazione) quale imposta che persegua una finalità specificail gettito di tale imposta deve obbligatoriamente essere utilizzato al fine di ridurre i costi ambientali specificatamente connessi al consumo di energia elettrica … promuovere la coesione territoriale e sociale” ovvero deve sussistere “… un nesso diretto tra l’uso del gettito derivante dall’imposta e la finalità dell’imposizione in questione[10]. Per converso, i giudici di Lussemburgo specificano come “un’assegnazione predeterminata … in una semplice modalità di organizzazione interna del bilancio di uno Stato membro, non può … costituire una condizione sufficiente[11]. Basterebbe l’affermazione di questo principio per sollevare più di un dubbio circa la compatibilità della finalità prevista dal D.L. n. 511/88 con quanto statuito dalla Corte di Giustizia UE.

A livello nazionale, la Direttiva 2003/96/CE è stata recepita con il D.Lgs. n. 26/2007[12], il cui art. 5 ha modificato e sostituito il citato art. 6 D.L. n. 511/88, introducendo, al c. 3, la previsione secondo cui “Le addizionali (aggiuntive, istituite ai sensi della normativa comunitaria) sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell’accisa sull’energia elettrica.”[13]. La Direttiva 2008/118/CE, invece, è stata recepita dal D.lgs. n. 48/2010[14], che ha modificato in maniera molto più radicale ed incisiva il TUA, con le modifiche entrate in vigore a far data dal 1° aprile 2010. Questo triennio di rinnovamento nella normativa nazionale si è concluso l’anno successivo, con l’introduzione del D.Lgs. n. 23/2011[15] che, all’art. 2, c. 6, prevede come “A decorrere dall’anno 2012, l’addizionale all’accisa sull’energia elettrica (di cui al citato art. 6 del D.L. n. 511/88), cessa di essere applicata nelle regioni a statuto ordinario[16]; questa abrogazione localizzata a livello territoriale è stata poi estesa a tutto il territorio nazionale con il D.L. n. 16/2012, convertito con modificazioni nella L. n. 44/2012, che ha definitivamente cancellato la maggiorazione dell’accisa dal nostro ordinamento.

La nuova normativa, successiva all’intervento del legislatore comunitario, ha quindi aperto una voragine nella disciplina relativa alle addizionali sulle accise all’energia elettrica; voragine nella quale è stata – metaforicamente – divorata anche la maggiorazione prevista dall’art. 6 del D.L. n. 511/88, disapplicata e, quindi, indebitamente riscossa nel periodo aprile 2010 (ossia dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 48/2010) – dicembre 2011 (con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2011). Una situazione foriera di contenziosi e che ha richiesto, anche di recente, l’intervento della Corte di cassazione.

Le pronunce della Cassazione

Le sentenze della Corte di cassazione si sono concentrate su due aspetti specifici: l’incompatibilità della disciplina nazionale sulle accise con la legislazione comunitaria e il rimborso delle imposte addizionali indebitamente riscosse.

Con la sentenza n. 27101/2019[17], la Cassazione, ricostruendo l’evoluzione normativa prima riassunta, ha stabilito come “perché le addizionali … siano legittime ai sensi della direttiva n. 2008/118/CE occorre il cumulativo riscontro di due requisiti”, ossia (1) “il rispetto delle regole di imposizione dell’Unione” e (2) “la sussistenza di una finalità specifica”. Proprio circa il rispetto di questo secondo requisito, il collegio giudicante evidenzia come, per quanto riguarda le accise applicate con il D.L. n. 511/88, “… né la disposizione di cui all’art. 6, né il decreto 11 giugno 2007[18] … chiariscono in alcun modo le specifiche finalità che le addizionali dovrebbero andare a soddisfare, non essendo in armonia con il diritto unionale la destinazione di tali addizionali a semplici finalità di bilancio”. Ne consegue che l’art. 6, c. 2, del D.L. n. 511/88, già formalmente contrario alle disposizioni di cui alla direttiva n. 2008/118/CE (che la stessa Cassazione rileva come integralmente recepito dalla normativa nazionale, indipendentemente dal suo carattere self-executing) “… va disapplicato in ossequio al principio per cui l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia dell’UE è immediatamente applicabile nell’ordinamento interno ed impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all’esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa”. Un principio, quest’ultimo, ribadito anche di recente dalla stessa Cassazione, secondo la quale “… il principio di effettività contenuto nell’art. 10 del Trattato CE[19] comporta l’obbligo del giudice nazionale di applicare d’ufficio il diritto comunitario, senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali, o, nella specie, il carattere chiuso del giudizio di cassazione[20].

Tornando al tema centrale, quando sostenuto dalla Corte può essere analizzato “alla rovescia”: (a) la giurisprudenza della Cassazione è concorde nell’affermare come l’interpretazione del diritto comunitario sia immediatamente applicabile negli ordinamenti interni ed è alla luce di questo principio che (b) i principi affermati dalla CGUE in tema di accise e relative addizionali (tra cui la già citata sentenza C-103/17) conducono ad una sostanziale disapplicazione delle norme in tema di imposte addizionali che contrastino con la normativa comunitaria. E infatti la Cassazione conclude affermando come “l’addizionale … alle accise sull’energia elettrica … va disapplicata per contrasto con l’art. 1, p. 2, della direttiva n. 2008/118/CE, per come interpretati dalla Corte di Giustizia della UE rispettivamente con le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa C-103/17”.

Ormai disapplicata la normativa istituente l’addizionale, resta ancora aperto il tema dei rimborsi di quanto indebitamente corrisposto da numerose società e attività commerciali nel periodo 2010-2012.

Il quadro normativo prima delineato (ossia quello costituito dal TUA, come modificato dall’entrata in vigore e dal recepimento della Direttiva 2008/118/CE) prevede infatti alcune utili previsioni sul punto. L’art. 14, c. 2, del TUA dispone – laconicamente – che “L’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata” e che “il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento ovvero dalla data in cui il relativo diritto può essere esercitato” atteso che, ai sensi dell’art. 9, c. 2, della Direttiva 2008/188/CE, “L’accisa … è oggetto di rimborso o sgravio secondo le modalità stabilite da ciascuno Stato membro”. Sempre TUA alla mano, occorre ora stabilire quali siano i soggetti legittimati a richiedere il rimborso di eventuali imposte indebitamente corrisposte. Come abbiamo già visto, l’art. 2, c. 1, del TUA prevede come accise e relative maggiorazioni siano dovute “dal fornitore al momento della fornitura dell’energia elettrica al consumatore finale”; a livello tributario, tale disposizione va letta in combinato disposto con le previsioni di cui ai già citati artt. 53 e 56 TUA, i quali prevedono un sistema per cui il fornitore versa l’imposta all’Erario, riservandosi diritto di rivalsa sul consumatore finale; in caso di indebito versamento, il predetto art. 14 TUA dispone le modalità con cui il fornitore possa chiedere rimborso all’Amministrazione. Si crea quindi una catena di rapporti giuridici autonomi ed indipendenti tra loro, formata da Amministrazione – Fornitore – Cliente finale, con quest’ultimo che, in maniera autonoma, può esercitare azione di ripetizione dell’indebito (di cui all’art. 2033 cod. civ.[21], che si prescrive nel termine ordinario di dieci anni) nei confronti del fornitore. Un sistema solo apparentemente macchinoso, ma che trova la sua ragione, come evidenziato dalla Cassazione (nella sentenza n. 17627/2014[22]), nella scelta del legislatore di “concentrare l’imposizione e il relativo controllo su pochi soggetti, ossia i produttori o gli importatori di energia elettrica”.

Per riassumere, merita di essere menzionata la sentenza n. 28047/19 del 31 ottobre 2019[23], pronuncia nella quale la Cassazione ha riassunto in pochi, sintetici, punti il funzionamento del meccanismo di imposizione e rimborso delle imposte.

1) obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell’Amministrazione doganale è unicamente il fornitore;

2) il fornitore può addebitare integralmente le accise pagate al consumatore finale;

3) i rapporti tra fornitore e Amministrazione doganale e fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra loro;

4) in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all’Amministrazione finanziaria il rimborso delle accise indebitamente corrisposte;

5) il diritto al rimborso spetta unicamente al fornitore, che può esercitarlo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria:

  1. a) nel caso in cui non abbia addebitato l’imposta al consumatore finale, entro due anni dalla data del pagamento (che diventa dies a quo per la prescrizione del diritto a chiedere il rimborso);
  2. b) nel caso in cui il consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di indebito, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza;

6) nel caso di addebito delle accise al consumatore finale e delle addizionali, quest’ultimo può esercitare l’azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore

Su quest’ultimo punto, la Cassazione specifica come il consumatore possa “normalmente agire nei confronti (del fornitore) con l’ordinaria azione di ripetizione e, solo nel caso in cui alleghi che tale azione si riveli oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell’ipotesi di fallimento del fornitore), può direttamente chiedere il rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria”.

Conclusioni

La questione, certamente complessa, anche a causa della stratificazione normativa avutasi negli anni, si risolverà naturalmente entro il 2022, termine oltre il quale le azioni per il rimborso esperibili dai consumatori finali andranno fatalmente prescritte. Ciò non toglie che sarebbe quantomeno auspicabile un intervento in extremis del legislatore, anche solo per ottimizzare i rapporti tra fornitori e Amministrazione[24]: il fatto che il diritto al rimborso per i fornitori sorga solamente nel caso in cui il consumatore finale abbia vittoriosamente esercitato azione di ripetizione dell’indebito è un ostacolo notevole alla semplificazione delle relazioni tra i soggetti coinvolti. Un sistema che, oltretutto, velocizzerebbe anche le prospettive di rimborso per i consumatori.

[1] Decreto-Legge 28 novembre 1988, n. 511 (GU Serie Generale n .280 del 29-11-1988, https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1988/11/29/088G0595/sg).

[2] LEGGE 27 gennaio 1989, n. 20, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 novembre 1988, n. 511 (GU Serie Generale n.23 del 28-01-1989, https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1989/01/28/089G0042/sg).

[3] Nel corso dell’articolo si parlerà genericamente di “accisa” per indicare non soltanto l’accisa in senso stretto, ma anche le maggiorazioni previste dalla legge. Le due imposte seguono infatti il medesimo regime in termini applicativi e di eventuale rimborso di imposte non dovute (vd. nota 13).

[4] In particolare, per ogni chilowattora consumato, l’accisa ammontava a “lire 18 in favore dei comuni per qualsiasi applicazione nelle abitazioni” e “lire 6,5 in favore dei comuni e lire 11,5 in favore delle province” per qualsiasi uso in luogo diverso dalle abitazioni. Gli importi sono stati poi riquantificati in euro con il D.Lgs. n. 26/2007, che ha previsto rispettivamente gli importi di euro 18,59, 20,40 e 9,30, vd. nota 11.

[5] Direttiva 92/12/CEE del Consiglio, 25 febbraio 1992, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa (https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CONSLEG:1992L0012:20000701:IT:PDF).

[6] Direttiva 2003/96/CE del Consiglio, 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex:32003L0096).

[7] Direttiva 2008/118/CE del Consiglio, 16 dicembre 2008 , relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32008L0118&from=IT).

[8] CGUE, Commissione c. Francia, causa C-434/97, sentenza 24 febbraio 1997, CGUE, EKW e Wein & C., causa 437/97, sentenza 9 marzo 2000, e CGUE, Statoil Fuel & Retail, causa C-553/13, sentenza 5 marzo 2013.

[9] CGUE, Le Messer France SAS, causa C-103/17, sentenza 25 luglio 2018.

[10] Ibid., §38

[11] Ibid., §39

[12] Ibid.

[13] Vd. nota 3.

[14] Decreto Legislativo 10 giugno 2020, n. 48 (GU Serie Generale n.146 del 10-06-2020 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/06/10/20G00066/sg).

[15] Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (GU Serie Generale n.67 del 23-03-2011, https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2011/03/23/011G0066/sg).

[16] Una riduzione di entrate comunque compensata dal corrispondente aumento dell’accisa erariale “in modo tale da assicurare la neutralità finanziaria” del provvedimento.

[17] Cass. civ., sez. V, sentenza n. 27101 del 23.10.2019.

[18] Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 11 giugno 2007 con cui vengono indicate “Modalità operative per la pubblicazione nel sito internet del Ministero dell’economia e delle finanze delle deliberazioni in materia di addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica” (GU Serie Generale n.141 del 20-06-2007 .

[19] Che l ‘obbligo per gli stati membri di adottare tutti i provvedimenti idonei a rendere effettiva l’applicazione del diritto comunitario.

[20] Cass. civ., Sez. V, ordinanza n. 278222 del 31.10.2018

[21] Che recita: “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”.

[22] Cass. civ., Sez. V, sentenza n. 28047 del 31.10.2019.

[23] E, prima, con la sentenza n. 14200 del 24 maggio 2019.

[24] Si veda S. Morri, A. Gatto, Il diritto di rimborso delle addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica contrarie al diritto dell’Unione Europea: la posizione del fornitore, Rivista Diritto Tributario, 18 maggio 2020.

Fabio Tumminello

30 anni, attualmente attivo nel ramo assicurativo, abilitato all'esercizio della professione forense, laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino con tesi sulla responsabilità medico-sanitaria nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e vincitore del Premio Sperduti 2017. Vice-responsabile della sezione di diritto internazionale di Ius in itinere, con particolare interesse per diritto internazionale, diritti umani e diritto dell'Unione Europea. Già autore per M.S.O.I. ThePost e per il periodico giuridico Nomodos - Il Cantore delle Leggi, ha collaborato alla stesura di una raccolta di sentenze ed opinioni del Giudice della Corte europea dei diritti dell'uomo Paulo Pinto de Albuquerque ("I diritti umani in una prospettiva europea. Opinioni dissenzienti e concorrenti 2016 - 2020").

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